..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

lunedì 31 agosto 2009

CI HA MESSO POCO / 25

Trentacinquesimo attacco aereo di Obama in Pakistan
Tre missili, otto morti. Sono trentacinque i bombardamenti in Pakistan da quando Obama è diventato presidente

INDIANAPOLIS: LA GARA

MotoGP Indianapolis Gara: Rossi scivola, Lorenzo vince
Si riapre il campionato, nuova, ennesima edizione stagionale. Jorge Lorenzo vince a Indianapolis, Valentino Rossi sbaglia al settimo giro per una scivolata che consente al suo compagno di squadra di riportarsi sotto in classifica. Venticinque i punti tra i due con 125 ancora in gioco, ma c’è qualcosa di più, molto di più. Sul circuito più famoso del mondo arriva così un epilogo inaspettato, dalle certezze di un Dani Pedrosa velocissimo delle prove fuori gioco al quarto giro per una scivolata all’errore di Valentino. Un errore eccellente, inaspettato, sorprendente, addirittura il terzo stagionale dopo Le Mans (zero punti) e Donington Park (da una potenziale vittoria ad un 5° posto).

Punti importanti persi con Jorge Lorenzo che ringrazia per una vittoria cercata, voluta, meritata come le ritrovate potenzialità di aggiudicarsi il titolo iridato. Con questi elementi il maiorchino ritrova nuove convinzioni esaltate dalla consapevolezza che anche al di là del muro c’è chi sbaglia, con propri (seppur pochi) errori che posson costar carissimo, per un’odierna vittoria festeggiata alla “Spiderman”, salendo le recinzioni delle tribune dell’Indianapolis Motor Speedway come Helio Castroneves, pluri-vincitore (anche quest’anno) della 500 miglia.

Per un Lorenzo fresco di rinnovo Yamaha vale più di 25 punti questa vittoria, così come vale oro il podio di Alex De Angelis, splendido secondo con la Honda Gresini (secondo podio consecutivo per il team), ormai con tutto l’indispensabile per chiedere, meritarsi e trovare una 800cc anche per il 2010. Troverà il rinnovo con Ducati anche Nicky Hayden, terzo al primo podio con questa nuova avventura italiana, tenendosi alle spalle Andrea Dovizioso e la coppia Yamaha-Monster con Colin Edwards e James Toseland.

Punticini per Aleix Espargaro al debutto, 13° nonostante un contatto al via con Elias e Vermeulen, nessuno per Canepa e Melandri usciti di scena mentre Capirossi ha centrato la top ten davanti a Kallio ed un Pedrosa rimontante, decimo dopo l’errore del quarto giro. Importante, mai quanto quello di Valentino Rossi: con Misano Adriatico alle porte sì, il campionato è riaperto.

Cronaca di Gara

Partenza straordinaria di Pedrosa, altrettanto per Rossi che prende la seconda posizione su Lorenzo, Edwards, De Angelis, Melandri e Hayden mentre vanno fuori pista Vermeulen, Espargaro ed Elias per un contatto: rientreranno seppur staccati di oltre 10″ dalla vetta. Dopo un paio di giri il terzetto di testa ha già 2″ di vantaggio sugli inseguitori: è un’altra gara, è tutto un altro passo sull’1′40″ basso senza alcuna differenza tra Pedrosa, Rossi e Lorenzo nell’ordine. Purtroppo per lo spettacolo al quarto giro Dani Pedrosa commette un errore all’ingresso della curva 16, curva in appoggio con cambio di asfalto che ha tratto in inganno lo spagnolo, scivolato, ripartito ultimissimo a 42″ dalla vetta, oltre 30″ dalla penultima posizione. Un abisso, ma il portacolori HRC resterà sicuramente in pista per cercare di raggranellare qualche punto per insidiare la terza posizione di Stoner in campionato.

Il podio al momento vede così Colin Edwards premiato anche se dovrà vedersela con Alex De Angelis, subito alle sue spalle, ed una serie di outsider come Hayden e Dovizioso poco staccati e con un buon ritmo. Logicamente la regia indugia sulla coppia Fiat Yamaha, riproponendo il duello diretto #4 di questa stagione. Come si evolve questa lotta? Con un doppio colpo che risulterà importantissimo per la classifica: al settimo giro Lorenzo passa al comando, all’ottavo Valentino Rossi scivola all’ingresso della curva numero 4. Che colpo di scena, che colpo per il mondiale: riparte l’otto volte iridato (senza rispettare l’ordine di ingresso box del proprio team) in 16° posizione, davanti anche a Dani Pedrosa.

Vittoria servita su di un piatto d’argento (anche se, va detto, era in testa) a Jorge Lorenzo, seconda posizione adesso ad appannaggio di Alex De Angelis con Nicky Hayden poco staccato senza scordarci di Edwards e Dovizioso a ruota. Rientra al 12° giro Valentino Rossi, zero punti per la classifica e potenziale vantaggio di campionato dimezzato in un sol colpo a favore del suo giovane compagno di squadra.

La gara in quel momento sembra un pò morta, con solo pochi fatti degni di nota: dalla rimonta di un forsennato Dani Pedrosa ( sul traguardo), al doppio zero degli italiani Niccolò Canepa e Marco Melandri. La festa è però per Jorge Lorenzo, vincitore su uno straordinario Alex De Angelis e Nicky Hayden, via via tutti gli altri aspettando Misano.

MotoGP World Championship 2009
Indianapolis, Classifica Gara

01- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - 28 giri in 47′13.592
02- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 9.435
03- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 12.947
04- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 13.478
05- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 26.254
06- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 32.408
07- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 34.400
08- Mika Kallio - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 34.856
09- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 45.005
10- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 45.377
11- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotOGP - Suzuki GSV-R - + 45.478
12- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 52.294
13- Aleix Espargaro - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1′03.552
14- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 1′15.086

Alessio Piana



MotoGP: Nicky Hayden “Podio davvero speciale”
MotoGP: Alex De Angelis “Moto perfetta, podio possibile”
MotoGP: Dani Pedrosa “Peccato per l’errore, potevo vincere”

MotoGP: Valentino Rossi “Errore mio, adesso Misano”
Oggi è stata ovviamente una delusione!“, ammette Valentino Rossi. “Abbiamo faticato con l’assetto per tutto il fine settimana, ma questa mattina lo abbiamo migliorato, ho fatto una buona partenza e sono riuscito a rimanere in contatto con Pedrosa. Quando Dani è caduto ero conscio che sarebbe stata una lotta fra Jorge e me, ma onestamente non so come sarebbe andata a finire, perché Jorge oggi è stato molto veloce. Ovviamente sarebbe stato meglio terminare in seconda posizione piuttosto che non terminare del tutto…“.

Valentino ha poi spiegato nel dettaglio le cause di questo errore che ha dimezzato il proprio vantaggio in campionato rispetto a Jorge Lorenzo aspettando Misano Adriatico.

Purtroppo sono andato largo su una parte sporca della pista alla curva uno ed ho perso l’anteriore. Ho cercato di ripartire per terminare la corsa, ma c’era un problema con l’acceleratore e non è stato possible. Voglio congratularmi con Jorge per la sua vittoria, ma ora dobbiamo guardare a Misano e tornare davanti. Siamo ancora in testa al campionato e questa è la cosa più importante”

MotoGP: Jorge Lorenzo “Con questa vittoria ancora in gioco”.

domenica 30 agosto 2009

LE INTERPRETAZIONI DI OBAMA

Il senatore Barack Obama era contrario alle “extraordinary rendition”.
Un paio di giorni fa ha cambiato idea, annunciando che se ne servirà.
Gli esperti ne prevedono un uso addirittura maggiore, in seguito alla decisione di non ricorrere alle “tecniche avanzate di interrogatorio” degli anni scorsi. I cinici dicono invece che Obama se ne servirà di meno perché preferisce uccidere i talebani con i missili sganciati dai droni, invece che catturarli.

INDIANAPOLIS: LE QUALIFICHE

MotoGP Indianapolis Qualifiche: grande pole per Dani Pedrosa
L’avvertimento delle prove libere non era casuale. Dani Pedrosa ha confermato di aver un feeling particolare questo weekend all’Indianapolis Motor Speedway, conquistando la seconda pole position stagionale dopo Le Mans, la 31° in carriera nel Motomondiale. Tutt’uno con la propria rinnovata (e migliorata) Honda RC212V, Pedrosa si proietta con questo risultato tra i potenziali favoriti per la vittoria nella gara di domani, dove l’intento è di completare la “doppietta americana” dopo l’affermazione di Laguna Seca. La ragione? La facilità disarmante con la quale è sceso sotto il muro dell’1′40″, arrivando fino ad un esemplare 1′39″730 con un giro, per chi l’ha visto, che non si può dimenticare per la grazia agonistica mostrata in sella, massimizzando ogni singolo aspetto della propria RCV.

Pedrosa proverà a mostrarsi “imbattibile” in America dopo l’affermazione di Laguna Seca anche se rispetto alla California il pilota catalano recita un ruolo diametricalmente opposto: da “sorpresa” a “favorito”, senza Casey Stoner l’unico capace di intromettersi e, chissà, anche battere in gara la coppia Fiat Yamaha. L’apparente duello per il campionato (anche se i 50 punti di svantaggio sono un’enormità) vede un leggero vantaggio odierno di Jorge Lorenzo, secondo e 3/10 meglio di Valentino Rossi, comunque in prima fila con qualche problema decisamente risolvibile per domani.

Lasciando i soliti protagonisti, se ne trovano di “nuovi” in seconda fila, da Alex De Angelis in cerca di una moto al quarto posto (e, di sto passo, se la meriterebbe anche) davanti agli idoli di casa Colin Edwards e Nicky Hayden, il primo scivolato nel suo giro veloce, il secondo comunque miglior rappresentante della Ducati, specie considerando che Mika Kallio ha rovinato tutto ritrovandosi 15° per una caduta (con Niccolò Canepa davanti, 13°, ed il rookie Aleix Espargaro dietro di soli 3 decimi).

La pattuglia italiana della top class vede poi Marco Melandri nono e ben piazzato per gli standard attuali della sua Kawasaki-Hayate, decisamente migliori di una Suzuki in continua evoluzione, ma scivolata all’undicesimo posto con Loris Capirossi: in proiezione 2010 sono ben 2 i secondi da recuperare dalla vetta.

MotoGP World Championship 2009
Indianapolis, Classifica Qualifiche

01- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - 1′39.730
02- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.506
03- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.879
04- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 0.890
05- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.231
06- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.337
07- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.553
08- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 1.579
09- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.800
10- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.890
11- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 2.012
12- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 2.043
13- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.180
14- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 2.308
15- Mika Kallio - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.520
16- Aleix Espargaro - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.847
17- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 3.006

Alessio Piana


MotoGP: Valentino Rossi “Non riesco a guidare come vorrei”
MotoGP: Jorge Lorenzo “Lotteremo per la vittoria”
MotoGP: Dani Pedrosa “Sempre veloci a Indianapolis”

sabato 29 agosto 2009

INDIANAPOLIS: LE LIBERE


MotoGP Indianapolis Prove Libere 1: svetta Dani Pedrosa
Pioggia, tanta pioggia. A Indianapolis, che sia la 500 miglia o la Brickyard 400 della NASCAR, il programma di attività in pista sarebbe sospeso: non ovviamente per la MotoGP, con i diciassette piloti impegnati nella prima ora di prove libere con grande dedizione nonostante le condizioni difficili e la sensazione che si sia sostanzialmente buttata al vento un’importante sessione di test all’Indianapolis Motor Speedway. L’ha sfruttata al meglio Dani Pedrosa, protagonista di numerose peripezie nell’ultima “variante” che immette sullo storico rettifilo che ha segnato la storia dei motori. Lui con la Honda RC212V ufficiale per il momento si accontenta di una convincente prima posizione in 1′51″507, riferimento conseguito al momento giusto quando c’era margine per spingersi sotto il muro dell’1′52″.

Non è stato così per gli altri piloti, che solo nel finale sono riusciti ad avvicinare questi tempi Valentino Rossi compreso, a lungo fermo ai box in… “modalità Stoner”, lasciando perdere sostanzialmente l’intera prima parte di prove. Forte dei 50 punti di vantaggio l’otto volte iridato si ritrova comunque al terzo posto davanti al rivale Jorge Lorenzo, a sorpresa entrambi dietro a Nicky Hayden che ha centrato un giro davvero positivo in un circuito, sua stessa ammissione, amico e “di casa”, più di Laguna Seca.

