..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 30 ottobre 2019

Quando la causa chiama loro si astengono

Tengono a precisare, ogni qual volta chiamati in causa, di non essere fascisti, nazisti, razzisti, antisemiti, omofobi, misogini. 
Poi però, quando la causa che li chiama dovrebbe accomunarli al resto del mondo che usa ancora la ragione e il buon senso, si astengono, nascondendo il loro essere fascisti, nazisti, razzisti, antisemiti, omofobi e misogini dietro la violazione della libertà d'espressione.

lunedì 28 ottobre 2019

Voto in Umbria: è giunto il momento di mangiare di nuovo i popcorn


Il dato emerso dal voto espresso dai cittadini umbri nel week-end appena trascorso è inequivocabile: il Paese, una buona fetta dello stivale vorrebbe essere governato dalla Lega di Matteo Salvini e dai Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. 
I numeri parlano chiaro e non serve nemmeno riproporli. 
Una vittoria abbacinante che ha lasciato il resto della politica italiana a distanza siderale, ancor più netta di quella prevista, con tanto di caffè scommessi, dal leader incontrastato di Via Bellerio. 
Inutile nascondersi, come fatto da più di un rappresentante dell'esecutivo, dietro alla narrativa del "risultato che non può incidere sul governo" o che "l'Umbria conta solo il 2% della popolazione italiana"
Il risultato delle regionali vinte con quasi il 60% dei consensi esprime la pancia degli italiani, manifesta quello che attraverso le piazze, i sondaggi e tutto ciò che ruota intorno ai social i cittadini chiedono da mesi: andare al voto. E visto che dopo un trionfo dalle proporzioni bibliche l'opposizione ripete all'unisono di liberare l'Italia, sollecita il Quirinale a domandarsi se un governo senza voti possa andare avanti, caldeggia la possibilità di tornare nelle urne vista la valenza nazionale del risultato, l'attuale esecutivo con Giuseppe Conte in testa dovrebbe prendere in seria considerazione le innumerevoli richieste fatte pervenire. 

Le nove vittorie consecutive messe in bacheca dalla Destra (il Centro-Destra è ormai un lontano ricordo) negli ultimi diciotto mesi, l'oggettiva possibilità di proseguire il cammino conquistando anche Calabria, Emilia Romagna, Campania, Marche, Toscana, Puglia, Liguria e confermare il Veneto, dovrebbero indurre i rappresentanti del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico, di Italia Viva e di Leu a mettere la parola fine all'attuale esecutivo. 
D'altronde il voto di domenica non solo ha eletto governatrice Donatella Tesei ma ha bocciato chiaramente la manovra economica messa in piedi dagli attuali inquilini di Palazzo Chigi. 
L'Iva sterilizzata, la cancellazione definitiva delle clausole di salvaguardia, la lotta all'evasione, la riforma della giustizia, il taglio del cuneo fiscale, le detrazioni, le modifiche di imposte e la cancellazione del superticket sanitario non interessano a nessuno. 
Non interessano alla popolazione umbra, non interessano alla marea umana che si è riversata in Piazza San Giovanni e men che meno interessano a quegli elettori che fanno della coalizione Lega-FdI l'unica in grado di prendere per mano il Paese. 

E' giunto quindi il momento di metterli alla prova, di farli sedere ai posti di comando, di consegnarli la nazione. E' giunto il momento che il leader del Carroccio traduca il consenso in misure atte a far decollare il lavoro, l'istruzione, la sanità. E' giunto il momento che l'ex indossatore di felpe altrui si renda responsabile e prenda impegni, quelli che nell'ultimo anno e mezzo ha promesso da balconi, piazze e dirette Facebook a gran parte degli italiani. E' giunto il momento che comizi e apparizioni televisive si convertano in riforme, in tagli, in lotte, in detrazioni, in capacità di offrire al Paese quanto assicurato. Ma soprattutto, per Centro-Sinistra e Movimento 5 Stelle, è giunto il momento di fermarsi, sedersi e, osservando il lavoro di chi professa capacità e programmi, mangiare nuovamente i popcorn. Così, giusto per vedere dall'opposizione l'effetto che fa.

giovedì 24 ottobre 2019

La propaganda dei porti chiusi e la reticenza su Moscopoli non possono pagare gli stessi dividendi


Spazzò letteralmente via gli ex alleati di Governo, dominando in lungo e in largo la scena politica dello stivale. Fece incetta di spazi televisivi, di like e condivisioni sui social e di consensi elettorali che ne decretarono il trionfo alle Europee e la maggioranza relativa all'interno dei confini nazionali (quella data dai sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani). 
La tematica che gli permise di raggiungere questi risultati sempre la stessa: i migranti e le ONG. 
Per l'intero periodo trascorso nelle stanze del Viminale il leader del Carroccio diede il via alla narrazione dei porti chiusi, del pericolo migranti, dei collegamenti tra le organizzazioni non governative o parti di esse con i trafficanti di esseri umani. 
Una divulgazione continua costruita ad arte per accaparrarsi il consenso degli italiani e su cui, visto il grande successo riscosso, basare ogni uscita pubblica e qualsivoglia confronto mediatico. 
Ma se fino a ieri le ospitate televisive e le varie interviste pubbliche erano dominate dalla propaganda sulla sicurezza, oggi i temi riguardanti i porti chiusi, i migranti e le Ong servono solo ed esclusivamente ad eludere l'argomento che giornalisti, media e inchieste stanno portando sempre più all'attenzione dell'opinione pubblica: Moscopoli. 

