..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 21 ottobre 2008

DOPO IL 25 VIENE SOLO IL 26

Che succede dopo il 25 ottobre? La fine della storia? L’inizio di una nuova era? E, via a scalare, la rinascita del Partito Democratico con la definizione di una linea politica degna di questo nome? Oppure il rafforzamento della leadership di Walter Veltroni sulla forza più consistente della sinistra? Niente di tutto questo. Dopo il 25 viene il 26, con tutti i problemi irrisolti del Pd e del suo segretario a cui neppure l’eventualità di un grande successo di partecipazione alla manifestazione del Circo Massimo riuscirà a dare una qualsiasi soluzione. Questo, naturalmente, non significa sminuire o minimizzare il significato e l’importanza del raduno romano indetto da Veltroni prima dell’estate. Significa, semplicemente, togliere all’avvenimento l’alone di momento di svolta epocale per la sinistra italiana che gli è stato costruito addosso da giugno ad oggi e riportarlo alla sue reali dimensioni. Il ricorso alla piazza di sabato prossimo è per il Pd la solita operazione di liturgia politica con cui il popolo della sinistra italiana cerca di riprendersi ed uscire dal trauma della sconfitta elettorale dell’aprile scorso.
La manifestazione serve a far ritrovare i militanti, a rincuorarli, a dimostrare che l’organizzazione è ancora in piedi, che il partito non è stato smantellato e che le sue bandiere non sono state ammainate. Persegue un obbiettivo di natura psicologica particolarmente importante per un aggregato umano come quello di sinistra che è stato talmente abituato a scendere periodicamente in piazza da scambiare la forma per sostanza ed essere convinto che solo la liturgia delle grandi adunate costituisce la linfa indispensabile della propria vitalità. Ma è privo di conseguenze politiche precise. O meglio, potrebbe rappresentare il momento di rilancio del Partito Democratico in vista delle prossime elezioni amministrative e di quelle europee di primavera. Ma solo se il gruppo dirigente del maggiore partito della sinistra avesse nel frattempo risolto la questione dei rapporti di forza tra gruppi e leader all’interno ed avesse scelto se la futura linea del partito dovrà essere quella della rincorsa di Antonio Di Pietro o quella dell’accentuazione del riformismo. Invece il chiarimento dentro il Pd è ancora da avviare.
E, conseguentemente, la strategia politica è tutta da definire. In queste condizioni il 26 ottobre rischia di segnare per Walter Veltroni non il punto di partenza della “reconquista” del proprio partito ma il via ad una resa dei conti che, essendo necessariamente finale, non potrà non essere anche particolarmente dolorosa. C’è un modo per il segretario del Pd di evitare che la manifestazione segni l’inizio della propria fine? L’unico possibile passa attraverso una operazione apparentemente impossibile. Quella di cambiare il senso della manifestazione. E di chiamare a raccolta i militanti ed i simpatizzanti non a salvare l’Italia dalla presunta deriva autoritaria di Silvio Berlusconi ma a salvare la sinistra dalla minaccia di essere risucchiata dal gorgo giustizialista ed avventurista di Antonio Di Pietro. Ma, come Don Abbondio insegna, è possibile che chi fino ad ora non ha mostrato di avere particolare coraggio possa improvvisamente sfiorare la temerarietà?
di Arturo Diaconale

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