..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

lunedì 29 giugno 2009

GAS AGLI ENERGIVORI...

... botta all'Eni dal suo azionista
Tra i tanti provvedimenti compresi oggi nel decreto varato dal governo, mi riservo di tornare domani su altro, a cominciare dalla parte fiscale che considera automaticamente strumento di reato qualunque patrimonio allocato in cosiddetti “paradisi fiscali”, Tremonti lo fa per accrescere il successo dell’imminente nuovo scudo, a me non solo non piace - posso liberamente allocare all’estero somme sulle quali ho regolarmente pagato le imposte - ma credo possa risolversi nell’effetto opposto. Segnalo subito una norma che non credo domani verrà spiegata dai media per quel che è davvero. Una bella e sana vendetta consumata dal vertice di Confindustria nei confronti dell’Eni, dopo le “conquiste” operate dal Cane a sei zampe in Assolombarda, le ambizioni a Venezia e altrove.
I cinque miliardi di metri cubi di gas a prezzo “calmierato” rappresentano una bella decurtazione di utili all’Eni. Godono i grandi gruppi energivori, i veri destinatari prioritari di tale misura. L’incredibile, per tanti versi, è che ciò avvenga su decisione del Tesoro, azionista di controllo dell’Eni. La presidente di Confindustria rende felici i suoi associati, e non si duole della botta a Scaroni. Tremonti, per parte sua, incamera consensi e dà una bottarella pure lui, a uno Scaroni forse considerato un po’ troppo autonomo e pronto a disporre ormai di Silvio sulla scena internazionale senza neanche chiedere il permesso…

domenica 28 giugno 2009

I MEDIA NON SI SCUSERANNO MAI

In Italia, si sa, ogni estate deve avere il suo scandalo pre-confezionato. Lo vediamo quest'anno, l'abbiamo visto quello passato e l'abbiamo vissuto sulla nostra pelle tre anni fa.Ma chi paga pegno per quella notizia pompata o completamente inventata? A giudicare dalle firme poste su ogni articolo: nessuno. Già, nessuno subisce conseguenze perché calunnie e menzogne vendono bene, sicuramente più delle ridicole multe che, di tanto in tanto, qualche tribunale infligge. Nessuno subisce conseguenze perché, almeno gran parte delle volte, chi ci mette la firma serve il proprio editore e va a colpire un nemico diretto o un nemico degli amici.