L’inchiesta di Report dedicata ai legami tra la dirigenza di via Bellerio e Mosca è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, inondando quel terreno su cui l'ex ministro dell'Interno aveva poggiato solidamente le basi del proprio consenso. 
E se in una puntata recente del prime time di La7 condotto da Giovanni Floris le domande rivolte dai giornalisti presenti in studio (Cazzullo, Cossu, De Gregorio e financo Senaldi) sono state derise, canzonate, dileggiate e soprattutto eluse con il preferito argomento degli sbarchi, il programma condotto da Sigfrido Ranucci ha scatenato un vero e proprio putiferio, al punto che Giampaolo Rossi di Fratelli d'Italia insieme al leghista Igor De Biasio hanno sostenuto che la puntata andata in onda su Rai 3 è stata apertamente finalizzata al condizionamento del dibattito politico. 
Un diritto di cronaca, perché di questo si è trattato, messo in discussione tirando in ballo la tempistica e sottolineando come sarebbe stato ben diverso se la stessa puntata fosse andata in onda una settimana dopo il voto in Umbria. Una posizione insostenibile, visto che la norma in materia appare chiara: le disposizioni approvate dalla Commissione di Vigilanza Rai il 17 settembre per la regolamentazione del servizio pubblico in occasione delle regionali umbre "si applicano nell'ambito territoriale interessato dalla consultazione". 
O forse, per l'ennesima volta, un atto per depistare la vicenda legata ai presunti fondi russi, al perché dopo quanto emerso Salvini ha fatto credere di non conoscere Savoini, al perché sempre l'ex ministro dell'Interno ha detto di non aver invitato l'ormai ex portavoce in Russia salvo poi scoprire che aveva cenato con lo stesso all’Hotel Metropol, la sera prima della presunta trattativa. E ancora il rapporto con l’uomo d’affari Konstantin Malofeev che avrebbe finanziato partiti di ultradestra in Europa, oppure la mancata querela a Savoini che parlava a nome e nell’interesse suo e della Lega e, stante alle indagini, avrebbe chiesto un tangentone da 65 milioni di dollari a favore della Lega stessa.  

Se la propaganda dei porti chiusi, il pericolo migranti e lo spettacolo indegno delle organizzazioni non governative lasciate per settimane in mare avevano portato risultati che probabilmente nemmeno lo stesso numero uno della Lega si sarebbe aspettato, la continua reticenza sul caso Moscopoli, il perseverare il non confronto nelle stanze istituzionali, sottovalutando una questione che a livello internazionale pregiudicherebbe anche un eventuale e futuro esecutivo a trazione leghista, non può portare gli stessi dividendi. Il non rendersene conto farebbe il paio con l'aver fatto incomprensibilmente cadere il Governo nell'agosto scorso, ennesimo abbaglio di una grottesca autobiografia politica.

lunedì 21 ottobre 2019

Dalla piazza del centrodestra alla Leopolda il messaggio è unanime: Tutti non sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche

Nella prefazione di «Non pensare all'elefante!» (George Lakoff, Chiarelettere), Gianrico Carofiglio espone un'articolata metafora dell'autore per proporre un modo alternativo di pensare alle tasse e al doverle pagare. Alternativo alla vulgata metaforica delle destre di tutto il mondo che parlano delle tasse come di un furto dello Stato e non come l'adempimento di un obbligo di solidarietà: "Pagare le tasse significa fare il proprio dovere, versare la quota di iscrizione per vivere nel proprio paese. Se ci iscriviamo a un club o a un circolo qualsiasi paghiamo una quota di iscrizione. Perché? Perché non siamo stati noi a costruire la piscina. E dobbiamo pagarne la manutenzione. Non abbiamo costruito noi il campo da tennis. E qualcuno deve pulirlo. Forse non usiamo il campo da squash, ma comunque dobbiamo pagare la nostra parte. Altrimenti nessuno farà la manutenzione e il circolo andrà in rovina. Quelli che evadono le tasse non pagano quello che devono al loro paese. Chi paga le tasse è un patriota. Chi le evade e manda in rovina il suo paese è un traditore"

Nel 2007, durante un'intervista televisiva a Lucia Annunziata nel programma di Rai3 «1/2 ora», l'allora Ministro dell'economia e delle finanze del secondo governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa dichiarò che "le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute", aggiungendo che "ci può essere insoddisfazione sulla qualità dei servizi che si ricevono in cambio, ma non un'opposizione di principio sul fatto che le tasse esistono e che si debbano pagare"