C’è soddisfazione anche per Alex De Angelis, attualmente a piedi, ma in grado di portarsi al quinto posto seguito da un altro “in forse” della MotoGP 2010, James Toseland, con Loris Capirossi (per lui inconveniente negli ultimi giri) e Colin Edwards a seguire. Chiudono la top ten Andrea Dovizioso e Marco Melandri (con Mika Kallio poco staccato, 11° al secondo gettone di presenza su Ducati Factory), chiude il gruppo invece Niccolò Canepa, che su di un tracciato conosciuto lo scorso anno nei test collettivi di sviluppo pneumatici non è andato oltre i 6″7 di svantaggio dalla vetta.

Per la cronaca Aleix Espargaro, al debutto assoluto in MotoGP, gli ha rifilato ben 2″1, dimostrando di avere delle buone credenziali per la top class dove corre con il #44 preso in prestito dal fratello Pol, impegnato in 125 su Derbi ufficiale. Il #41 è infatti occupato da Gabor Talmacsi, subito alle sue spalle in un “ritrovo” di piloti fino a poche gare or sono in 250.

MotoGP World Championship 2009
Indianapolis, Classifica Prove Libere 1

01- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - 1′51.507
02- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.155
03- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.307
04- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.387
05- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 0.757
06- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.381
07- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.421
08- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.621
09- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 1.644
10- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 2.083
11- Mika Kallio - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.460
12- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 3.047
13- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 4.167
14- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 4.281
15- Aleix Espargaro - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 4.697
16- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 5.087
17- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 6.737

Alessio Piana


MotoGP: Nicky Hayden “Bello esser tornati davanti”
MotoGP: Dani Pedrosa “Buon inizio, possiamo far bene”
MotoGP: Jorge Lorenzo “In certi punti si nuotava”
MotoGP: Valentino Rossi “Abbiamo risparmiato il motore”

venerdì 28 agosto 2009

INDIANAPOLIS: GLI ORARI

Sei ore di fuso orario portano il Gran Premio di Indianapolis con una programma particolare per quanto riguarda gli appassionati italiani. In particolare sarà interessante seguire domenica la gara della MotoGP in “prime time” alle 21:00, mentre al sabato per tutti ci sarà la possibilità di seguire le qualifiche prima di impiegare secondo le proprie preferenze il sabato sera. Di seguito sono riportati tutti gli orari “italiani” del GP di Indianapolis.

Il Programma completo del Red Bull Indianapolis Grand Prix

Venerdì 28 agosto

18.40 - 19.40: 125cc Prove Libere 1
19.55 - 20.55: MotoGP Prove Libere 1
21.10 - 22.10: 250cc Prove Libere 1

Sabato 29 agosto

15.00 - 15.40: 125cc Prove Libere 2
15.55 - 16.55: MotoGP Prove Libere 2
17.10 - 18.10: 250cc Prove Libere 2
19.00 - 19.40: 125cc Qualifiche
19.55 - 20.55: MotoGP Qualifiche
21.10 - 21.55: 250cc Qualifiche

Domenica 30 agosto

14.40 - 15.00: 125cc Warm Up
15.10 - 15.30: 250cc Warm Up
15.40 - 16.00: MotoGP Warm Up
18.00: 125cc Gara
19.15: 250cc Gara
21.00: MotoGP Gara

Quanto alla programmazione televisiva, su Italia 1 ci sarà una sintesi delle prove del venerdì nella nottata alle 00.40, al sabato si partirà alle 18:55 con la diretta delle qualifiche di 125 e MotoGP mentre la 250 sarà mandata in onda in differita alle 23:05. Tutto rigorosamente in diretta nella giornata di domenica e su Mediaset Premium (canale “Premium MotoGP”), che offrirà (a pagamento 8 euro per il solo weekend) la trasmissione “live” di tutte le sessioni di prove del Gran Premio di Indianapolis, prove libere e Warm Up compresi.

La programmazione televisiva su Italia 1

Venerdì 28 agosto

00.40: sintesi prove libere

Sabato 29 agosto

18.55: diretta qualifiche 125cc
19.55: diretta qualifiche MotoGP
23.05: differita qualifiche 250cc

Domenica 30 agosto

17.45: diretta gara 125cc
19.15: diretta gara 250cc
21.00: diretta gara MotoGP
21.50: Fuorigiri

mercoledì 26 agosto 2009

LA VERITA' SUI BILANCI

Commenti al progetto di bilancio Juventus 2008-2009 presentato nei giorni scorsi con grande enfasi sia sui risultati economici sia confrontandolo con gli ultimi bilanci della passata gestione.


PREMESSA:

1. È scorretto confrontare bilanci con principi contabili diversi. Tra l’altro con cambiamenti che favoriscono in maniera importante e impropria l’ultimo bilancio: esempio più clamoroso è inserire nei ricavi le plusvalenze. Che cosa sarebbero stati in passato i ricavi con le plusvalenze di Baggio, Zidane, Vieri, Inzaghi etc…?
2. È scorretto poi confrontare i bilanci quando nel 2005-2006 si fece un’operazione scorretta mai utilizzata in precedenza che è bene ricordare: cioè si inserirono le minusvalenze (Thuram, Vieira) nel bilancio 2005-2006 e tutte le plusvalenze (Ibrahimovic, Zambrotta) nel bilancio 2006-2007 peggiorando quindi in modo significativo e improprio il bilancio 2005-2006.
3. È scorretto confrontare bilanci economici senza considerare i risultati sportivi: fatto determinante e imprescindibile per una società di calcio. Nel 2004-2005 e 2005-2006 la Juventus vinse lo scudetto e pagò premi importanti (circa 30 milioni di Euro all’anno) che evidentemente appesantirono il costo del personale. Malgrado ciò il rapporto fatturato/costo del personale è sempre rimasto attorno al 55%, il migliore in Europa tra le grandi squadre, secondo solo al Manchester United che però godeva di un trattamento fiscale molto più favorevole. Il progetto di bilancio 2008-2009 presentato negli ultimi giorni presenta un peggioramento del costo del personale in valore assoluto (da 120 a 138 milioni di Euro) e l’incidenza fatturato/costo del personale è al 62% senza vincere niente. (Fonte: Sole24Ore del 07 agosto 2009)


OSSERVAZIONI SUI DATI PRESENTATI:

1. Sono state determinanti negli ultimi 3 anni per i bilanci le plusvalenze. Nei conti presentati nei giorni scorsi le plusvalenze 2008-2009 sono pari a 15 milioni di Euro, senza tali plusvalenze realizzate con giocatori “ereditati” il bilancio si sarebbe chiuso in passivo di circa 10 milioni di Euro. Si ricordi quanto dichiarato da John Elkann il 3 luglio 2007 al Corriere della Sera: “La gestione Giraudo-Moggi suppliva alla gestione ordinaria con le plusvalenze, noi vogliamo un calcio sostenibile”, cioè senza plusvalenze. Senza le plusvalenze dei giocatori “ereditati” sarebbe stato un bagno di sangue per gli ultimi 3 bilanci dei “Signori del calcio sostenibile”!!!
2. Forte incremento ricavi dovuto a:
- diritti TV: aumenti previsti di anno in anno dal contratto Giraudo/Mediaset (durata 6 anni), tuttora in vigore.
- Inserimento nei ricavi delle tanto “vituperate” plusvalenze, mediante un nuovo incomprensibile ed improprio principio contabile, perché le plusvalenze sono proventi straordinari.

3. Il costo del personale è aumentato da 120 a 138 milioni di Euro pari al 61,9% dei ricavi effettivi, con le plusvalenze inserite nei ricavi. Ricordo che nel 2005-2006 era al 55% con premi di 30 milioni circa per la vittoria dello scudetto e senza plusvalenze nei ricavi.
4. Cashflow: non se ne parla. Per 12 anni è sempre stato positivo e nel 2005-2006 era di circa 60 milioni di Euro; nei dati presentati per il bilancio 2008-2009 è di circa 28 milioni di Euro.
5. È stata enfatizzata la posizione finanziaria positiva grazie agli anticipi per 40 milioni di Euro sui futuri diritti televisivi: ma questo grazie all’eccellente contratto Giraudo-Mediaset che prevedeva di incassare in anticipo ogni anno.
NB : Enorme sorpresa hanno suscitato in noi le pagine di Tuttosport dei giorni scorsi in cui si affermava che 240 milioni di Euro di ricavi sono il più alto fatturato della storia della Juventus: anche tenendo conto delle anomalie improprie dei nuovi principi contabili che hanno portato i ricavi nel 2007-2008 a 240 milioni di Euro, inserendo le plusvalenze, non sembra difficile confrontare tale dato con il dato sui ricavi 2005-2006 che era di 251 milioni di Euro.


E’ BENE RICORDARE SEMPRE ALCUNI DATI:

1. Nel 1994 la Juventus era stata valutata 20 milioni di Euro, aveva un fatturato di 25 milioni di Euro e perdite per 30 milioni di Euro circa. Non vinceva lo scudetto da 9 anni.
2. La Juventus è stata portata in Borsa nel 2001 per 480 milioni di Euro e anche dopo le sentenze di Calciopoli nel luglio-agosto 2006, aveva una capitalizzazione di Borsa di 250 milioni di Euro. I ricavi erano di 251 milioni di Euro ed era la prima al mondo per ricavi a livello commerciale con contratti pluriennali, con partner prestigiosi: un esempio su tutti, 12 anni di contratto con Nike.
3. Capitale giocatori di circa 350 milioni di Euro.
4. E’ stato realizzato uno dei più moderni centri sportivi totalmente auto-finanziato del valore di 60 milioni di Euro.
5. E’ stato acquistato il Delle Alpi con la possibilità di sviluppare un’area commerciale adiacente di circa 45000 mq.
6. L’azionista di maggioranza, nei 12 anni dal 1994 al 2006 ha incassato circa 150 milioni di Euro e non è mai dovuto intervenire con capitali.
7. Attualmente, dopo aver effettuato un aumento di capitale di 100 milioni di Euro, la Juventus capitalizza in borsa 160 milioni.
8. Era considerata in Italia e all’estero una società leader nella politica sportiva e presente nelle istituzioni nazionali e internazionali (Lega Calcio, FIGC, UEFA).
9. Attualmente, vedi ad esempio Gazzetta dello Sport dell’08-08-09, non solo non è più leader ma è assolutamente ondivaga.
10. Infine, 16 trofei in Italia e all’estero, 3 palloni d’oro, 12 giocatori nella finale della coppa del mondo 2006, uno straordinario settore giovanile, il tutto con risultati economici di eccellenza che non solo hanno chiuso in positivo ma soprattutto è stato creato “valore”.


CONSIDERAZIONI FINALI:

La gestione della Juventus dal 1994 al 2006 è stato uno straordinario mix di ottimi bilanci e vittorie sportive, unico metro di giudizio per una società di calcio, con creazione di valore: stadio (prima in Italia ad acquistare dal Comune lo stadio e la possibilità di sviluppare un centro commerciale), centro sportivo (di proprietà, totalmente autofinanziato), rosa calciatori (unanimemente riconosciuta a livello nazionale ed internazionale tra le migliori al mondo con fuoriclasse assoluti), settore giovanile (il migliore in Italia con ragazzi che sono in nazionale: Giovinco, Marchisio, Criscito, De Ceglie etc ed altri alcuni dei quali sono stati venduti quali: Paolucci, Lanzafame, Palladino, Nocerino etc ed hanno contribuito con plusvalenze importanti agli ultimi bilanci dei sostenitori del “calcio sostenibile”), quotazione in borsa, ed una struttura aziendale di eccellenza. Si ricorda ancora che in questi anni, la società si è autofinanziata anche con l’ottenimento di permessi per un centro commerciale di 82000 mq a Vinovo venduto per 75 milioni di Euro, ed una sede (Corso Galileo Ferrarsi) acquistata per 6.5 milioni di Euro e venduta 3 anni dopo per 15 milioni circa di Euro.