sabato 27 giugno 2009

46% VALENTINO ROSSI









































ASSEN: LA GARA

MotoGP Assen Gara: Valentino Rossi, e sono 100 vittorie
Il destino lo ha portato ad Assen, lo ha voluto otto volte Campione del Mondo, lo ha celebrato oggi per le sue 100 vittorie nel Motomondiale. Valentino Rossi raggiunge la tripla cifra nei successi accumulati in carriera, per una bacheca impareggiabile. Per tutti, quasi per tutti, fatta eccezione per Giacomo Agostini che dall’alto delle sue 122 affermazioni (o 123? Per carità, non entriamo in questa eterna diatriba..) resta al comando in questa illustre classifica. Prima inavvicinabile, oggi raggiungibile, quasi “ad un passo” grazie a questo Valentino, leader di campionato in solitaria per una gara vissuta con la seconda doppietta consecutiva Yamaha complice il piazzamento d’onore di Jorge Lorenzo, secondo con un buon ritmo, ma costretto ad alzar bandiera bianca per una partenza difettosa. Cento di queste vittorie, Vale, 131 i punti in campionato dove cambia poco, nulla, dato che l’ordine di gara rispecchia l’esatto prospetto della classifica. Rossi ok, 131, ma c’è Lorenzo a 126, Stoner a 122 pagando un’altra gara difficile dove con la sua Ducati le ha provate tutte, senza riuscire in miracoli di recente memoria.
Si va a Laguna Seca con Valentino Rossi che raggiunge uno dei suoi obiettivi, con nel mirino Giacomo Agostini, ma con degli avversari in pista e non negli annali che lo hanno battuto e sono determinati a farlo ancora. In California ci proverà Jorge Lorenzo, ma sicuramente Casey Stoner per il “Rematch” dello scorso anno, sperando in una condizione tecnico-fisica ottimale. Qualcosa di più c’è bisogno in Honda, dove Dani Pedrosa ha provato l’impossibile per stare con i tre davanti ai primi giri, salvo scivolare per un proprio errore. In casa HRC c’è quindi Andrea Dovizioso? Niente affatto: poche tornate più tardi, stesso punto, ed il forlivese a terra. Se non c’è Pedrosa a fare il risultato, non c’è nemmeno il nuovo acquisto: solo moto, o anche piloti? Di certo a Tokyo si invidia (ma non diciamolo) il lavoro sull’asse Iwata-Gerno di Lesmo, che piazza anche Colin Edwards al quarto posto (Stoner, ancora una volta, “l’intruso”) e James Toseland ritrovato al secondo posto dietro a Chris Vermeulen. Quattro M1 ai primi sei posti: che dire, ben fatto!
In Ducati tuttavia si può abbozzare un sorriso per Nicky Hayden nella top ten, Mika Kallio autore di una gran prova fino alla scivolata finale, con Niccolò Canepa 14° giusto all’ultimo giro. Alla Suzuki segnali di risveglio grazie a Chris Vermeulen, quinto e ormai fuori squadra, meno con Loris Capirossi in lotta con il folto gruppetto di metà classifica e solo decimo. A Marco Melandri un 13° posto, alla MotoGP la celebrazione di una leggenda: Valentino Rossi, adesso sì sono 100 vittorie.
Cronaca di Gara
Come da previsioni Pedrosa è il più veloce al via, prende subito il comando su Rossi, Stoner, Vermeulen, Edwards e Lorenzo. Subito bagarre con Stoner che alla staccata della “Ruskenhoek” in un sol colpo passa Rossi e Pedrosa, ma Valentino non ci sta e sfruttando una piccola sbavatura del rivale lo ripassa all’inizio del secondo giro alla “Madijik”. Classifica compatta, competitiva e prevedibile, con Rossi a capeggiare il quartetto di testa composto da Stoner, Pedrosa e Lorenzo che si è fatto largo su Vermeulen riprendendo in pochi metri i tre fuggitivi. Al terzo giro siamo già sotto il record della pista grazie all’1′36″714 di Valentino Rossi: Lorenzo capisce il momento e decide di rompere gli indugi su Pedrosa, conquistando la terza posizione. Il catalano, che paga qualcosa nei confronti degli altri, non può che forzare con il risultato di perdere l’anteriore alla “Haarbocht”, gara finita e con sè tutte le speranze di un riaggancio in campionato ormai impossibile.