Il 27 dicembre 1947, l'allora Capo dello Stato Enrico De Nicola, insieme ad Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, Francesco Cosentino, funzionario, Giuseppe Grassi, guardasigilli, e Umberto Terracini, presidente della Costituente, firmò a Palazzo Giustiniani la Costituzione italiana, 139 articoli che entrarono ufficialmente in vigore il 1º gennaio del 1948. Tra questi, posto nella Sezione I Diritti e doveri dei cittadini, Titolo IV, l'articolo 53 recita: "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva". Due i temi fondamentali dal punto di vista del diritto tributario: la capacità contributiva e la progressività dell’imposizione fiscale. 
Nel primo caso l'articolo 53 sostiene che tutti i cittadini, anche apolidi e stranieri, che risiedono in Italia hanno il dovere di pagare le imposte. L'obbligo di pagamento delle imposte deve rispettare necessariamente la capacità contributiva del cittadino, vale a dire la sua possibilità economica. L'articolo 53, che difende il dovere di concorrere alle spese pubbliche, richiama senza dubbio gli articoli fondamentali 2 e 3 della Costituzione, i quali manifestano il principio di solidarietà e di eguaglianza di tutti i cittadini nello Stato Italiano. 
Per quanto riguarda i criteri di progressività l'articolo 53 della Costituzione sostiene che l'imposta che i cittadini, anche apolidi e stranieri, sono tenuti a versare è proporzionale all'aumentare della loro possibilità economica. In altre parole: l'imposta cresce con il crescere del reddito. Il rilievo del criterio di progressività risiede nel gravare sulle classi sociali più abbienti così da poter soccorrere e sostenere le classi sociali in difficoltà, garantendo i diritti e i servizi sociali fondamentali quali la pubblica istruzione, l'assistenza sanitaria, la previdenza sociale e l'indennità di disoccupazione, criteri sui quali si basa lo Stato Sociale Italiano. 

Ora rimane da capire su quali basi e con quale faccia le opposizioni e alcune parti dell'esecutivo puntino il dito su chi le tasse, come l'attuale governo, non solo le mantenga per quel principio basico scritto a caratteri cubitali in Costituzione ("Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche", le tasse appunto), ma e soprattutto si cimenti a lottare contro l'evasione fiscale. 
Lo ha ribadito anche il segretario generale della Cgil a «Mezz'ora in più»: "Il messaggio che si deve dare al paese non è no tasse ma no evasione fiscale"
Messaggio che evidentemente non è stato recepito dalla piazza del centrodestra (Meloni: "Uniti contro la sinistra delle tasse", Berlusconi: "In piazza contro carcere per gli evasori", Salvini: "L'unico modo per dare un futuro ai nostri figli è abbassare le tasse") e dalla Leopolda (Teresa Bellanova: "Io dico che Italia Viva è no tasse", Maria Elena Boschi: "Il Pd è il partito delle tasse").

sabato 19 ottobre 2019

Dal confronto tra Renzi e Salvini emerge un obbiettivo comune: far cadere Giuseppe Conte


Che l'attuale panorama politico italiano sia orfano di un vero e proprio leader lo hanno decretato gli oltre tre milioni e ottocento mila spettatori che nella serata di martedì si sono sintonizzati con il talk di Rai 1 condotto da Bruno Vespa. 
Un boom assoluto di ascolti per due personaggi politici che allo stato attuale non hanno alcun ruolo apicale all'interno delle istituzioni. Anzi. Due politici che, in condizioni simili (il 40% di popolarità) e trascinati al ribasso dall'ego smisurato che li ha dominati, hanno cancellato di fatto tutto quello che erano riusciti a costruire. 
Nel race-off di Porta a Porta, tra battute (riuscite indubbiamente di più al rignanese) e spot da comizio elettorale (di cui l'indossatore di felpe altrui continua a rimanere il numero uno indiscusso), è emerso abbastanza chiaramente l'obbiettivo comune: far cadere Giuseppe Conte. 

L'attuale Presidente del Consiglio è l'unica personalità di Governo capace di trascinare folle, accomunare molteplici fasce di età, presenziare alle feste delle più disparate realtà politiche (con tanto di consenso), affascinare le cancellerie europee e ricevere investiture da oltre oceano. Insomma, a conti fatti l'unico in grado (sondaggi alla mano) non solo di tenere testa al duo che ha spopolato nella seconda serata della televisione di stato, ma addirittura oscurarli sul tema della popolarità mediatica. Un avversario vero, una personalità che in più di una circostanza ha saputo mettere dietro la lavagna i rispettivi segretari di Italia Viva e Carroccio, ma soprattutto quel classico terzo incomodo che si ritrova ad occupare la quarta più alta carica dello Stato, posizione che inevitabilmente lo porterà, se legge di bilancio e misure varate porteranno i risultati sperati, ad aumentare il consenso. 