UN "PERICOLO" PER JOHN

Molti tifosi ricordano che Giraudo era in scadenza di contratto, mentre Moggi poteva semplicemente essere licenziato. «Giraudo e Moggi, un “pericolo” per John» è il XXX capitolo del libro mai pubblicato di Gigi Moncalvo, un capitolo che aiuta a comprendere i motivi per cui quei due non potevano essere mandati via in maniera così semplice. Il perché ci fosse il bisogno di colpire Giraudo anche mediaticamente.
I.S.

di Luigi Moncalvo
Per dodici anni la struttura Girando-Moggi-Bettega è rimasta immutata e ha rappresentato il team di dirigenti più preparati del calcio moderno. Umberto aveva voluto e fatto in modo che la Juventus fosse così forte e ben organizzata non solo perché gli era molto cara ma anche perché immaginava che una simile solidità e strutturazione, nel momento in cui suo figlio ne avesse assunto la guida, avrebbe consentito ad Andrea di poterla gestire con tranquillità.
Dopo la morte di Umberto, in ossequio alla fedeltà e riconoscenza verso di lui, Giraudo comincia a preparare il terreno per l’ingresso di Andrea. La Juventus è anche una passione del giovane figlio del Dottore e della vedova, Allegra Caracciolo. Avere un Agnelli di nuovo al vertice della società è importante: Andrea porta il cognome della casa, è figlio di Umberto, è tifoso della Juve, è giovane e intelligente, ha fatto ottimi studi, gode di stima e considerazione, è la persona giusta per dare continuità alla dinastia che ha sempre legato il proprio nome a quello della Juve.
La scelta è ineccepibile, ma le prime mosse di Giraudo sono molto prudenti. Conosce bene i delicati equilibri su cui si reggono i vari rami della famiglia e prevede i contraccolpi e le invidie che potrebbe suscitare un’ascesa troppo repentina di Andrea. Il progetto, su cui Moggi è d’accordo, prevede che il giovane venga inserito nella società gradualmente fin dal 2005 e che poi, a partire dal 2006, assuma ruoli sempre più marcati. Giraudo è consapevole che non c’è niente di meglio dello sport cime trampolino di lancio e cassa di risonanza per un giovane manager da mandare in orbita. Luca di Montezemolo e il suo modo di utilizzare la Ferrari come vetrina è la prova che lo sport, specie attraverso “marchi” famosi, può apre prospettive amplissime in ogni campo.
L’immagine di Andrea può “crescere” moltissimo grazie alla Juventus anche perché Giraudo e Moggi sapranno portare la squadra a grandi successi senza chiedere agli azionisti Fiat o alla famiglia di aprire il portafoglio per finanziare la squadra. Soprattutto, garantiranno ad Andrea la possibilità di prendersi tutti i meriti mentre loro saranno pronti a fare da parafulmine in caso di imprevisti. Una Juve da prima pagina consentirà al giovane Agnelli di essere considerato l’artefice di vittorie e buona amministrazione, di successi e di fortuna, e farlo diventare l’idolo dei quattordici milioni di tifosi che in ogni parte del mondo seguono la Juventus. L’idea è perfetta, ma c’è qualcuno che, dietro le quinte, la intuisce, ne vede le prospettive, non la condivide e quindi comincia a muoversi per ostacolarla e impedirla.
Moggi ricorda che, appena saputa la notizia della morte di Umberto, ebbe questa sensazione: “D’improvviso mi sono sentito più solo. Senza ombrello, senza una luce. Prima l’Avvocato, poi il Dottore: la Juve non sarebbe stata mai più la stessa. Ma anche noi”. La morte di Umberto non lascia “orfani” solo Giraudo, Moggi e la Juventus ma crea all’interno di tutto il Gruppo un immenso vuoto di potere che va colmato al più presto. La scomparsa di Umberto rappresenta la fine della generazione dei fratelli Agnelli. E se non c’erano dubbi, dopo la morte di Gianni, che Umberto sarebbe stato il suo successore alla guida del gruppo, ora ci sono molte caselle da riempire. Non ci sono più a disposizione nomi della generazione di Gianni e Umberto, essendo le sorelle fuori gioco. La decisione di puntare su John, come abbiamo visto, era già stata presa. Qualcuno ha accelerato i tempi e lavorato in questo senso forse anche forzando la situazione senza rispettare le necessarie “procedure” famigliari. E quindi colui che si trova in rampa pronto per essere lanciato in orbita è solo John. Nulla deve ostacolare questo disegno. Qualunque intralcio, grande o piccolo, diretto o indiretto, si presenti sulla strada della leadership di John deve essere abbattuto con la massima decisione.
E’ chiaro che un eventuale entrata in scena di Andrea, per di più col vantaggio indiscutibile di chiamarsi Agnelli contrariamente al cugino, crea notevoli disturbi a tutta l’operazione, anche se si tratta “solo” della Juventus. Bisogna impedire che la popolarità che in un paio d’anni Andrea sicuramente avrebbe raggiunto grazie al calcio lo proietti anche verso altri incarichi all’interno del Gruppo. Non ci sono dubbi che Andrea, sulla scia della Juve, avrebbe potuto diventare un potenziale “concorrente” di John, un ostacolo sul cammino della sua ascesa al potere, creando un pericoloso dualismo in cui due giovani della quarta generazione avrebbero dovuto fare i conti l’uno con l’altro. Tra l’altro uno, Andrea, avrebbe avuto l’indiscutibile vantaggio di poter contare su due atout di rilevante importanza: la popolarità e il sostegno di milioni di persone, e un’immagine legata a una attività come la Juventus e il calcio certo molto più popolari, “simpatiche” e immediate di quanto non siano l’IFIL, l’IFI, la Fiat.
I registi dell’operazione-John non possono assolutamente consentire che colui sul quale hanno deciso di puntare trovi un simile ostacolo sulla sua strada. Ecco quindi che, per bloccare l’ascesa di Andrea, o anche solo la sua discesa in campo, occorre azzoppare ed eliminare i due uomini che hanno pensato a lui e che vorrebbero lanciarlo in orbita: Giraudo e Moggi. Occorre trovare il modo per farli fuori. Questo modo esiste ed è frutto del combinato disposto di alcune circostanze che si realizzano grazie al contributo diretto o indiretto, voluto o involontario di una serie di personaggi che a vario titolo compaiono nella vicenda o ne restano dietro le quinte, molti dei quali diventano inconsapevolmente e senza nemmeno immaginarlo elementi di questa operazione. Il PM Giuseppe Guariniello di Torino. Il presidente della Federcalcio, Franco Carraro. Il presidente della Lega Calcio, Adriano Galliani. Il presidente dell’Inter, Massimo Moratti. Il direttore generale nerazzurro, Giacinto Facchetti. Marco Tronchetti Provera e il “Tiger team” di spionaggio telefonico di Telecom (Tavaroli, Cipriani, Ghioni). Il professor Guido Rossi. L’ex Procuratore della Repubblica di Milano, Francesco Saverio Borrelli nelle sue nuove vesti di Capo dell’Ufficio Indagini della Federcalcio. Luca di Montezemolo. Franzo Grande Stevens. L’avvocato Cesare Zaccone di Torino. I direttori di un almeno quattro grandi giornali. E molte altre persone ancora.
Non c’è nessuna “accusa”, ovviamente, nei confronti di queste persone. Se il dottor Guariniello ha condotto inchieste giudiziarie sulla Juventus ha disposto per motivi d’ufficio intercettazioni telefoniche sugli apparecchi di Giraudo e Moggi, questo non significa che egli lo abbia fatto per facilitare l’ascesa di John ai vertici del gruppo Fiat o per “togliere di scena” Andrea Agnelli. Lo stesso vale per alcuni altri di coloro che abbiamo indicato e che si prefiggevano scopi ben diversi. Alla fine però il lavoro, l’attività, le informazioni, le decisioni degli uni e dagli altri o il loro comportamento adottato in un passato vicino o lontano, sono stati utilizzati dalla “regis acentrale” per mettere a punto l’operazione e portarla a compimento.
Per impedire ad Andrea Agnelli di salire ai vertici della Juve, per “fare fuori” Giraudo e Moggi, occorre inevitabilmente fare del male, per qualche tempo, alla stessa Juventus. E’ un “danno collaterale” inevitabile, un effetto del “fuoco amico”, un male necessario e calcolato del quale non si può fare a meno.
L’origine della storia di “Calciopoli”, da questo punto di vista, assume una nuova luce. E molti fatti che potrebbero apparire inspiegabili, diventano meno misteriosi se si pensa qual era il risultato finale che si prefiggeva Torino. Il dottor Guariniello, come sempre, ha fatto il suo dovere e non ha abusato del suo ruolo né dei suoi poteri nel momento in cui ha deciso di continuare a tenere sotto controllo i telefoni di Moggi e Giraudo al termine dell’inchiesta sul presunto uso di sostanze vietate da parte di alcuni calciatori juventini. Il processo si è concluso positivamente per la Juventus, ma il dottor Guariniello aveva tenuto aperta un’altra branca di quella inchiesta e disposto nuovi controlli e attività investigative. Da quelle nuove intercettazioni non emergeva nulla di penalmente rilevante ma il PM aveva deciso di trasmettere quelle intercettazioni alla Federazione Gioco Calcio affinché verificasse se da quelle carte emergevano per caso violazioni ai regolamenti sportivi.
Franco Carraio, presidente della FIGC, tiene chiuse a lungo nel suo cassetto quella grande quantità di intercettazioni arrivate da Torino. Poi all’improvviso decide di tirarle fuori. Perché e su sollecitazione di chi? Da quel momento si forma la palla di neve che in breve diventerà una valanga. Accade di tutto. La regia giornalistica e il distillato quotidiano delle notizie. I processi sportivi. L’incredibile richiesta del legale della Juventus di condannare la squadra alla serie B. La rinuncia della stessa società a fare ricorso al TAR senza “contrattare” migliori condizioni (come l’annullamento della retrocessione, accettando una forte penalizzazione, come Milan e Fiorentina). La vendita di alcuni pezzi pregiati (come Ibrahimovic o Vieira) a una diretta concorrente come l’Inter a un prezzo irrisorio, accompagnato dai ringraziamenti dei dirigenti juventini. Gli scudetti tolti a tavolino e assegnati all’Inter (che li ha presi e festeggiati) proprio da un suo ex consigliere di amministrazione (Guido Rossi). L’assunzione dello stesso Rossi nel gruppo Fiat con una consulenza di molti milioni di euro. Il mancato coinvolgimento legale nella vicenda di Franzo Grande Stevens, che era il presidente di quella Juventus “chiacchierata”. Il salvataggio del Milan e della Fiorentina dalla serie B (segno evidente che si voleva colpire solo la Juve). La scoperta di molte manipolazioni nelle intercettazioni. La “fama” di chi le aveva eseguite e messe a disposizione che figura indagato in importanti inchieste penali. L’operazione-spionaggio condotta da una società che faceva capo a un altro dirigente proprio dell’Inter. Il “patteggiamento” della Juventus anche se la giustizia sportiva non ha scoperto alcun “reato”. Un processo, a Napoli, che non approda a nulla. La magistratura campana che, anziché occuparsi di munnezza e camorra, impiega uomini e mezzi investigativi per “Calciopoli”. E tante altre cose ancora. Con un punto fermo: la Juventus è la maggior danneggiata, Moggi e Giraudo vengono fatti fuori.
Insomma quello che Giraudo aveva intuito al termine della stagione 2004-2005 (“Luciano, questo è l’inizio della fine”), si verifica puntualmente. Moggi ricorda di aver risposto che non capiva, la Juve stava vincendo tutto, le cose andavano bene. Ma Giraudo era scuro in volto e pessimista per il futuro. Che cosa stava succedendo, che cosa stava per succedere? Moggi non aveva lo stesso tipo di antenne di Giraudo all’interno della galassia Fiat per raccogliere voci e segnali o per fiutare l’atmosfera. Ma, anche nel suo “piccolo”, Moggi si accorge che qualcosa non va, che c’è una certa freddezza, che nessuno collabora più come dovrebbe. Nel suo libro l’ex direttore generale della Juventus racconta il contenuto di una telefonata con Lapo Elkann, facendo questa premessa: “Vi sembrerà banale, ma più di ogni altro discorso può valere questo colloquio”. E’ il 4 febbraio 2005, Moggi chiama Lapo e chi chiede di poterlo incontrare al più presto “per farci due chiacchiere”. Lapo cerca di guadagnare tempo e alla fine, messo alle strette, “si ricorda” che qualche giorno dopo sarà a Palermo proprio in concomitanza con la partita di campionato della Juventus, per consegnare una Y di colore rosa al centravanti Luca Toni. I due decidono di vedersi nell’albergo che ospita la squadra, a Villa Igiea, Moggi anticipa il problema che si è venuto a creare per le auto di rappresentanza. “All’improvviso ci venivano create difficoltà crescenti anche sulle piccole cose. Le auto di rappresentanza per i giocatori o i dipendenti della società, ma anche per fare dei piccoli favori a persone funzionali al nostro lavoro, dovevano essere cose automatiche in una grande azienda. In quel periodo, invece, faticavamo a far tutto. Ad avere qualsiasi cosa. Non parliamo poi dei soldi per il mercato dei giocatori: rubinetti chiusi. Fortunatamente siamo riusciti a gestire la Juve senza bisogno di interventi esterni degli azionisti di riferimento, altrimenti sarebbero stati problemi. Gli attacchi interni ed esterni c’erano eccome. La nostra solitudine era palpabile”.
Il primo a parlare (o a essere mandato avanti), come sempre, è Lapo: “Fece pesanti ironie su di noi in diverse interviste. Disse che “alla Juve si dovrebbe sorridere di più”, non nascose mai la sua antipatia per la Triade. Non ci saremmo mai aspettati un colpo così basso, per di più in pubblico”. Ma i problemi veri non erano né le vetture né le uscite di Lapo. “Sono successe cose anche più grosse – ricorda Moggi -. Gli eredi dell’Avvocato e quelli del Dottor Umberto non erano chiaramente in sintonia sulle scelte future e sugli assetti del gruppo. Forse io sono rimasto schiacciato da questa lotta. E’ stranissimo, infatti, l’atteggiamento tenuto dalla Juventus società, ma anche dalla proprietà, prima, durante e dopo lo scoppio di questo scandalo, vero o presunto che sia. In società (il cui presidente, non dimentichiamolo, era Franzo Grande Stevens sicuramente molto addentro alle cose del palazzo di Giustizia di Torino, NdA) erano al corrente dell’inchiesta a nostro carico aperta dai giudici torinesi e delle intercettazioni telefoniche alle quali eravamo stati sottoposti sia io che Giraudo. Il tutto era stato archiviato in sede penale ma il dossier con le intercettazioni era stato inviato per conoscenza alla giustizia sportiva della Federcalcio. Io non sono mai intervenuto su Carraro o sui giudici, Giraudo neppure. Se avessimo avuto tutto il potere che ora vogliono far credere, quelle carte forse sarebbero state distrutte. Invece nessuno si è interessato più di tanto. Tutti abbiamo continuato a telefonare senza misteri. Allegramente in certi casi. Eravamo assolutamente tranquilli di non aver fatto niente di male o di strano. Abbiamo continuato le nostre conversazioni nell’ambiente del pallone senza chiedere aiuti o sconti a nessuno. Del resto la richiesta di archiviazione del 19 luglio 2005 firmata da Guariniello che ci assolveva in toto parlava anche di troppo chiaro, come si legge nelle conclusioni del giudice: “Di quattro partire di campionato giocate a intercettazioni in corso, su tre non si sono registrati commenti di alcun genere idonei a supportare l’ipotesi di reato, su una invece sono state registrate significative conversazioni tra tutti i protagonisti della ipotizzata possibile frode sportiva, ma da esse non soltanto non si traggono riscontri alla ipotesi investigativa, bensì elementi di prova di segno contrario”. Ecco cosa c’è scritto, tra l’altro, nell’ordinanza. Insomma, non facevamo un bel niente”.
A fronte di questo viene da chiedersi: possibile che il presidente della Juventus, di quella Juventus, e cioè Grande Stevens, non conoscesse questi particolari? Perché non ha fatto nulla per salvare la Juventus? Perché non ha messo in campo tutta la sua conoscenza del diritto e anche il suo prestigio, la sua autorevolezza, il suo peso per salvare la Juve? Possibile che pur di sacrificare Giraudo e Moggi, e la possibilità che Andrea Agnelli salisse al potere nella Juventus, si sia buttata via anche l’onorabilità, la rispettabilità, il prestigio della squadra bianconera e dei suoi milioni di tifosi? “Nessuno - prosegue Moggi – si è preoccupato che quel pacco di carte potesse uscire da qualche parte e portare discredito alla Juventus. Anzi, il giornale che per primo ha pubblicato le intercettazioni integrali e forse più di ogni altro ha dato risalto negativo a questa vicenda, è stato proprio “La Stampa”. E la campagna contro la Juventus è stata orchestrata dalla “Gazzetta dello Sport”, l’altro giornale partecipato dalla famiglia”. Questo è un altro particolare significativo che depone a favore della tesi secondo cui i vertici del Gruppo, non avendo mosso un dito per arginare l’ondata di fango contro la Juve e non avendo consentito un’adeguata difesa della società, potessero in qualche modo essere al corrente dell’operazione in corso e non ne fossero, sotto certi aspetti – quelli che abbiamo visto – dispiaciuti per i risultati cui avrebbe portato ai danni di Giraudo e Moggi. E’ pensabile infatti che il Gruppo che controlla “La Stampa” ed è, anzi in quel momento era, l’azionista principale e più “pesante” di RCS Mediagroup, la casa editrice del “Corriere della Sera” e della “Gazzetta dello Sport”, non abbia mosso un dito per “richiamare” i direttori a un maggiore “rispetto” verso la vecchia Signora? Possibile che direttori e giornalisti sempre attentissimi a non mettersi in urto con la proprietà, e gli interessi nei vari settori di attività, in quella occasione siano andati così a lungo a ruota libera senza avere la certezza che a Torino quella linea faceva piacere?