Ben altro discorso per i tre di testa, dove Rossi viaggia ad un passo inavvicinabile se non per Lorenzo, il quale scavalca Stoner per provar a recuperare l’1″5 di svantaggio sul compagno di squadra. Difficile, specie se il “Dottore” decide di forzare ulteriormente il ritmo, sempre sull’1′36″5, qualche centesimo a giro del maiorchino che paga la brutta partenza. Paga forse lo scotto di una Ducati non a livello delle Yamaha Stoner, ormai standardizzato in terza posizione precedendo Andrea Dovizioso che si è portato in quarta posizione, seppur per poco. Decimo giro, stesso punto di Pedrosa, medesima scivolata: zero punti per il team Repsol, ci sarà da discutere nel dopo gara.
Quarto posto ereditato così da Colin Edwards a preceder Chris Vermeulen ed un ritrovato James Toseland, sesto a capeggiare il folto gruppetto dove si notano Mika Kallio, Nicky Hayden, Randy De Puniet, Alex De Angelis e Loris Capirossi. La lotta è qui, perchè davanti non c’è proprio più storia: Valentino Rossi festeggia la 100° vittoria in carriera, si porta in solitaria al comando in classifica a preceder Jorge Lorenzo e Casey Stoner. Quarto Edwards, vola a terra Mika Kallio all’ultimo giro, ma è festa grande per Valentino Rossi.
MotoGP World Championship 2009
Assen, Classifica Gara
01- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - 26 giri in 42′14.611
02- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 5.368
03- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 23.113
04- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 29.114
05- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 33.605
06- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 39.347
07- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 39.543
08- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 39.774
09- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 39.823
10- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 40.673
11- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 46.100
12- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 57.777
13- Sete Gibernau - Grupo Francisco Hernando - Ducati Desmosedici GP9 - + 1′05.366
14- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1′09.897
15- Yuki Takahashi - Scot Racing Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1′09.930
16- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1′25.099
Alessio Piana
La prima cosa che è venuta in mente a Valentino Rossi appena sceso dalla moto è di vincere ancora. Cento vittorie? Non sono abbastanza, non per lui che vuol vincere ancora tanto.
Per me è un giorno speciale, 100 vittorie è un grande risultato che non pensavo di riuscire di raggiungere fino a poco tempo fa“, afferma Valentino Rossi. “Non posso però perder la concentrazione perchè voglio vincere ancora“.
Anche perchè Giacomo Agostini, recordman di successi, è (ufficialmente) a 122 vittorie, 22 di distacco che si possono raggiungere nel futuro.
MotoGP Assen: Jorge Lorenzo “Valentino, questo è il tuo giorno
Guardando il bicchiere mezzo pieno, Jorge Lorenzo ha conquistato un altro podio. Pensando al bicchiere mezzo vuoto, è stato battuto sonoramente da Valentino Rossi. Non aveva il feeling con la sua M1, in più una partenza sbagliata non ha concesso altra chance al pilota spagnolo di chiuder in seconda posizione, complimentandosi logicamente con Rossi per la 100° vittoria.
Prima di tutto devo dire “Congratulazioni!” a Valentino, perchè questa sua centesima vittoria è qualcosa di incredibile“, afferma Jorge Lorenzo. “Questa è sicuramente la sua giornata, bravo davvero“.
Al di là dei complimenti al suo compagno di squadra al Fiat Yamaha Team, Jorge può ritenersi soddisfatto del secondo posto che vale il personale 50° podio in carriera, anche se c’è il rammarico per una partenza difficile.
Al via son partito male, ho perso diverse posizioni e per portarmi al secondo posto ho preso qualche rischio. Ho dovuto farlo in fretta perchè Valentino era già in fuga e sapevo che tutto sommato potevo far un buon ritmo. Purtroppo oggi non avevo un buon feeling, la moto si chiudeva davanti ed il bilanciamento non era proprio perfetto. A quel punto ho preferito dosare il gas e non rischiare, il secondo posto è utile, per me è il 50° podio e siamo a soli 5 punti dalla testa della classifica“.