Ecco perché il confronto tra Renzi e Salvini, messi in archivio i 49 milioni di rimborsi illeciti e le varie conferenze pagate migliaia di euro in giro per il globo terracqueo, ha fatto emergere le speranze e gli obbiettivi dei due soggetti a confronto. 
Da una parte il continuo desiderio del leghista di andare al voto dopo che Movimento 5 Stelle e Partito Democratico falliscano l'alleanza di Governo proprio grazie ad un colpo di teatro dell'ex democratico. Dall'altra la rincorsa dell'attuale numero uno di Italia Viva a scalare la classifica della politica italiana per poi proporsi come reale alternativa a colui che allo stato attuale raccoglie il maggiore consenso degli aventi diritto al voto. 
Della serie, e come ha scritto recentemente Antonio Padellaro: Conte, Salvini e Renzi: ne resterà vivo uno solo.

mercoledì 16 ottobre 2019

Una politica che parla troppo dello status quo di ultracinquantenni e anziani e troppo poco ai giovani

La politica vista, vissuta e recepita dai cosiddetti Millennials riscuote non tanto un distacco generazionale quanto una mancanza di dialogo. Il parlare purtroppo due lingue diverse. 
Sui temi riguardanti la scuola, il lavoro e l'ambiente i proclami desueti sbandierati sui social e all'interno dei talk televisivi si scontrano con coloro che vedono in queste tematiche i punti di riferimento di quel che dovrà essere il mondo di domani. 

Qui inevitabilmente entra in gioco l'attuale classe politica, che seppur la più giovane di sempre continua a proporre alla nazione programmi e promesse elettorali che vanno a contattare, a prescindere dal ceto, ultracinquantenni e anziani. Due le tematiche, pensioni e tasse, che portano all'interno delle urne elettorali la percentuale più alta degli aventi diritto al voto, e che, come nell'ultima legge di bilancio, convoglia la fetta più ampia delle risorse messe in campo. Misure che guardano principalmente i già avviati nel mondo del lavoro e chi della previdenza ne fa l'unico sostentamento di vita. E ai giovani chi parla? 

L'attuale silenzio complica e di parecchio il dialogo. Non si propongono piani pluriennali, non si ascoltano le piazze, non si prendono sul serio Greta e tutti quei movimenti nati sull'onda della rivoluzione green, si osteggia una generazione, e quelle a venire, che ancor prima di quello che pensiamo cambieranno volto all'intero pianeta. E soprattutto non si coltiva la cultura del pagare (tutti) le tasse e i contributi: perché bello, patriottico, facente parte di quella giustizia sociale che renderebbe migliore qualsiasi nazione.

Avere il coraggio di mettere in discussione le attuali linee politiche, poggiando sul piatto della bilancia l'ambiente, l'istruzione, la scuola e il lavoro come da qualcuno troppo timidamente proposto, non solo porterà il consenso di adolescenti e conseguenti potenziali futuri elettori ma darà linfa a chi oggi è già in grado di dare vita al domani. 
Un vero e proprio progetto giovani che permetta ai nostri figli, al loro futuro, di vedersi restituire quei sogni rubati da anni di politiche miopi. 

E' giunto il momento che la politica si assuma l'onere e l'onore di rimettersi in contatto e parlare con un mondo, quello giovanile, che da troppo tempo sente il bisogno e l'urgenza di essere messo al centro di idee e programmi.

martedì 15 ottobre 2019

L'oscurantismo dei Mattei

Avranno probabilmente concluso, finito, terminato di fare finta di gettarsi fango addosso per incrementare (o perlomeno provare) la rispettiva popolarità nel panorama politico nazionale. 
Il confronto televisivo tra Salvini e Renzi consumatosi negli studi di via Teulada a Roma, e che vedremo tra qualche ora nel talk di Rai 1 Porta a Porta, altro non è stato che la ricerca da parte del leader del Carroccio (oggi all'opposizione) e di quello di Italia Viva (anch'esso all'opposizione ma per convenienza filo-governativo) di un ulteriore spazio pubblicitario per sponsorizzare da una parte la manifestazione di piazza a Roma contro l’attuale esecutivo prevista per sabato e dall'altra la Leopolda del prossimo weekend. 
Un patto non scritto ma concordato che ha per l'ennesima volta messo in evidenza la miserabilità di chi, tra sorrisi, bacioni e battute, le quali non riescono (nemmeno per sbaglio) a nessuno dei due, è riuscito ancora una volta a mettere in discussione la cultura, il pensiero, tutto ciò che dovrebbe essere messo al centro del vivere civile. 
Per uscirne, per liberarci di cotanta superficialità e inadeguatezza rimane l'indifferenza, perché se questi ancora esistono è solo perché ne parlano i giornali e i talk. Il trucco è non parlarne più. Lasciarli lì, a parlare da soli, mentre fanno finta di gettarsi fango addosso .