Moggi va al cuore del problema e, ben consapevole che per distruggere lui e Giraudo avrebbero dovuto distruggere anche la Juventus e riprenderne il controllo assoluto, aggiunge, aprendo un nuovo scenario: “Anche se la Triade avesse commesso gravi reati, una società quotata in Borsa doveva comunque sempre difendere i suoi manager. Non foss’altro per non affossare i suoi beni, il capitale, l’immagine. Invece, anche senza prove, anche senza carte, con le sentenze di là da venire, siamo stati scaricati come se avessimo la peste. Ho avuto la sensazione condita da qualche certezza, che il piano fosse proprio questo: far fuori Giraudo, Bettega e Moggi. Costi quel che costi”.
Fino a questo punto l’ex direttore generale della Juve non ha mai parlato di John. Ma non bisogna pregarlo a lungo per rivelare un altro indizio: “Anche John Elkann - dice - ci ha scaricato immediatamente. Domenica 7 maggio 2006 la Juventus ha giocato in casa contro il Palermo. Era la prima partita dopo la pubblicazione delle telefonate, lo scandalo stava divampando, ma senza contorni netti. Eppure il giovane John ha detto deciso che “la proprietà starà vicina alla squadra e all’allenatore”. Già sepolti Giraudo e Moggi che alla Juve hanno dedicato dodici anni di vita”. Moggi rivela un altro particolare significativo che certo non depone a favore di John in quanto ai metodi adottati a Torino per “scaricare” qualcuno: “In quei giorni nessuno mi ha chiamato e non soltanto per starmi vicino, ma neppure per chiedermi spiegazioni. Per avere la mia versione dei fatti. Credo che sarebbe stato naturale. Anche a un bambino che sbaglia, prima della punizione si chiede una giustificazione. A Moggi no. Punito. Condannato. Ripudiato. Cancellato”.
John disse in quella occasione, spiega: “Ci siamo resi conto dei problemi quando i giornali hanno pubblicato le intercettazioni; erano proble¬mi gravi. Lì abbiamo capito che il manage¬ment Juve non si era comportato in manie¬ra scorretta. Quindi, abbiamo reagito con decisione per uscire dalla crisi. Non è stato difficile. Anzi, è stato semplice prendere la decisione, difficile metterla in pratica. Una reazione radicale, perché grande era la re¬sponsabilità. Sono così arrivate penalizza¬zioni pesanti, ma c’era differenza tra quan¬to ottenuto dai ragazzi sul campo e quanto fatto dal management. Ora c’è un rinnovo totale ai vertici. Noi come proprietà conti¬nuiamo a seguire la questione, le nuove in-dagini, ma vi posso garantire che non tro¬veranno nulla che non va bene nell’attuale management. La Juve resta la Juve con la sua splendida storia”.
Allora è proprio vera la nostra ipotesi di partenza? Se John era il primo e principale beneficiario dell’“azzoppamento” di suo cugino Andrea, e se questo obiettivo si poteva raggiungere bloccando i due dirigenti della Juve che avrebbero potuto mettere Andrea sull’altare, perché mai John avrebbe dovuto avere riguardo per Giraudo e Moggi, perché mai avrebbe dovuto “proteggere” la Juve e quindi anche quei due, perché mai avrebbe dovuto fare un autogol buttando all’aria le proprie ambizioni e le proprie prospettive mettendosi in gara col temibile e temuto cugino?
Moggi senza rendersene conto facilita le cose e dimostra di non conoscere questo “piano”. O forse prende atto di non avere le forze sufficienti e necessarie per contrastarlo. Subito dopo l’ultima partita di campionato, subito dopo l’ennesimo scudetto, il 14 maggio 2006 a Bari, si dimette da tutte le cariche nella Juventus, compresa la poltrona del consiglio di amministrazione. Lo fa “per evitare ulteriori imbarazzi, per lasciare libera la proprietà, per rispetto nei confronti della Juventus e dei suoi tifosi”.
Ora che ha capito come sono andate davvero le cose dice che non lo rifarebbe. Pensava che quel suo gesto avrebbe consentito agli avvocati di difendere meglio la società e di ottenere pene sportive meno severe. Ma, dopo aver visto quel che è successo, come la Juve è stata difesa, o meglio come la Juve ha dato indicazioni al proprio avvocato, Moggi è convinto che il suo sacrificio non sia servito a nulla: “L’atteggiamento dell’avvocato Zaccone lascia perplessi. Ma quando mai un difensore accetta e ammette tutte le colpe del suo assistito? Anche davanti a un cadavere ancora caldo, con l’arma del delitto in mano, c’è chi cerca di negare qualsiasi colpa. La proprietà della Juve no, ha ammesso tutto quello che veniva contestato dalla frettolosa giustizia sportiva senza sapere neppure cosa ammetteva. Ancora prima dei processi. Evidentemente la decisione di ammettere tutto era una linea condivisa. Forse qualcuno all’interno della famiglia temeva che ci potessimo impadronire della società? Forse temevano l’abilità finanziaria di Giraudo e il nostro ascendente verso milioni di tifosi?”. “A volte ho l’impressione – dice Moggi - che una strana convergenza di interessi abbia favorito quello che è accaduto a me e alla Juventus. C’era qualcuno che vedeva di cattivo occhio i nostri successi, altri che temevano lo strapotere economico bianconero. Ma forse c’è anche qualcosa di più grosso e di importante. Io di finanza mi intendo poco, di Borsa ancora meno. Fatico a capire certi meccanismi finanziari, ma una cosa è certa: dopo la morte del Dottor Umberto le cose e gli equilibri all’interno della famiglia Agnelli sono profondamente cambiati. Ho tanti difetti – prosegue Moggi – ma credo di avere il pregio dell’intuizione. Avevo intuito che non eravamo più graditi come prima, che i nostri successi venivano accolti con sorrisi a denti stretti. La Triade scelta dal Dottor Umberto per rifondare la Juve nel 1994 senza di lui, senza la sua protezione, è finita in un vortice. Giraudo, poi, aveva già gestito il Sestriere per conto del Dottore. Non era un manager qualsiasi, ma lo stratega finanziario della vedova donna Allegra Caracciolo e del figlio Andrea, eredi di Umberto Agnelli. Insomma una situazione complicata tra eredità, patrimoni finanziari, lotte di successione e di potere fra i due rami della Famiglia nelle quali non sono mai entrato, ma dalle quali ho sentito arrivare un forte vento contrario”.
Come sempre in questi frangenti, c’è anche chi unisce l’utile al dilettevole e approfitta della situazione. Luciano Moggi nel suo libro va al cuore del problema e parla di azioni, di soldi, di plusvalenze: “Secondo uno studio del “Sole-24Ore”, pubblicato anche nel libro “Inchiesta su Calciopoli” di Mario Pasta e Mario Sironi, due studiosi di economia e diritto, nei mesi immediatamente prima dello scandalo c’è stato un massiccio rastrellamento in Borsa delle azioni della Juventus con volumi di scambio dieci volte superiori rispetto alla media dei quattordici mesi precedenti. Mi hanno fatto notare – aggiunge Moggi – che a gennaio del 2006 le azioni bianconere erano quotate circa 1,30 euro, mentre proprio in quel periodo tra marzo, aprile e maggio, il valore è salito a 2,46: quasi raddoppiato. Solo un caso? Una coincidenza? Il giallo qui diventa prettamente economico: le sto pensando veramente tutte”, osserva Moggi. E lancia un altro segnale riguardante l’Inter e Moratti, Telecom e Tronchetti Provera: “Se andiamo a mettere tutto sotto la lente d’ingrandimento, dietro i fascicoli, i pedinamenti e le intercettazioni illegali dell’affare Telecom ci sono anche persone dei servizi segreti finite in carcere. Qui c’era in ballo un potere sportivo che si intersecava con il potere economico. C’erano personaggi da tenere sott’occhio. Attività da monitorare. Anche le cessioni di Vieira e Ibrahimovic all’Inter mi sono sembrate strane,. Affrettate. Quasi pilotate. Un giorno di luglio del 21006, non ricordo la data, ero sotto l’ombrellone sulla spiaggia di Follonica quando mi telefona il procuratore di Ibrahimovic per dirmi che aveva chiuso con il Milan. La Juve, però, voleva vendere il giocatore all’Inter a tutti i costi. Non sentiva ragioni. Forse per semplici motivi e strategie di mercato. Forse. Ma intanto io sono ancora qui a chiedermi: perché?”.
Col passare del tempo, di tanto in tanto emergono altri indizi significativi. Ad esempio c’è il presidente dell’Inter che rivela su Ibrahimovic e Vieira: “Non solo ci fecero un ottimo prezzo, ma ci ringraziarono di cuore…”. Forse era un gesto di riconoscenza per aver dato un “contributo” in dossier e intercettazioni utili a far fuori Giraudo e Moggi? E accade anche, all’improvviso, che nel dicembre 2007, il Presidente della FIFA (Fédération Internationale de Football Association), Joseph Blatter da Zurigo in un’intervista all’Agenzia Ansa rivela un particolare inedito su Calciopoli: “Credo sia ora passato abbastanza tempo per poterne parlare. Quando scoppiò lo scandalo, nel 2006, Luca di Montezemolo svolse un importantissimo ruolo di moderatore. E' in gran parte merito suo se la Juventus non si rivolse ai tribunali ordinari dopo le sanzioni conseguenti allo scandalo”. Ma che c’entra Montezemolo? In una intervista a “Panorama”, l’ex capo della security Telecom, Giuliano Tavaroli, racconta che “durante la “campagna elettorale” per la presidenza di Confindustria, si preoccupò di proteggere il candidato favorito, Luca Cordero di Montezemolo, da eventuali attacchi di un gruppo di industriali contrari alla sua elezione”. Ecco quali erano quali e quanto ”affettuosi” erano i rapporti tra Montezemolo e Tronchetti Provera e quanto probabilmente si sono riflessi anche nel mondo del calcio. Tutte coincidenze?”.
Il golpe dell’estate 2006 ha prodotto questi risultati:John Elkann ha calpestato calpestato il gentlemen agreement tra Gianni ed Umberto, ha allontanato la dirigenza della Juventus prima di ogni processo e sentenza, ha praticamente sottratto a suo cugino Andrea la possibilità di guidare la Juventus, ha messo sotto controllo il club affidandolo a un presidente, Giovanni Cobolli Gigli, definito dai tifosi “la più grande sciagura juventina dai tempi di Luca Cordero di Montezemolo”.
Lo stato d’animo di molti milioni di tifosi juventini è illustrato alla perfezione da Christian Rocca, appassionato juventino e giornalista de “Il Foglio”, che ha messo sotto tiro l’uomo scelto da John, Gabetti e Grande Stevens (oggi presidente onorario della Juventus): “C’è un presidente di una squadra di calcio italiana che non sa quanti scudetti abbiano vinto i suoi ragazzi e che non riesce a rispondere a una domanda semplice semplice. Questa: quanti campionati ha vinto la Juventus? Ventisette, ventotto o ventinove? (For the record: sono 27 per i frequentatori delle curve sud, 28 per l’Italia di mezzo, 29 per chiunque capisca di calcio). Il presidente della Juventus invece non sa rispondere. Meglio, non vuole rispondere. Probabilmente, non può rispondere. Sui documenti ufficiali, compreso il sito della Juventus, ha fatto scrivere 27. Davanti alla sede ha fatto togliere la fioriera rossa che mostrava il numero “28”. Sul pullman di servizio, le stelline dei trofei sono due di meno. Nelle interviste, a volte dice 27, a volte spiega che sono 28. In altre occasioni si lamenta che nessuno gli restituirà mai quei due titoli scippati, una cosa ovvia non avendoli mai chiesti indietro. Stando al giornale di famiglia, “La Stampa”, Cobolli Gigli ha addirittura applaudito con convinzione quando gli è stato comunicato che la coppa dello scudetto che la Lega aveva consegnato alla Juventus nel 2006 era un falso, ché quella vera stavano per consegnarla a tavolino a Moratti. Era, insomma, dai tempi di Luca Cordero di Montezemolo che alla Juventus non capitava una sciagura come l’avvento di Giovanni Cobolli Gigli.
Christian Rocca prosegue: “Il presidente è un uomo elegante, certamente piacevole, gentile come pochi, quindi l’esatto contrario di quanto servirebbe a una squadra di calcio che al momento del suo arrivo aveva a disposizione la formazione più forte degli ultimi quindici anni, compresi nove tra campioni e vicecampioni del mondo più, a fare undici, il pallone d’oro Nedved e il migliore calciatore in circolazione, quell’Ibrahimovic che da solo ha vinto un paio di campionati cui dà importanza soltanto un giornale rosa che si trova sui banconi dei bar dello sport. Quella squadra formidabile non c’è più. Cobolli l’ha smantellata. Da manager proveniente dalla grande distribuzione, ha distribuito due campioni al Real, due al Barcellona, due alla Fiorentina e due agli indossatori-di-scudetti-altrui, rafforzando tutti e indebolendo solo la società che rappresenta. Per un soffio, al simpaticissimo Cobolli, non è riuscito di vendere anche Buffon, Camoranesi e Trezeguet, ma per loro c’è ancora tempo. Certo la Juve stava per essere retrocessa, ma il dramma di Cobolli è che la Juventus non è andata in B per le colpe della vecchia gestione Giraudo-Moggi, cioè di Umberto Agnelli, visto che le accuse da bar dello sport sono state rigettate sia nei processi sportivi sia in quelli penali (non c’è stata alcuna partita truccata, nessun sorteggio taroccato, nessuna ammonizione mirata e gli arbitri sono stati assolti). La Juventus è in B perché la sua proprietà, ramo Gianni Agnelli, ha deciso per motivi oscuri di non difendersi e di sbarazzarsi degli ingombranti uomini del ramo Umberto. Nessuno sarebbe riuscito meglio di Cobolli a farsi travolgere come ha saputo fare lui. La Juventus cobolliana ha chiesto di essere retrocessa, purché con forte penalizzazione e malgrado non ci fosse “uno straccio” di prova come aveva scritto la procura di Torino chiedendo l’archiviazione dell’indagine. Poi ha rinunciato al Tar e anche al Tas, infine a qualsiasi altro strumento anche simbolico per ribadire che la Juventus quei titoli li aveva vinti meritatamente sul campo. Cobolli quasi non c’entra, fa anche tenerezza, forse meriterebbe un premio, il suo problema è che vanta una credibilità pari al numero di scudetti vinti da Moratti”, conclude Christian Rocca.
I tifosi rimproverano a John molte cose: “Ha preso, o non ostacolato, decisioni e comportamenti a dir poco discutibili nella forma e nella sostanza. Oltre all’allontanamento preventivo della Triade, si è distinto per dichiarazioni altamente lesive della dignità e della passione dei tifosi, infangando, di fatto, il lavoro compiuto dalla dirigenza scelta personalmente da suo zio Umberto. Ha chinato il capo durante tutta la vicenda “Calciopoli”, evitando colpevolmente di spendere anche una sola frase di conforto per i tifosi affranti. Ha subito le pressioni di mezza Italia per rinunciare al ricorso al TAR, lasciandosi convincere da Montezemolo, che fu poi ringraziato pubblicamente dal presidente della FIFA, Blatter. Ha insediato ai posti di comando della società persone che sembrano inadeguate, dal punto di vista professionale e comportamentale, a reggere il blasone della Juventus, rallentando, di fatto, il ritorno all’eccellenza”. I tifosi sono tutti per Andrea: “Il ragazzo, subito dopo “Calciopoli”, ha preferito accettare con stile le decisioni prese ai piani alti della IFIL. Una scelta dura per chi come lui – e come suo padre e sua madre, tifosissima - viveva e vive per quella maglia bianconera. Una scelta dettata dal ricordo dei toni moderati e dalla assoluta abnegazione che aveva appreso dal padre. Una scelta che però ha causato in lui e in sua madre, Donna Allegra Caracciolo, un profondo rincrescimento che tuttora li tiene lontani dallo stadio. Donna Allegra nutre una passione sconfinata per i colori bianconeri, ha sofferto e sta soffrendo per la sorte della squadra e per le offese che hanno dovuto subire tutti i tifosi. Con Andrea fino a due anni fa frequentava assiduamente la squadra e i dirigenti, sia durante gli allenamenti sia allo stadio, dove non mancava praticamente mai. Chi è attento ai fatti juventini non può non aver notato che la figura carismatica ed elegante di Donna Allegra e quella sorridente e affabile di Andrea sono da troppo tempo assenti dal palcoscenico delle vicende bianconere. Lo stile Agnelli impone che qualunque tipo di scelta o discussione, anche la più complicata, venga fatta lontano dai riflettori e salvaguardando prima di ogni altra cosa l’immagine della Famiglia. Non deve essere stato facile quindi per Andrea digerire l’allontanamento della Triade, al quale era legato non solo dal punto di vista umano, ma anche perché quei manager rappresentavano ancora una scelta di suo padre Umberto. Molti, specie tra i tifosi, si chiedono quali saranno le sue prossime mosse. Se rinuncerà definitivamente a salire sul ponte di comando per cui era stato già designato. Se un giorno parlerà raccontando ciò che è accaduto. Ma anche la scelta del silenzio in questi anni ha fatto crescere nell’immaginario collettivo un caleidoscopio di ipotesi, congetture, scenari. Come quello che lo descrive pronto a diventare il Presidente di una Juventus al di fuori dall’orbita FIAT e IFIL”. I tifosi gli hanno scritto recentemente: “Noi che amiamo la Juventus in modo travolgente, come lei, siamo certi che si stia preparando per la Juventus un futuro emozionante. Ci piace quindi sperare che un giorno non lontano lei possa tornare a passeggiare sull’erba di un nuovo stadio, tenendo al suo fianco gli amici di suo padre, Giraudo e Moggi prima di tutti. E possa ammirare quelle maglie che hanno fatto la storia del calcio vibrare nella corsa dei campioni che le indossano. Ed esultare per quella terza stella che finalmente i nostri ragazzi ci avranno regalato”.

