Obama parla di pace all’Islam ma Bin Laden promette ancora battaglia
Oggi Obama ha iniziato il suo viaggio nel mondo arabo, prima tappa in Arabia Saudita e domani in Egitto. L’obiettivo è mostrare il volto nuovo, fermo ma dialogante dell’amministrazione democratica succeduta a George W. Bush.
Nell’intervista concessa alla BBC, che anticipa il discorso che il presidente terrà domani al Cairo, Obama ha detto che “l’idea che lo scontro di civiltà sia inevitabile è sbagliata”. Non è una novità. Lo diceva anche il compianto professor Huntington che, infatti, parlava di “comunanze”, elementi ricorrenti, valori condivisibili (anche se non per forza “universali”) che permettono alle diverse civiltà di comunicare e convivere pacificamente senza scannarsi tra loro.
Se mai il problema è che ad ogni apertura obamiana corrisponde una risposta, violenta e minacciosa, di Al Qaeda. Un argomento, la lotta al terrore islamista, di cui non c’è traccia nell’intervista del presidente alla BBC. Eppure la coppia Bin Laden-Zawahiri è riemersa dalle catacombe per dire che Obama sta seguendo la strada del suo predecessore e che “Gli americani devono prepararsi a raccogliere le messi di quello che i leader della Casa Bianca piantano negli anni e nei decenni”.
Obama ha anche affermato che nel corso degli ultimi anni ci sono stati dei “grossi malintesi ed errori di comprensione” nell’immagine che gli arabi e i musulmani si sono fatti dell’Occidente, così come in quella che gli occidentali si sono fatti dell’Islam. Il presidente vorrebbe oltrepassare questi stereotipi, pur tenendo conto del fatto che “nessun discorso può risolvere i problemi reali che esistono”.
Peccato che uno di questi stereotipi su cui si fonda l’incomprensione fra Occidente e mondo arabo è proprio quello che suole dipingere gli Usa come i colpevoli (gli unici colpevoli) della crisi, delle guerre e di tutti i mali in cui versa l’Islam mondiale (che è fatto di tanti Islam). Un Occidente e un’America arroganti che in Iraq hanno sbagliato tutto o quasi, che hanno trattato con i dittatori fino a quando gli è convenuto, o al massimo li hanno usati come “poliziotti”, piuttosto che rovesciarli per aiutare la popolazione a ritrovare la libertà.
Seguendo il filo di questo ragionamento si perde completamente di vista che l’Islam, fondamentalista e radicale, quello ben incarnato dai capi e capetti di Al Qaeda, attualmente sta vivendo un risveglio, o meglio un’altra di quelle fasi espansionistiche che caratterizzano la storia di questa civiltà. Espansionismo che si esplica nell’attacco portato ai governi dei paesi arabi e musulmani cosiddetti ‘moderati’ (e, in forme diverse, con l’arabizzazione dell’Europa).
Tracciando una linea di demarcazione fra la sua amministrazione e quella di Bush, Obama sottovaluta che si sta combattendo una Guerra Mondiale all’interno dell’Islam e che gli Stati Uniti sono intervenuti in soccorso dei loro alleati. Dimentica di ricordare al mondo arabo per qualche decennio gli Stati Uniti hanno investito soldi e baionette per difendere il mondo islamico: cosa sarebbe accaduto all’Arabia Saudita se le truppe americane non avessero vegliato sui luoghi Santi di La Mecca e Medina? O non fossero intervenuti nella Guerra del Golfo per liberare il Kuwait? O in Somalia, in Bosnia e in Kosovo, in Iraq e in Afghanistan?
Il resto dell’intervista di Obama è incentrata tutta sulla questione palestinese. La “road map”, la soluzione “due popoli/due stati”, il blocco degli insediamenti dei coloni ebraici… una musica che al governo Netanyahu piace sempre meno. “Gli Stati Uniti hanno una relazione particolare con Israele – ha spiegato Obama – su questo non ci sono dubbi. Ma detto questo, è vero anche che essere amici significa essere onesti. E penso che ci sono stati momenti in cui non siamo stati così onesti come avremmo dovuto sul fatto che la direzione attuale presa nella regione sia profondamente negativa non solo per gli interessi israeliani, ma anche per quelli americani”.
A questo punto il presidente dovrebbe mostrare la stessa “onestà” con il mondo musulmano, e riconoscere, come scrive l'ex segretario alla Difesa Paul Wolfowitz, sul WSJ, che la vera causa della povertà e della tirannia dei paesi arabi non è sempre e soltanto colpa degli Usa. Come non lo sono la follia del terrorismo islamista, le violazioni dei diritti umani perpetrate dai regimi illiberali, la mancanza della libertà di parola, le persecuzioni contro le donne e le minoranze religiose. Un discorso che vale anche per l'alleato egiziano.
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