mercoledì 12 novembre 2008

PRESUNZIONE D'INNOCENZA


Le prime affermazioni sulla necessità dell’introduzione, nel sistema processuale penale, della presunzione d’innocenza, risalgono al 1764, e sono contenute nelle opere di Pietro Verri e Cesare Beccaria.
Siamo partiti da lontano è vero, ma è bene introdurre l'articolo 27, secondo comma, della Costituzione per dare un'idea storica dell'argomento che stiamo trattando.
Prendendo spunto dalla tesi di laurea di Giovanna Batia, università Polo Didattico di Trapani facoltà di Giurisprudenza, abbiamo potuto apprendere che la presunzione d’innocenza come regola di giudizio, nasce negli ordinamenti di tradizione anglosassone, nei quali la libertà personale dell’imputato è stata sempre così ben tutelata, che la garanzia della presunzione di non colpevolezza è apparsa del tutto superflua, mentre, come regola di trattamento dell’imputato, essa appartiene all’esperienza europeo-continentale risalente al pensiero illuminista e alla rivoluzione francese.
Solo grazie alla Costituzione la presunzione d’innocenza venne elevata a principio cardine del nostro ordinamento.
La redattrice ha voluto analizzare più approfonditamente l’articolo 27 della Costituzione, traendone due spunti significativi, sia sotto il profilo della regola di giudizio, che sotto quello della regola di trattamento:
à: il primo profilo implica, sostanzialmente che l’inerzia dell’imputato, da sola, non può produrre conseguenze a lui sfavorevoli, poiché, l’adempimento dell’attività probatoria, non costituisce un suo onere, bensì un suo diritto.
b: il secondo, invece, comporta che un imputato, anche se in custodia cautelare, non può essere trattato alla stregua di un normale condannato.
Tuttavia, il legislatore ha facoltà di introdurre, nel nostro ordinamento, delle ipotesi circoscritte di misure cautelari automatiche, che esulano la soddisfazione della semplice esigenza cautelare, poiché vanno a colpire reati di particolare gravità.
Nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, documento firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, la struttura è composta da un preambolo e da 30 articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona.
All'articolo 11 si menzionano i diritti sulla presunzione d'innocenza: ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente in un pubblico processo nel quale egli abbia avuto tutte le garanzie necessarie per la sua difesa.


Il giorno 11 novembre anno domini 2008, il Pubblico Ministero Luca Palamara, presidente dell'associazione nazionale magistrati (ANM), ha fatto le sue richieste di condanna nel processo Gea: sei anni per Luciano Moggi e cinque per il figlio Alessandro, per associazione a delinquere finalizzata all'illecita concorrenza con violenza e minacce.
Sulla richiesta di sei anni chiesta dal pubblico ministero per Luciano Moggi si è espresso il presidente della Juventus F.c, Giovanni Cobolli Gigli: "Sono convinto che in Italia debba esistere un concetto che valga per tutti, che è la presunzione d'innocenza".
Concetto che non fa una piega, non solo in Italia visto che la redazione della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" fu promossa dalle Nazioni Unite, e che testimona quanto detto fin'ora. Il Presidente juventino ha aggiunto: "Finché non esiste una sentenza definitiva io considero innocenti tutte le persone sotto processo".
Una presa di posizione precisa e giuridicamente corretta, almeno fino a quando il giudice Luigi Fiasconaro si ritirerà in Camera di consiglio per deliberare la sentenza di primo grado, prevista per l'8 o il 13 gennaio prossimi, che comunque non si potrà ritenere definitiva, visti i tre gradi di giudizio.
Ma sulle dichiarazioni di Cobolli Gigli ci sorge spontanea una domanda: nell'estate del 2006, durante il primo processo di Calciopoli, quel convincimento che se non esiste una sentenza definitiva si dovrebbero considerare innocenti tutte le persone sotto processo dove albergava?

Il 15 giugno di quell'anno Giovanni Cobolli Gigli fu nominato presidente del club bianconero e a distanza di poche settimane il Procuratore Federale, Stefano Palazzi, chiese pene pesantissime per le società e i tesserati che considerava responsabili delle irregolarità che hanno coinvolto il mondo del calcio negli ultimi anni. Il conto più pesante fu presentato alla Juventus.
Ma sulla presunzione d'innocenza non si sentì nessuna voce.
Il 5 luglio, giorno successivo alla richiesta del procuratore federale, la parola fu presa dal legale bianconero avvocato Zaccone che dichiarò: "La pena accettabile sarebbe quella richiesta per gli altri club, ovvero la serie B con forte penalizzazione", uno scivolone, perchè dai legali ci si sarebbe aspettati una richiesta così qualora fosse stato accertato l'illecito sportivo.
Ma sulla presunzione d'innocenza non si sentì nessuna voce.
Il neo presidente bianconero si pronunciò solo dopo la sentenza di primo grado della Commissione d'Appello Federale (definita in seguito da più parti un'autentico aborto giuridico), e nel breve lasso di tempo che separò la sentenza Caf dal processo d'appello, il presidente elaborò la bizzarra teoria secondo cui la Juve avrebbe commesso tante violazioni dell'articolo 1 (lealtà sportiva) ma nessuna dell'articolo 6 (illecito).
Naturalmente senza l'improvvisa rivisitazione odierna della presunzione d'innocenza.
di Cirdan

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