domenica 13 ottobre 2019

Dopo 30 anni il Liver Bird è tornato a volare sui cieli della Premier


Erano gli anni di Kenny Dalglish giocatore-allenatore, di una squadra, la più forte d'Inghilterra e probabilmente del Vecchio Continente, rimasta fuori dall'Europa calcistica per i tragici fatti che precedettero la finale di Coppa dei Campioni disputata a Bruxelles contro la Juventus. 
Era il lustro, quello dal 1986 al 1990, che vide ancora una volta i Reds dominare tra i confini nazionali, vincendo tre campionati ('86, '88 e '90), due Fa Cup ('86 e '89) e tre Charity Shield ('87, '89 e '90). 
Era quel triste, buio e sanguinoso periodo che vide troppe volte protagonisti i famigerati hooligans e, come a Sheffield, che evidenziò i gravissimi errori organizzativi e logistici che portarono all'assurda e tragica scomparsa di 96 persone all'Hillsborough Stadium. 
Trent'anni dopo, un periodo che sembra appartenere a più di un secolo fa, i "Rossi" di Liverpool sembrano aver intrapreso quel percorso che potrebbe portarli a conquistare il diciannovesimo titolo nazionale, trofeo che dopo la conquista di due finali di Champions consecutive (una persa con il Real Madrid e una vinta contro il Tottenham) proietterebbe una squadra ma soprattutto Jürgen Klopp nell'olimpo dei grandissimi che hanno presenziato dalle parti di Anfield. 
Le otto vittorie consecutive con cui Mohamed Salah e compagni hanno iniziato la stagione in corso il biglietto da visita che più di ogni altro discorso mette in chiaro le ambizioni di una delle società calcistiche più prestigiose d'Inghilterra e del mondo. Uno score che ancora una volta evidenzia l'impenetrabilità della difesa (per il secondo anno consecutivo la meno battuta di tutta la Premier) e la compattezza di un gruppo che paradossalmente ha trovato equilibrio e consapevolezza dominando in lungo e in largo il calcio europeo (tre finali europee negli ultimi 4 anni) per cercare di conquistare quello che una città e la Kop sogna e spera da trent'anni. Ad aumentare le chance di conquista del diciannovesimo titolo i molteplici passi falsi commessi in questi primi due mesi dagli unici rivali plausibili, e attuali campioni in carica del Manchester City. 
Con già due sconfitte sul groppone (a Norwich e in casa con i Wolves) gli uomini di Pep Guardiola viaggiano con 8 punti di ritardo dai Reds, un divario che anche se da qui al termine manchino ancora 26 partite e 7 mesi di passione appare quanto meno difficile da colmare. Impossible is nothing, soprattutto in un campionato dove tutto viene messo in discussione in ogni secondo disponibile di qualunque match, ma la fame di titolo nazionale da parte dell'intero ambiente di Anfield rischia seriamente di lasciare al resto delle pretendenti il solo sogno (irrealizzabile) di provarci. 
Dietro le prime due del torneo un nugolo di squadre che cercherà di colmare i posti utili per la prossima Champions e soprattutto gettare le basi per quelle che dovranno essere le gerarchie future del calcio inglese. L'Arsenal, il Chelsea, lo United e gli Spurs si giocheranno con molta probabilità le due caselle utili per entrare nel fantastico mondo della coppa dalle grandi orecchie, con le prime due citate, per motivi diversi, in pole position rispetto alle altre. A queste, grazie all'esenzione dalle competizioni continentali, avranno modo di inserirsi un sempre più convincente Leicester, un finalmente inquadrato Crystal Palace e soprattutto quel Wolverhampton che dopo una prima stagione in Premier da alunno proverà quest'anno a dare lezioni da maestro, seguendo i dettami di Nuno Espírito Santo: prepotenti e spavaldi con le piccole, ambiziosi con le grandi; citofonare ai Citizens per saperne di più. 
Di certo tutte quante vivranno una stagione ancora una volta da ricordare, da raccontare, mettendo al centro di ogni narrazione il Liver Bird, quello che dopo 30 anni è finalmente tornato a volare sui cieli della Premier.

venerdì 11 ottobre 2019

Fine mafia mai


La notizia, quella riguardante il rigetto da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo sul ricorso presentato dal Governo italiano sulla questione dell'ergastolo ostativo, è stata trattata, eccetto alcuni, con troppa sufficienza e senza dare il giusto risalto ad un tema che lungo la penisola dovrebbe invece interessare tutti, in particolar modo coloro che il 23 maggio e il 19 luglio di ogni anno si presentano a commemorare chi della lotta alla mafia ne ha fatto una ragione di vita, e che la stessa, per mano della mafia, l'ha tragicamente persa. 
In questi giorni, in maniera del tutto casuale, ho affrontato la lettura di "Antonino Caponnetto, Io non tacerò - La lunga battaglia per la giustizia" (Volume delle grandi collane del Corriere della Sera a cura di Maria Grimaldi), in cui, dal 1992 al 2002, il magistrato nisseno nonché sviluppatore di quel pool antimafia ideato da Rocco Chinnici ha raccontato le stragi, le vicende, le perdite istituzionali e personali che Cosa Nostra ha perpetrato in uno dei periodi più bui della storia del Paese. 

Lettere, come quella scritta all'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, in cui Caponnetto accenna alla campagna di intimidazione contro i magistrati più capaci, colpevoli solo di applicare e far applicare la legge penale. 
Preghiere, come quella "laica ma fervente" pronunciata ai funerali di Paolo Borsellino il 24 luglio 1992 a Palermo, nella quale il magistrato, oppresso dal peso del rimorso per aver per un attimo, di debolezza e sconforto, desistito dalla lotta contro la delinquenza mafiosa, ha ribadito con forza che nessuno, e lui medesimo meno di chiunque altro, poteva dire che quella lotta era finita. 
Ricordi, come quello dell'amico Carlo Alberto Dalla Chiesa, assassinato in via Carini insieme alla moglie e all'agente di scorta Domenico Russo, un uomo lasciato solo contro il sistema mafioso, dallo stesso raccontato al giornalista Giorgio Bocca: "Credo d'aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il "potente" quando avviene questa combinazione ideale, è diventato troppo pericoloso, ma si può ucciderlo perché isolato"