"UCCIDERE" LA JUVENTUS

«“Uccidere” la Juventus per bloccare Andrea Agnelli» è il primo dei due capitoli dedicati alla Juventus di un libro che nessun editore ha voluto stampare e di cui il quotidiano “Libero” sta pubblicando in questi giorni alcuni capitoli. Come sempre, quando si parla della «Famiglia», quando il racconto è scomodo per parte di essa, il caso vuole che quella storia non emerga, che quel libro, quell'articolo, quel servizio restino confinati in qualche cassetto. Gigi Moncalvo nel suo libro ripercorre buona parte della storia mai raccontata degli Agnelli, prendendo il lettore per mano ed accompagnandolo lungo le tante e tortuose vicende che hanno portato John Elkann a guidare il Gruppo; la madre, Margherita, a rivolgersi ai tribunali e la Juventus in serie B.
I.S.
di Luigi Moncalvo
Oltre a Villar Perosa, tra i simboli della Famiglia di Gianni e Umberto, ce n’è un altro: la Juventus. Anche la storia di questo club è legata a Villar Perosa. Fino a qualche anno fa la squadra andava in ritiro pre-campionato in Val Chisone e la prima uscita ufficiale, a Ferragosto, era una festa per tutti i tifosi. L’Avvocato faceva l’impossibile per esserci ed era la star indiscussa della giornata. Poi i cambi del calendario calcistico, le tournèe estive, i miliardi pagati da località turistiche per ospitare la preparazione, hanno portato la Juventus lontana da Villar Perosa, dove spesso si svolgeva anche il ritiro prima della partite di campionato o di Champions. Un’ala esterna della proprietà, accanto allo stabilimento della RIV, ospitava il pensionato delle squadre giovanili e della prima squadra, un palazzo di tre piani dove sono passati i più grandi fuoriclasse della storia meno recente dei bianconeri. Un passatempo dei calciatori più giovani, che soggiornavamo più a lungo, era andare, in primavera, a raccogliere le ciliegie nella villa dell’Avvocato, ma di nascosto perché i domestici e i contadini non li volevano vedere nella proprietà.
La Juventus è l’emblema di come, oggi, non venga rispettata, come dovrebbe, la memoria, il ricordo, la storia della Famiglia, in particolare di Gianni e Umberto. Così come fa un certo effetto vedere che la cassaforte del gruppo, la “Dicembre”, per la prima volta in quasi un secolo non annovera più un Agnelli, dopo che per tanto tempo le azioni sono state appannaggio esclusivo solo di chi portava quel cognome, allo stesso modo fa un effetto ancora più grande vedere che nel Consiglio di amministrazione della Juventus, e comunque nella parte gestionale e direttiva, da anni non è presente nessun Agnelli.
Margherita certo non si occupa di calcio, ma un Agnelli c’era e ci sarebbe almeno per rinverdire e conservare questa tradizione di famiglia. Si tratta di Andrea, figlio di Umberto, che da quasi un anno ha lasciato il gruppo, pur conservando azioni dell’Accomandita, vive a Londra con la madre Allegra, e si è messo in proprio. Un gesto certo non privo di sfumature polemiche. Anche perché Andrea aveva una grande chances per assumere incarichi importanti e soprattutto per mettere in luce la sua bravura e il DNA comune a suo padre Umberto e a suo fratello Giovanni jr. E qui occorre raccontare una serie di episodi che mettono in giusta luce una vicenda assai controversa che riguarda proprio la Juventus, e vede come protagonisti John, Gabetti, Grande Stevens e come vittime Andrea e il club tanto caro a quattordici milioni di tifosi.
La storia è questa. Al momento della morte di Umberto, 27 maggio 2004, sta terminando l’ennesimo buon campionato della Juventus. Sotto la guida dell’amministratore delegato Antonio Giraudo e del direttore generale Luciano Moggi - il presidente è Franzo Grande Stevens e gli hanno dato quel posto dopo la morte dell’avv. Vittorio Chiusano -, i bianconeri terminano il campionato conquistando il terzo posto. Tuttavia c’è un problema: l’allenatore Marcello Lippi sta per lasciare, andrà a guidare la Nazionale. Giraudo e Moggi, i due personaggi più rappresentativi della cosiddetta “triade” juventina - il terzo, Roberto Bettega, si è sempre mantenuto più defilato e aveva un ruolo meno importante, ma che Moggi definiva di “nostro ambasciatore nel mondo” -, proprio nelle ore in cui Umberto sta morendo, stanno tornando in auto a Torino. Hanno in mano un prezioso contratto che lega l’allenatore Fabio Capello alla Juventus per i successivi cinque anni. Il tecnico friulano, che oggi è il responsabile della nazionale inglese di calcio, rappresenta un grosso colpo per il futuro della Juve. E infatti la squadra avrebbe poi vinto altri scudetti sotto la sua guida tecnica.
Mentre Giraudo sul suo telefono cellulare sta per comporre il numero della Mandria per dare la bella notizia al dottor Umberto, vediamo come era stato possibile strappare Capello alla “Roma”, cui era legato da un contratto che sarebbe scaduto l’anno successivo. La vicenda, inedita, l’ha raccontata il famoso giornalista Giorgio Tosatti, figlio d’arte il cui padre era morto nella sciagura aerea di Superga poiché viaggiava nello stesso aereo del “Torino”. Tosatti è sempre stato, giustamente, considerato un autentico “guru” del mondo del calcio. Editorialista del “Corriere della Sera”, personaggio televisivo di prima grandezza e anchor della “Domenica Sportiva”, indiscussa autorità ascoltata e riverita dai potenti del mondo del calcio, egli rappresentava un punto di riferimento obbligato per tutte le grandi decisioni sportive. Tutto questo fino al momento della sua morte, avvenuta nel 2006 per una crisi di rigetto cardiaco dopo un delicato e difficile trapianto al quale fino all’ultimo Giorgio non avrebbe voluto sottoporsi.
A metà maggio del 2004, Tosatti riceve una telefonata da Giacinto Facchetti, il più stretto collaboratore del presidente dell’Inter, Massimo Moratti, reduce da un ennesimo deludente campionato che, nonostante investimenti di centinaia di milioni non aveva prodotto alcun risultato. “Giorgio, ho bisogno del tuo aiuto”, esordisce Facchetti. Racconta che vorrebbe confermare, come allenatore dell’Inter, Alberto Zaccheroni subentrato a Hector Cuper per le ultime partite. Purtroppo la posizione di Facchetti non è vincente: Moratti vuole Roberto Mancini, il giovane allenatore che sta per lasciare la Lazio, mentre Marco Tronchetti Provera, il vicepresidente, dice che bisogna puntare sul “migliore di tutti”, cioè Capello. Facchetti è d’accordo su Capello ma sa che è legato ancora per un anno alla Roma e non vuole fare scorrettezze allacciando una trattativa. Facchetti chiede a Tosatti se può essere lui a sondare Capello e vedere se si può sciogliere il contratto con la Roma senza creare problemi.
Tosatti si mette subito all’opera. Capello è interessato, va a parlare col presidente della “Roma”, Franco Sensi, da alcuni mesi non prende lo stipendio, la Roma ha problemi di liquidità, forse esiste uno spiraglio. Capello chiama Tosatti poche ore dopo: “Siamo arrivati a un accordo. Sono libero, ma solo per dieci giorni, di cercarmi un’altra squadra. Se la troverò mi dimetto, rinuncio agli stipendi arretrati e libero la Roma. Di’ a Facchetti che aspetto una telefonata, ma entro dieci giorni”.
Tosatti chiama il general manager dell’Inter e lo informa, “ma fai presto”. Facchetti risponde in modo meno entusiastico di quanto Tosatti si aspettasse: “Lo so, sai come vanno le cose qui all’Inter. Tutto è sempre così complicato…”. “Non fatemi fare brutte figure”, replica Tosatti un po’ contrariato. Il suo presentimento si rivela esatto. Dopo otto giorni Capello lo richiama: “Giorgio, qui c’è qualcuno che mi prende in giro. Non mi ha telefonato nessuno dell’Inter…”.
Tosatti è furibondo: “Se c’è qualcuno che si sente preso per i fondelli quello sono io. Penso io a sistemare le cose”. Compone il numero di Luciano Moggi e gli dà la “dritta”, dopo avergli raccontato tutto.
Moggi non aspetta altro. Sta per chiudere con Didier Deschamps, ma il francese non lo convince troppo. Ha provato a cercare l’“allenatore perfetto” ma non lo trova. Arsen Wenger dell’Arsenal non vuole lasciare l’Inghilterra. Ha sondato Cesare Prandelli, ma gli è sembrato troppo remissivo, si accontenta di un ingaggio da poco, non ha chiesto giocatori particolari, gli è parso privo delle ambizioni necessarie: probabilmente a un ex giocatore della Juve basta sedersi su quella prestigiosa panchina per sentirsi appagato. Deschamps alla fine è sembrato più motivato, più grintoso, ha fatto una buona impressione anche al Dottor Umberto. Ma la firma sul contratto non c’è ancora poiché il francese si è messo a questionare su alcuni giocatori, li vuole a tutti i costi, Moggi ha saputo che fanno parte della “scuderia” dello stesso procuratore dell’allenatore. E la cosa non gli piace.
In questo quadro, Fabio Capello è l’allenatore perfetto. Moggi e Giraudo chiamano Umberto: “Faccia lei, comandante. Quello che fa lei va sempre benissimo”. Moggi fa subito la telefonata a Capello, si scambiano via fax le bozze del contratto, si vedranno il pomeriggio successivo a Milano. Il giorno dopo una stretta di mano suggella la positiva conclusione della trattativa: Fabio Capello è il nuovo allenatore della Juventus per i prossimi cinque anni.
E’ sera quando Giraudo e Moggi in macchina stanno tornando a Torino. “Chiamiamo il Dottore”, dice Moggi. Giraudo guarda l’orologio: “Sono quasi le dieci, starà dormendo. Diciamoglielo domattina”. In quelle settimane il Dottore era sottoposto a cure intense per la malattia e non lo si poteva disturbare. Pochi chilometri, una manciata di minuti e il telefonino di Giraudo suona. E’ Allegra, la moglie di Umberto. “E’ morto? Donna Allegra, ma quando è successo?”. Giraudo e “il Comandante” apprendono così la notizia della morte del loro vero e unico punto di riferimento. Lo hanno chiamato per dargli la bella notizia sperando di alleviare in qualche modo il suo dolore, e invece Umberto muore senza sapere che quei due hanno fatto l’ennesimo grande colpo per la sua Juve.
Il silenzio scende sul Suv coi vetri fumé. I pensieri volano altrove, Giraudo capisce immediatamente che senza Umberto le cose cambieranno anche per la “triade”. Il dolore per la scomparsa dell’uomo con cui ha lavorato tutta la vita, cui è stato vicino per quasi vent’anni cancella ogni pensiero e ogni preoccupazione per il futuro. Moggi sta anche dimenticando di chiamare Tosatti per informarlo di tutto e ringraziarlo.
La Juventus è stata sempre una sorta di “incombenza” riguardante il fratello minore di Gianni, un po’ com’era avvenuto per Edoardo, il loro papà, col Senatore che doveva pensare ad altro. Umberto ne era stato il presidente in giovane età, se n’era assunto oneri ed onori anche in tempi più difficili, era consapevole che in vetrina c’era l’Avvocato, a Gianni chiedevano sempre pareri e battute, ma alla fin fine era lui a doversi sobbarcare la gestione con un ruolo che poteva apparire defilato e dietro le quinte ma che non lo era.
Quando, alla fine del 1993, Gianni Agnelli accettò l’aiuto di Mediobanca e di Enrico Cuccia per risollevare le sorti della FIAT, piombata in una delle crisi più gravi della sua storia, dovette accettare un compromesso. Per far fronte alla pesante situazione finanziaria fu varato un maxi aumento di capitale e fu imposto l’ingresso di nuovi soci “importanti”, tra cui Deutsche Bank e Generali. Non solo. Il vero prezzo che l’Avvocato dovette pagare fu la promessa e l’impegno di non lasciare a Umberto la presidenza del gruppo, e quindi di rimanere in sella insieme a Cesare Romiti. Il passaggio di consegne tra Gianni e Umberto era già stato stabilito all’interno della famiglia, ma il veto imposto da Cuccia, che non era mai stato in buoni rapporti con Umberto, costrinsero l’Avvocato e il Dottore a un compromesso che prevedeva per quest’ultimo il ponte di comando della “sola” IFIL. A margine di questo accordo, che segnò una svolta nei rapporti tra i due fratelli, l’Avvocato accettò che Umberto, a titolo di parziale risarcimento, prendesse anche le redini della Juventus, che avrebbe gestito in modo del tutto autonomo e indipendente.