Racconti che una volta di più hanno narrato, evidenziato messo in luce che cosa è la mafia, cosa è il sistema mafioso, ma soprattutto che cosa sono i mafiosi, i cosiddetti "uomini d'onore", coloro che con la mafia e per la mafia hanno sequestrato, intimidito, corrotto, ucciso, sciolto nell'acido, programmato e concretizzato stragi che hanno portato via uomini delle istituzioni, giornalisti, cittadini comuni. Il più delle volte, dopo processi e sentenze definitive, senza alcun ravvedimento, pentimento, presa di coscienza. 
Perché se un ergastolo, ostativo o meno, sarà per sempre un fine pena mai, un mafioso sarà per sempre un fine mafia mai, e di questo la Corte europea dei diritti dell'uomo dovrà al più presto prenderne atto.

giovedì 10 ottobre 2019

La discriminante non è stato Giovanni ma ancora una volta il metodo propagandistico


Ormai ne dovremmo essere assuefatti, abituati, ma seppur non più dipendenti le apparizioni nei talk show dell'ormai ex indossatore di felpe altrui continuano a stupirci, a lasciarci quel retrogusto amaro troppe volte assaporato. 
Arrogante e tronfio di un consenso popolare che lo mantiene saldamente in testa all'attuale volere degli aventi diritto al voto, il leader del Carroccio, nell'ultima puntata andata in onda di "dìMartedì", il prime time di La7 condotto da Giovanni Floris, si è prodotto per l'ennesima volta in un "one man show" dove le domande rivolte dai giornalisti presenti in studio (Cazzullo, Cossu, De Gregorio e financo Senaldi) sono state derise, canzonate, dileggiate a tal punto che lo stesso padrone di casa non ha potuto fare altro che rammentare all'ex inquilino del Viminale che loro, i giornalisti, hanno il sacrosanto diritto di chiedere quel che ritengono più opportuno, senza che questo venga continuamente osteggiato o peggio ancora burlato dall'interlocutore di turno. 
Ma l'elevato alla clowneria, rimbalzando continuamente gli interrogativi sul rifiuto di presentarsi in Parlamento a spiegare sul caso Savoini, ha pensato bene di sostituire l'effetto comico e artistico dei pagliacci con quello meschino e miserabile della propaganda, unico cavallo di battaglia del fu leader del defunto primo governo Conte. 
Al centro della scena la disabilità, un minore, spettacolarizzati da colui che andava predicando che i bambini non si coinvolgono nella polemica politica. 
Una storia, quella di Giovanni, bambino disabile di 6 anni, gettata nella mischia, nella corrida politica per allontanare il confronto, per distrarre la massa da tematiche, almeno per il leader del Carroccio, particolarmente scomode. 
Lo spettacolo offerto dal cacciatore di pieni poteri ha lasciato senza parole (e uno studio che in pratica ha smesso di fare domande), e la voluta discriminante messa in campo spazio al metodo propagandistico, ancora una volta usato per scappare dalle responsabilità.

mercoledì 9 ottobre 2019

Non saranno gli incentivi a far cambiare passo al tasso di natalità

Sono una donna di 44 anni, sopravvissuta a un tumore (rabdomiosarcoma), madre di due gemelli (entrambi autistici), disoccupata da più di dieci anni e con una prospettiva di vita e futuro che si lega per filosofia alle scritture greche di Nietzsche prima e di Karl Theodor Jaspers poi; nel mio piccolo ho avuto il coraggio di guardare in faccia la paura, il dolore e le atrocità dell’esistenza, senza lenirli con la speranza a tutti i costi.

Faccio parte, per questioni prettamente generazionali, a quel bacino di donne chiamate in causa per l'attuale tasso di natalità del nostro Paese, ritenuto, numeri alla mano, tra i più bassi al mondo. Dal precedente governo giallo-verde al più recente Conte-bis le politiche atte ad incentivare chi desidera mettere su famiglia o ad ampliare quella già esistente hanno toccato molteplici tematiche: dal modello francese più volte sponsorizzato da Luigi Di Maio (i Centri francesi per l’assegnazione degli aiuti alle famiglie hanno distribuito in un anno 73,2 miliardi di euro a 12,6 milioni di nuclei per un totale di 31,6 milioni di beneficiari - dati del 2017) alle promesse di asili nido gratis per famiglie con reddito basso durante il discorso alla Camera nel giorno del voto di fiducia da parte di Giuseppe Conte. Tutte misure condivisibili ma che non tengono conto delle reali problematiche che hanno causato il rallentamento delle nascite nel nostro Paese.

L'esperienza personale, oltre a quella condivisa con altre mamme, mi porta a fare alcune considerazioni. Dalla Sanità all'Istruzione passando per il Lavoro, l'ultimo decennio, quello che insieme al mio compagno ho attraversato per la crescita dei nostri figli, mi ha messo di fronte a realtà con cui mi sono dovuta confrontare e che nella maggioranza dei casi mi hanno visto uscire sconfitta. Una burocrazia senza via d'uscita, mancanza di personale medico specializzato, pressapochismo riversato sulle tempistiche di diagnosi e sulle conseguenti cure terapeutiche, assenza (quasi) totale di personale di sostegno da affiancare agli alunni, ritardi continui nell'assegnazione dei docenti, lacune relative alle strutture scolastiche. Questi alcuni dei temi che tendono a rallentare i vari percorsi di recupero a cui sono sottoposti i soggetti affetti da una condizione di disabilità. Ma soprattutto aspetti, e questo a prescindere dall'avere o meno un soggetto disabile, che provocano in ogni singola famiglia continui disagi, attese che spesso sfociano nel mare delle non risposte, ingiustizie sociali che posizionano il futuro su di un binario morto.

A questo, come nel mio caso ma anche in quelli di altre famiglie, si aggiunge inevitabilmente la problematica legata al lavoro, quello che, secondo i principi fondamentali della Costituzione, dovrebbe essere riconosciuto a tutti i cittadini, potendo questo rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale. Un lavoro che possa soprattutto garantire a ogni genitore, a ogni famiglia, la sicurezza (non la speranza) di un domani dove poter far crescere i propri figli. Senza paure, dubbi, incertezze. 

Se nel futuro prossimo non verranno messi al centro della politica i temi riguardanti la Sanità, l'Istruzione e il Lavoro, non ci potranno essere incentivi, qualsiasi essi siano, che possano spingere una coppia a fare figli, facendo definitivamente cambiare passo al tasso di natalità di questo Paese.

sabato 5 ottobre 2019

Rocco Schiavone: una delle pellicole made in Italy più riuscite degli ultimi due lustri


Le prime due serie avevano fatto ampiamente comprendere la levatura. Per scrittura, interpretazione, colonna sonora. La terza, andata in onda mercoledì scorso con la prima stagionale, ha confermato a caratteri cubitali che Rocco Schiavone, sulla linea tracciata da Romanzo Criminale e Gomorra, sia di gran lunga una delle pellicole made in Italy più riuscite degli ultimi due lustri. 
Un noir ambientato nella fredda Aosta che ha esaltato una volta di più il fuoco romano che arde nelle vene di Marco Giallini, esploso al grande pubblico proprio con la serie basata sull'omonimo romanzo del giudice Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale. 
Dispotico, scontroso, sarcastico, sensibile, in continua contraddizione tra il ruolo di vicequestore e le frequentazioni trasteverine con ladri e spacciatori, Rocco Schiavone è senza se e senza ma il personaggio televisivo di questo autunno-inverno 2019. 
A renderlo unico, oltre ad abitudini che si dividono tra l'indossare Loden e Clarks nonostante il clima valdostano e al fumare quotidianamente uno spinello contenuto in un apposito cassetto chiuso a chiave nella scrivania in ufficio, è l'intensa, coinvolgente e romanesca interpretazione di Marco Giallini, vero must dell'intera serie che trova il suo apice nei dialoghi struggenti e visionari con la moglie Marina (interpretata da Isabella Ragonese), morta a Roma in un attentato allo stesso Schiavone. 
Rocco e Marina si cimentano in uno spaccato di coppia che, accompagnato dalle musiche composte da Corrado Carosio e Pierangelo Fornaro, amplifica lo stato malinconico e nostalgico del telespettatore, totalmente rapito dai dialoghi al limite del surreale tra i due coniugi. 
Italo, Casella, Caterina, Deruta, Antonio, Baldi, Fumagalli, Furio, Brizio e i superlativi Costa (interpretato da Massimo Olcese), Sebastiano (interpretato da Francesco Acquaroli) e D'Intino (interpretato da Christian Ginepro), completano un cast di livello elitario che rende il personaggio immaginario di Antonio Manzini (allievo di Andrea Camilleri), come qualcosa per cui vale davvero la pena schiacciare il tasto on del televisore, senza il rischio, citando lo stesso Schiavone, di trovarsi di fronte ad una serie televisiva che abbia nel suo dna una rottura di coglioni del decimo livello.

giovedì 3 ottobre 2019

Graviano, Dell’Utri & C. La sera andavamo da “Gigi”

I fratelli Giuseppe e Filippo Graviano non sono i boss della Comasina. Sono stati per anni i re incontrastati del mandamento di Brancaccio, sono stati condannati in via definitiva per le stragi del 1992, soprattutto avrebbero avuto un ruolo in via D’Amelio e per gli attentati del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Eppure non sono stati arrestati a via Oreto mentre indossavano una maglietta rosanero per andare allo stadio della Favorita. 