Umberto aveva le idee chiare e mandò uno dei suoi uomini di fiducia, Antonio Giraudo a occuparsi della Juve. Il club in quel momento richiedeva sacrifici economici troppo pesanti per le casse del Gruppo, il club stava vivendo il crepuscolo della gestione paternalistica di Giampiero Boniperti, quella vecchia bandiera della Juve aveva fatto il suo tempo e ormai non riusciva a districarsi tra procuratori, agenti, diritti televisivi, bilanci, erano lontani i tempi in cui impiegava pochissime ore, nel ritiro precampionato di Villar Perosa, per far firmare i contratti ai giocatori, “prendere o lasciare, questa è la Juve”. Il primo passo di Umberto fu quello di trasformare la squadra in una azienda modello, dove tutto fosse pianificato e organizzato per grandi obiettivi. Incaricò Antonio Giraudo di occuparsi dell’area amministrativa, a Luciano Moggi fu affidata la gestione sportiva, Roberto Bettega fu assegnato alla vicepresidenza. “Ho sempre in testa la voce del Dottor Umberto – ricorda Moggi -. “Comandante, allora chi compriamo?”. Comandante, mi chiamava comandante. Ma il comandante vero era lui. Non ho mai lavorato con una persona così, con le sue capacità manageriali e organizzative, la sua intelligenza. Ha introdotto un sistema nuovo di lavorare, anche nei minimi dettagli la Juventus era organizzata come una vera e propria azienda. Ogni mese io e Giraudo andavamo all’Ifil dove con una lavagna luminosa dovevamo illustrare la situazione finanziaria, spiegare tutto il lavoro fatto negli ultimi trenta giorni e le prospettive per i successivi trenta, guardando sempre al budget e agli obiettivi prefissati. Raramente siamo andati fuori dai binari, per dodici anni la Juventus ha funzionato come un orologio svizzero e il merito è tutto di Umberto. Era un piacere e una bellezza, per un come me abituato a lavorare con società sempre al limite e sempre piene di problemi è stata un’autentica sorpresa. Umberto voleva sempre essere il primo in tutto, questa carica e questa volontà l’ha trasmessa anche a me. A noi tutti. Era una grande squadra, dall’ultima segretaria al primo dirigente. “Tutto bene, comandante?”, mi domandava ogni volta. Tutto benissimo. E non aveva neanche la voglia di apparire o dimostrare. Non ne aveva bisogno. Non gli interessava. “Comandante, chi si compra?”, mi chiedeva un giorno. Poi, pensando ai bilanci, mi richiamava un istante dopo per aggiungere: “Comandante, ma poi chi si vende?”.
Anche l’Avvocato è entusiasta di quello che accade. Vede arrivare grandi campioni a basso prezzo, rimane sorpreso dall’abilità di Moggi nella campagna acquisti, le vittorie continuano ad arrivare copiose, senza spendere troppo, e questo basta. Un giorno a Londra, l’Avvocato viene avvicinato dal giornalista Tony Damascelli che lo stuzzica: “Quanto vi costa mantenere la Juve?”. “Fino ad ora era stato un problema. Adesso, con questi due, sta diventando un affare!”, replica Gianni Agnelli.
“Quei due” ci sanno fare. E lo dimostrano anche negli anni successivi regalando le ultime soddisfazioni sportive all’Avvocato e Umberto prima della loro morte. In quel 2004 hanno costruito la Juve più forte della storia, destinata a vincere e a dominare per molti anni. La scomparsa improvvisa di Umberto, colui che fa loro da scudo, è un brutto colpo. “Se fossero ancora in vita non sarebbe successo niente di tutto questo. Ne sono più che sicuro. Loro avrebbero avuto la forza per arrivare alla verità, per disinnescare questa bomba a orologeria piazzata nel cuore della Juventus. Me lo dicono mille sfumature, centomila frammenti di situazioni che ho vissuto dentro la società. Da quando sono morti il Dottore e l’Avvocato, tutto è diventato più fragile, io e Giraudo eravamo più soli. E senza protezioni”, dice Luciano Moggi.
Se Giraudo era legato soprattutto a Umberto, Moggi piaceva sia all’Avvocato che al Dottore, e viceversa. Dice: “Ripenso ai consigli degli Agnelli, alle idee e alla saggezza, ripenso a quegli anni quando lavorare con loro era un divertimento, una gioia, una soddisfazione. Classe, competenza e coraggio: avevano tutto. Quella stagione della Juventus è irrepetibile, nessun altro saprà fare quello che hanno fatto Umberto e Gianni. Erano diversi, profondamente diversi. Grande manager l’uno, più carismatico l’altro: li univa una passione straordinaria. Per la vita, per la Juve, per tutto. Non avevo mai conosciuto persone così. Ho letto spesso sui giornali, e ogni tanto la ritrovo da qualche parte, una frase dell’Avvocato che viene scritta e riscritta per danneggiare quel poco che resta della mia immagine e del mio lavoro. Narrano i denigratori che, saputo del mio arrivo a Torino, l’Avvocato avrebbe ironizzato: “E’ giusto così, lo stalliere del re deve conoscere i ladri di cavalli”. Riletta oggi è una frase che non mi offende, anzi mi esalta. E’ quasi una profezia. L’Avvocato conosceva benissimo il mondo del calcio, sapeva tutti i particolari delle insidie che si nascondevano fuori dal campo. E dei tanti ladri di cavalli che circolano in questo ambiente. Aveva scelto una persona per costruire la nuova Juventus, ma anche per difenderla e proteggerla dai colpi bassi e dalle imboscate. Che sono tante, lo garantisce Moggi. E poi l’Avvocato aveva la battuta più svelta della mia, tra noi era una bella lotta. Un duello continuo all’ultima ironia. Una mattina mi chiama alle cinque e mezza per dirmi: “Legga “La Stampa” e se le avanza qualcosa si ricordi di me”. Non nascondo di essere rimasto un po’ sorpreso. Di solito tra noi si parlava di calcio, lui dava giudizi sui giocatori, voleva confrontarsi sugli obiettivi di mercato. Quella frase sibillina mi incuriosì al punto di uscire per cercare un’edicola aperta nella piazza davanti alla stazione di Porta Nuova, centro metri da casa mia. Faceva un freddo polare, sembrava un esquimese. Apro il giornale e leggo. Un sondaggio tra le signore rivela: “Moggi è uno degli uomini più sexy del mondo del calcio”. Chiamo casa Agnelli e replico: “Purtroppo di quella roba non avanza mai niente, caro Avvocato. Devono avermi scambiato con mio figlio”. E giù risate.
“Questo era il nostro rapporto. Serio, serissimo e costruttivo quando c’era da parlare di calcio e della Juve. Ma spesso anche ironico e divertente come si fa tra vecchi compagni di scuola. L’Avvocato resta inimitabile, quindi essere oggetto delle sue battute argute in qualche modo voleva dire essere tenuti in considerazione. E, del resto, la dimostrazione della stima l’avevo già ricevuta due anni prima senza che nessuno avesse saputo un bel niente. C’era un filo che ci legava, lui sapeva come facevo il calcio io. E che persona sono. Era il 1992, stavo al Torino di Borsano. In pieno caos, naturalmente. Ricordo il giorno, ma non la data: era un mercoledì. La sera il Toro giocava in Coppa Italia contro la Lazio, ero nella hall di un albergo romano quando mi squilla il telefonino. Era una delle segretarie dell’Avvocato, voleva fissarmi un appuntamento per il pomeriggio. Ho fatto due calcoli al volo, pensato agli orari dei voli, ma non c’era niente da fare. Purtroppo fui costretto a rinunciare, ero l’unico dirigente presente, non potevo lasciare la squadra sola con l’allenatore. Chiesi di rinviare al giorno successivo. A un’altra ora. A un’altra data. A quando voleva lui. Non ho sentito più nulla, ma ho saputo tutto. La mattina del giorno dopo, un giovedì, c’era un programma un consiglio di amministrazione della Juve. All’epoca i bianconeri erano in difficoltà strapazzati dallo strapotere del Milan di Berlusconi e Gianni Agnelli voleva battere strade nuove, cambiare strategie di mercato e gestione per cercare di tornare a competere anche senza grandi investimenti finanziari. Erano gli anni duri della grande crisi Fiat, mettere soldi nel calcio non era né logico, né corretto, né possibile. Gli sembravo l’uomo giusto e anche senza avermi ancora incontrato illustrò ai consiglieri le sue idee. Fu sconsigliato. Lo invitarono a lasciar stare e gli spiegarono che io ero indagato per un’altra vicenda ridicola: avrei omaggiato gli arbitri che dirigevano il Torino in coppa offrendo compiacenti interpreti. Donne, naturalmente. L’Avvocato non lo sapeva, i consiglieri lo invitarono a lasciar perdere l’ipotesi Moggi politicamente non corretta e sconveniente. E così fece. Peccato che poi sarei stato assolto dal tribunale di Torino, peccato che quelle fossero davvero interpreti. Se poi subivano il fascino del fischietto era forse colpa mia? E se gli arbitri ci sapevano fare beati loro.
“Due anni dopo mi ha chiamato il fratello Umberto, senza volerlo hanno avuto la stessa idea. Con l’Avvocato ci siamo comunque ritrovati, evidentemente era destino che finisse così. Un destino fantastico. Avere la sua attenzione era gratificante. Spesso mi chiamava alle cinque e mezzo del mattino, ma io ero abituato alle alzatacce. Nei momenti più delicati, ma anche in quelli più felici mi chiamava in continuazione, dieci, quindici volte il giorno. Da qualunque parte del mondo si trovasse. Voleva sapere tutto della squadra e non soltanto la formazione. Quando c’era qualche giocatore non al massimo dava preziosi consigli per rimotivarlo. Durante il mercato aveva sempre da suggerire qualche nome interessante.
“L’Avvocato era perfettamente in linea con il mio modo di vedere il calcio: nessuna follia di mercato, buoni giocatori sì, ma con l’occhio sempre attento ai bilanci. Poi, anche lui condivideva la filosofia del calcio moderno. Non erano più i tempi romantici del legame eterno con i giocatori, lui era affezionato a Platini, ma dopo ha sposato il mio motto: “I giocatori passano, la società resta”. Condivideva anche il mio modo di costruire le squadre, abbiamo fatto lunghe discussioni su giocatori del passato e del presente, sulle loro caratteristiche, sul modo di farli giocare. Non è vero, come ha sempre scritto qualcuno, che all’Avvocato piaceva il gioco offensivo, i giocatori di fantasia e storie del genere. Lui voleva le squadre con giocatori geniali perché gli piaceva divertirsi, amava le giocate fantasiose, ma sapeva perfettamente dell’importanza dei gregari. Le grandi squadre dovevano essere equilibrate, lo ripeteva sempre: Ci vogliono anche i Furino. Anzi, quelli sono fondamentali”. Capiva il calcio e capiva gli uomini”.
Moggi conclude i suoi ricorsi: “Ho sempre nel cuore e negli occhi l’ultima volta che l’ho incontrato. Era una giornata fredda e il freddo di Torino a volte entra dentro. Quando ci ripenso avverto ancora i brividi. L’Avvocato chiamò me e Lippi. Ci voleva vedere, ci voleva parlare, ci voleva congedare come fa un grande capitano con la sua truppa. Con grande dignità e un’apparente, straordinaria normalità, non fece una parola della malattia, della paura della morte e dell’angoscia che doveva avere dentro. Era sereno. Prima di salutarci disse a mezza voce: “Chissà se vi rivedrò ancora”. Morì il giorno dopo. Quelle parole vivono ancora nella mia mente lievi come una carezza, pesanti come un macigno”.

STEF BURNS LIVE

Da sempre la ditta Boschello si occupa con passione di strumenti musicali, con particolare attenzione al mondo dei pianoforti, ed è per questo che è una garanzia per ogni esigenza: la tradizione ha avuto inizio con il fondatore Elio, mentre attualmente è il figlio Carlo che prosegue l’attività con competenza e professionalità.

E’ questo il biglietto da visita degli organizzatori di un incontro (non è assolutamente il primo di questo tipo e probabilmente non sarà di certo l’ultimo) con il chitarrista di Vasco Rossi:

VENERDI’ 09 OTTOBRE 2009 ORE 20.00
CLINIC DEL CHITARRISTA
STEF BURNS


Stef Burns collabora da molti anni con Vasco Rossi, ha lavorato con Alice Cooper, Sheila E. Deen Castronovo, Joe Satriani, Steve Vai, Quincy Jones, Patti Austin, Peppino D’Agostino, etc
Costo ingresso € 15.00
CONSIGLIAMO VIVAMENTE LA PRENOTAZIONE

Per chi fosse interessato Boschello si trova in:
via Galilei, 2
30035 MIRANO (Ve)

LA CHITARRA DI VASCO A RAPALLO

Vi sarà capitato di imbattervi durante le vostre meritate vacanze al mare in qualche complessino un po’ strampalato inc erca di un po’ di notorietà.
Magari la classica musica da strada, con musicisti improvvisati o finti “big” di richiamo.

Non è questo il caso: quello che potrete sentire, anzi gustare a Rapallo è il bellissimo e abbronzatissimo “toro di Concordia”, pelle di cuoio (sono tutti appellativi che si è visto cucire addosso nel corso degli anni), Maurizio Solieri!

Solieri è la chitrarra storica di Vasco Rossi per antonomasia, sin dai primissimi concerti: fulcro della mitica Steve Rogers Band insieme al compianto Massimino Riva (scomparso nel 1999)

Musicista, autore, produttore, compositore, Solieri ha partecipato a decine di album di artisti italiani fra cui Alberto Fortis, i Nomadi, e Massimo Riva. A Rapallo, si esibirà accompagnato dalla band “Custodie cautelari”, gruppo sulla breccia da diversi anni che possiede la caratteristica di ospitare vari big della musica italiana. Il concerto di domani sera sul lungomare è gratuito.