Paesi che vai, "salvini" che trovi

Ha esultato come se i suoi New York Yankees si fossero aggiudicati per la ventottesima volta nella storia il titolo delle World Series. 
Donald Trump, a seguito della decisione dell’organizzazione mondiale del commercio (Wto) che ha stabilito che gli Usa potranno imporre dazi ai prodotti europei per gli aiuti illegali concessi al consorzio aeronautico Airbus, ha evidenziato che i 7,5 miliardi di dollari (equivalenti a 6,8 miliardi di euro) di compensazione siano stati una vittoria di tutta l'America nei confronti del mondo intero ("it was a big win for the United States"), esclamando a pieni polmoni: "not bad"
Affermazioni, durante la conferenza stampa nella East Room della Casa Bianca, che si sono scontrate con la risposta immediata dei mercati finanziari, che da Londra a Milano passando per New York hanno letteralmente rifiutato la decisione presa dall'organizzazione internazionale con sede a Ginevra: Londra -2,6%, Parigi -2,2%, Francoforte -1,8%, Madrid e Milano -2,8%, Dow Jones -1,14%, Nasdaq -1,19%, S&P 500 -1,18%. 
A questi si sono aggiunti dodici ore dopo i numeri espressi dalle borse asiatiche (Cina esclusa per il settantesimo anniversario della Fondazione della Repubblica popolare), anch'essi in territorio decisamente negativo: Tokyo -2%, e soprattutto le dichiarazioni giunte da ogni parte del globo terracqueo sulla complicatissima condizione che si è venuta a creare; la conferma di eventuali ripercussioni made in Europe, poche ore prima del verdetto, è arrivata dalla portavoce capo della Commissione, Mina Andreeva: "Abbiamo continuato a dire agli Usa che siamo pronti a lavorare con loro ad una soluzione equa ed equilibrata per le rispettive industrie aeronautiche. Siamo tuttora pronti e disponibili a trovare un accordo equo, ma se gli Usa decideranno di applicare contromisure autorizzate, l'Ue farà la stessa cosa"
In pratica l'unico che ha espresso soddisfazione per quanto avvenuto è stato colui che infischiandosene dell'attuale situazione economica planetaria ha pensato ancora una volta, per l'ennesima volta, al proprio tornaconto personale, ponendo lo sguardo verso l'obbiettivo delle elezioni negli Stati Uniti del 2020 e cercando di distogliere l'attenzione mediatica dallo scandalo Kievgate, quest'ultimo sottolineato dal Washington Post: "le agenzie federali sono sempre più costrette a perseguire i suoi interessi politici, investigare sui suoi nemici e legittimare le sue teorie sulle elezioni del 2016"
Cosa accadrà da qui al 18 di ottobre, data in cui dovrebbero diventare applicativi i dazi, non è dato sapere, ad oggi rimane però la certezza che mercati finanziari e leader mondiali non abbiano preso bene né la decisione della Wto né le affermazioni di Donald Trump, con l'inquilino della Casa Bianca sempre più arroccato a quella filosofia sovranista che in America come in Europa non ha fatto altro che alzare muri, chiudere porti, isolare le economie e creare, a prescindere dal luogo, il "salvini" di turno.
from Il Fatto Quotidiano

mercoledì 2 ottobre 2019

La parole di Graviano che riaprono la partita

A far ripartire le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi per le stragi di mafia tentate e riuscite del 1993-94 a Roma, Firenze e Milano, sono state le famose intercettazioni di Giuseppe Graviano. Il 10 aprile del 2016 il boss è a passeggio con il compagno di detenzione Umberto Adinolfi nel carcere di massima sicurezza di Ascoli. Il siciliano ricorda quando era stato chiamato a confermare le accuse del pentito Francesco Di Carlo, che aveva parlato anche di presunti investimenti del padre di Graviano a Milano: “Nel dicembre 2009 al processo Dell’Utri c’erano i giornalisti di tutto il mondo, te lo ricordi che si preoccupava?”. Graviano si era avvalso della facoltà di non rispondere ma leggeva nel pensiero di Marcello Dell’Utri, presente in aula: “si preoccupava, dice … si chistu pa… a mia m’arrestano subito”

martedì 1 ottobre 2019

L’indagine su Berlusconi spiegata (anche) a Renzi

Matteo Renzi si è detto “attonito” quando ha scoperto con due anni di ritardo che Silvio Berlusconi è indagato per le stragi del 1993. Eppure Renzi quella storia la dovrebbe conoscere bene se non altro perché sulla bomba del 27 maggio a Firenze ha fatto il trailer del documentario Firenze Secondo me. Ovviamente non ha detto in tv nel dicembre 2018 che Marcello Dell’Utri e Berlusconi erano già indagati (dunque innocenti fino a prova contraria) anche per quella strage. L’argomento meriterebbe un approfondimento e un dibattito serio ma resta tabù per Renzi come per la stragrande maggioranza dei politici e giornalisti italiani. 

Il mio Silvio Novembre, l’uomo con il vizio capitale dell’onestà

Questa volta se ne è andato come un eroe. Se glielo avessero detto mentre era in servizio non ci avrebbe creduto. Auto della Guardia di Finanza a cingere con affetto il portone del Preziosissimo Sangue di corso XXII marzo a Milano da cui sarebbe uscito tra due ali di cittadini. Gli allievi dell’Accademia ordinati con solennità sul lato sinistro della chiesa a salutarlo, invitati dal loro generale a considerarlo un esempio “senza se e senza ma”, “splendida” e “luminosa” figura di finanziere, “incarnazione dell’etica” del Corpo. Magistrati e giornalisti. E la Milano che lo ha amato, quella della legalità e della giustizia uguale per tutti: Società Civile, girotondi, Libera, scuola Caponnetto.