Questo è il suo biglietto da visita tra le news del Sole 24 ore

Appuntamento per domani sera 26 agosto con la chiusura dei concerti estivi affidata a Maurizio Solieri, alle ore 21.30 sul Lungomare Vittorio Veneto!

AL NEW YORK TIMES NON E' PIACIUTA

La decisione di Obama di esonerare Bush e le sue politiche antiterrorismo dall’inchiesta, peraltro preliminare, sui 10 abusi commessi da agenti della Cia in Afghanistan e Iraq. Gli editoriali del Times sono fuori di testa, ma al contrario delle cose che si sono lette in Italia non si può dire che non siano seri.

sabato 22 agosto 2009

CI HA MESSO POCO/24

Altri due attacchi missilistici di Obama sul Pakistan
Sono trentaquattro da quando è presidente. Stavolta 12 morti. Anche Obama, inoltre, si serve dei private contractors della Blackwater per assemblare i missili sui droni che attaccano il Pakistan.
E ora, Filippine
L’Amministrazione Obama resiste all’invito di ritirare i 600 super soldati antiterrorismo di stanza nelle Filippine.

FACEBUSH

Facebush. Sta per nascere il social network degli ex funzionari dell’Amministrazione Bush, un’associazione virtuale di tutti coloro che hanno lavorato a vario titolo con il 43esimo presidente degli Stati Uniti e vogliono provare ad anticipare quel giudizio favorevole della storia che il loro ex boss è sicuro che prima o poi arriverà a riscattare i suoi otto anni di presidenza.

IL PACIFISTA ABBRONZATO

E’ agosto, certo. Ma nonostante la canicola viene da chiedersi dove siano finiti i pacifisti, che cosa sia successo al glorioso popolo arcobaleno, sotto quale ombrellone abbia trovato ristoro quel movimento di opinione pubblica che, nei giorni della guerra in Iraq, il New York Times aveva solennemente definito “la seconda superpotenza mondiale”.
Sembrano scomparsi.
Non che il complesso militare industriale di Washington abbia dato loro ascolto e, di conseguenza, messo i fiori nei cannoni. Anzi. A Washington c’è Barack Obama, invece dell’odiato George W. Bush, ma il ministro della Guerra e i generali che la guidano sono gli stessi del presidente “guerrafondaio”. Soprattutto, i 130 mila soldati americani sono ancora in Iraq a combattere, come prima, per aiutare uno dei paesi chiave del medioriente islamico a liberarsi del suo passato criminale e dalle tentazioni teocratiche.
In Afghanistan, Obama ha raddoppiato il contingente militare e ha ordinato un’escalation bellica che coinvolge anche i paesi alleati (l’Italia ha inviato 200 soldati in più e il mese scorso per civili e militari è stato il più sanguinoso dal 2001). La campagna di bombardamenti si è strategicamente estesa al territorio pachistano, sul quale da quando Obama si è insediato alla Casa Bianca sono piovuti almeno trentadue missili.
I rapporti con l’Iran e la Corea del nord, se possibile, si sono ulteriormente complicati e, anche se si è lontani da soluzioni militari, non si vede ancora traccia di quella grande ricomposizione pacifica mondiale che l’elezione di Obama avrebbe dovuto ispirare. Il carcere di Guantanamo, tanto per citare un altro totem del movimento pacifista, è ancora aperto. Se e quando verrà chiuso, sarà sostituito da altre strutture detentive in America, quasi certamente peggiori dell’attuale, dove i principali prigionieri della guerra al terrorismo continueranno a non avere diritti processuali.
Prima o poi gli americani si ritireranno dall’Iraq e dall’Afghanistan, e con loro anche le truppe italiane. Ma gli estremisti del jihad islamico continuano a spargere sangue innocente e a tentare di uccidere i soldati della coalizione, compresi i nostri connazionali. Proprio ieri, tramite il generale Ray Odierno, l’Amministrazione Obama ha fatto sapere che i marine torneranno a presidiare la zona nord occidentale dell’Iraq, quella al confine tra il Kurdistan e le province sunnite, in aperta violazione dell’accordo di ritiro dai centri abitati firmato da Bush e dal governo di Baghdad.
Le bandiere arcobaleno restano ammainate, ma non perché chi le sventolava con passione si sia finalmente reso conto che la battaglia in corso è per la libertà e la democrazia, nostre e del mondo islamico. La dissoluzione estiva della “seconda potenza mondiale”, piuttosto, dimostra che il movimento pacifista non era affatto motivato dall’opposizione agli interventi militari occidentali per cacciare Saddam e i talebani dai loro regni, ma dalla volontà politica e ideologica di detronizzare Bush (e, in Italia, Berlusconi).
Non ci sono riusciti.
Lasciando per scadenza del mandato la Casa Bianca, Bush ha avuto il merito di liberarci anche del popolo della pace.

mercoledì 19 agosto 2009

UNO STATO DI TROPPO

Ai liberal la soluzione “due popoli-due stati” in medio oriente non piace più
Il governo di Israele ha deciso di congelare l’ampliamento di nuovi insediamenti in Cisgiordania, una condizione posta a Gerusalemme da Barack Obama e, prima di lui, dagli ultimi presidenti americani. Un tempo il mondo intellettuale e la sinistra occidentale chiedevano insistentemente a Israele di ritirarsi dai “Territori” occupati in seguito agli attacchi subiti dal mondo arabo nel 1967 e, di conseguenza, giudicavano l’occupazione militare sionista come la causa principale del conflitto mediorientale.

SONO FATTI COSI'

Dopo essere stati condannati penalmente per aver falsificato passaporti e "vinto" scudetti soltanto a tavolino (grazie a ex consiglieri d’amministrazione diventati presidenti della federazione che hanno abbuonato clamorose irregolarità di bilancio) e scippando i migliori calciatori alle avversarie spedite in B, gli indossatori di scudetti altrui – già protagonisti in passato per aver falsificato i dati anagrafici di giovani primavera in tornei ufficiali – ieri pare ne abbiano fatta un’altra:
Si è giocato un torneo Primavera. In campo la Juve e gli indossatori. Risultato finale 1-1, ma il risultato è sub judice perché "i nerazzurri hanno effettuato 5 cambi contro i 3 previsti dal regolamento".

...CIAO NANDA



.. ciao Nanda
la strada è finita.
perche tutto ha una fine, che sia una strada o una vita.
la cosa piu bella di qualcosa che inizia è che sai che prima o poi finira'.
la prendi come una condanna o come una soluzione, ma è cosi.
ha passato la vita a scrivere meravigliosamente, lei che la vita l'ha vissuta DAVVERO on the road con jack kerouack, lei che ha intervistato vasco, tirandogli fuori cose che nessuno era nemmeno in grado di percepire.
leggerla era un piacere.
la sua intelligenza contro il sistema, contro l'ignoranza, lei che coglieva la doclezza anche nel cervello piu rude, lei che andava oltre ogni superficie perche sapeva che il meglio era giu' nel profondo.
la strada è finita, la sua poesia no.
Luca

L'EVOLUZIONE DEL ROCK




L’evoluzione rock del signor Rossi un viaggio tra album e mega-show
Gli anni «incendiari» e l’età dei consigli di vita più meditati


Vasco Rossi si appresta, dopo vent’anni, ad affrontare di nuovo il pubblico in spazi chiusi: il suo Euro­pe Indoor Tour comincerà il 6 ottobre a Pesaro e proseguirà in Italia e all’este­ro nel 2010. La capacità di Vasco di ri­chiamare spettatori sembra tutt’ora illi­mitata, come illimitata sembra essere la sua voglia di palco. Da oggi il Corrie­re della Sera propone un nuovo viaggio nella musica, nella poetica, nel pensie­ro e nei concerti di Vasco. Oltre metà del materiale proposto è visivo (7 dvd, alcuni dei quali doppi), mentre i cd (7) racchiudono sia lo spirito del Vasco provocatorio e incendiario, il «cattivo maestro», sia il Vasco più saggio e «pompiere», più mediatore, che non detta precetti, ma cerca di condividere col pubblico le sue esperienze di vita.

Si comincia con «Canzoni per me» del ’98, di cui passano alla storia soprat­tutto tre canzoni: «Io no», «Laura» e «Rewind». La prima e l’ultima sono esempi di rabbia rock espressa su fron­ti diversi: la prima è l’amore che si tra­muta in odio, l’ultima è un manifesto erotico costruito già pensando al palco, al­lo spettacolo, a una scena da melodram­ma rock diretta e visce­rale.

«Buoni o cattivi» è il disco di Vasco Rossi che ha spiazzato i fan storici. Perché è un di­sco di complessa sem­plicità, o di semplice complicazione in per­fetto stile Vasco Rossi, blindato in un contesto musicale sovraccarico, frastor­nante, in una fusione totale fra suoni e versi, chitarre e ritmica. Spiccano «Co­me stai» e soprattutto «Un senso», che Vasco scrisse a caldo, dopo aver letto «Non ti muovere». «Un senso» coglie non solo il dramma del romanzo di Margaret Mazzantini, ma è anche il Va­sco che si confronta con i grandi inter­rogativi dell’esistenza. Leggero nella forma, ma profondo nella sostanza, Va­sco cambia le regole: non più noi diver­si, noi buoni che combattiamo insieme contro i cattivi conservatori, oppresso­ri, benpensanti, ipocriti. Vasco piutto­sto coglie e denuncia la progressiva omologazione comportamentale fra buoni e cattivi. Non più noi ad avere il monopolio delle buone ragioni, ma cia­scuno di noi con la sua parte buona e la sua parte cattiva.

«Stupido Hotel» ha nel brano omoni­mo il suo nucleo disperato-sentimenta­le. Strettamente collegato con la canzo­ne «Siamo soli» che entra immediata­mente nell’immaginario eroico-depres­so dei fan di Vasco. «Il mondo che vor­rei » è il disco più recente di Vasco. Al primo impatto sembrava sorretto da un pensiero debole, geniale nella for­ma ma povero nella sostanza. In realtà si è rivelato una miniera di idee fra di­sincanto e ironia, partendo appunto da «Il mondo che vorrei», fino a «Basta po­co », passando per motivi corali come «Vieni qui», «E adesso che tocca a me» fino al sarcasmo di «Colpa del whisky»: lui disposto a qualsiasi men­zogna pur di raggiungere lo scopo, lei brava a fingere.

Se «Liberi liberi» è un disco di transi­zione, di un Vasco che temeva di aver perso l’ironia, la rabbia e la grinta (ma «Vivere senza te» fa ancora tremare gli stadi), «Gli spari sopra» è un fuoco di provocazioni, una sventagliata di mitra­gliatrice. Non si fanno prigionieri. Da «Vivere» a «Gabri» fino a «Stupendo» (con quel passaggio «Mi viene il vomi­to è più forte di me») uno sberleffo a 360 gradi senza risparmiare le lolite lan­ciate da Gianni Boncompagni («Delu­sa » ) .

«Nessun pericolo per te» contiene la canzone forse più autoreferenziale di Vasco Rossi, nata in pochi minuti, che è «Sally». Sally-Vasco che rivendica il suo diritto all’errore, ricorda la sua espiazione e quella voglia di afferrare al volo ogni palpito dell’esistenza.

Ma Vasco Rossi, oltre che nei dischi, si esprime al massimo nei concerti dal vivo in cui si diverte ogni volta a inven­tare percorsi, riesumare canzoni mino­ri dimenticate, cercare nella reinvenzio­ne live nuovi sapori e nuove sensazioni per sé e per la platea. Tutti i concerti presentati in dvd sono stati scelti perso­nalmente da Vasco Rossi dopo aver vi­sionato e confrontato decine e decine di registrazioni.

Quando Vasco è sicuro che la ciam­bella sia riuscita col buco il dvd viene offerto al pubblico. A parte la mutevo­lezza del Vasco performer, le registra­zioni dei concerti live offrono chicche del Vasco delle origini: basti pensare a «Fegato spappolato» nel concerto del 2003 a San Siro, o «Deviazioni» in «Fronte del palco». Insomma un viag­gio nel Vasco che, molti anni dopo aver dichiarato: «Io volevo dannarmi l’ani­ma a tutti i costi per qualcosa in cui cre­devo con tutto me stesso», oggi affer­ma: «La vera trasgressione è essere nor­mali, farsi una famiglia, crescere i bam­bini » .


Mario Luzzatto Fegiz