ASSEN: IL WARM-UP

Ieri Jorge Lorenzo lamentava dei problemi di bilanciamento della sua Yamaha M1 negli ultimi due intermedi del TT Circuit di Assen. Risolti? Alla luce del Warm Up, assolutamente sì. Il pilota maiorchino ha segnato il miglior tempo in 1′36″928, riuscendo a progredire proprio nel T3 e T4 nei confronti di Valentino Rossi, subito alle sue spalle a 0″107. Doppietta Yamaha beneaugurante per le prospettive del team ufficiale Fiat, pur con l’incognita meteo tanto che numerose squadre hanno deciso di far effettuare ai propri piloti un giro di pista con gli pneumatici da bagnato, al fine di effettuare un “rodaggio” nell’eventualità di un cambiamento delle condizioni climatiche.
In casa Ducati ci sono ben altri problemi, con Casey Stoner che fino a 4 minuti dal termine era molto attivo in pista, litigando nuovamente per il tanto traffico (nello specifico con il suo ex-compagno di squadra Marco Melandri, 15° in classifica) e, forse, con un equilibrio non ancora perfetto con la sua Desmosedici. Magari no, dato che ha preferito chiuder anzitempo le prove a 3 minuti dalla bandiera a scacchi: soliti misteri del Stoner-pensiero.
Quel che resta nel Warm Up è comunque una buona competitività generale, con due Yamaha, la Ducati di Stoner, le due Honda ufficiali di Pedrosa e Dovizioso in quarta e quinta posizione seguiti dal ritrovato e/o sorprendente James Toseland, sesto in un tracciato dove di fatto con le vittorie vinse il titolo Superbike nel 2004, guadagnando un buon margine sull’allora rivale Regis Laconi. Purtroppo “Giacomino” è stato, unico, protagonista di una scivolata, ma non abbastanza per scalzarlo dal 6° posto davanti al compagno di squadra Colin Edwards e Nicky Hayden, che in condizione gara questo weekend è andato discretamente. Decimo è Loris Capirossi, 17° Niccolò Canepa, tutti pronti adesso per la gara con il via alle 14:00 e con uno sguardo rivolto ai nuvoloni minacciosi all’orizzonte.
MotoGP World Championship 2009
Assen, Classifica Warm Up
01- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - 1′36.928
02- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.107
03- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.396
04- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.452
05- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.899
06- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.035
07- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.073
08- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.172
09- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 1.180
10- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.261
11- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.440
12- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.609
13- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.783
14- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.873
15- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.943
16- Sete Gibernau - Grupo Francisco Hernando - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.010
17- Yuki Takahashi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 2.434
18- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.723
19- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 3.665
Alessio Piana

ASSEN: LE QUALIFICHE

“Circuito preferito? Assen”. Il tormentone di un noto spot pubblicitario degli ultimi anni si è riproposto oggi al TT Circuit Van Drenthe, dove Valentino Rossi ha fatto sua la seconda pole position stagionale dopo quella “effimera” (complice la cancellazione delle prove ufficiali per maltempo) di Motegi, la 53° in carriera, 43 delle quali nella sola classe regina. Rossi, che in pole ad Assen non partiva addirittura dal 2005, ha preceduto Dani Pedrosa, suo “alleato” nel portare Jorge Lorenzo in terza posizione dopo esser stato vicinissimo ad una pole position utile anche come segnale nei confronti del suo compagno di squadra. Pedrosa ha infatti seguito, ringraziandolo, Rossi nel suo giro “buono”, portando la Honda rinnovata con il nuovo telaio introdotto a Barcellona (accantonato nel weekend per le condizioni fisiche) in prima fila. Di certo al di là dell’ottima prova di Pedrosa (lo ricordiamo e ripetiamo, non ancora al 100 %) c’è la dimostrazione di forza data da Rossi a caccia della 100° vittoria, che dopo un anonimo turno mattutino di prove si è riappropriato del comando quando più serviva.
Non c’è invece in prima fila Casey Stoner, complice il traffico tanto da risultare nervoso al rientro ai box (con gestaccio al seguito). Per l’australiano un buon passo nella mattinata, una Ducati a suo solito “ballerina” e tanta, tantissima grinta. Quella che ci ha messo Loris Capirossi per chiuder sesto (con il nuovo motore Suzuki) alle spalle di Colin Edwards, nonostante una discutibile manovra nel finale, quando ha chiuso il gas in uscita dalla esse finale mandando su tutte le furie Alex De Angelis (oltre che Gabor Talmacsi che seguiva i due). Rapporti da rivedere tra i due, 11° tempo per il sammarinese a precedere le Ducati di Kallio e Hayden, oltre che la Kawasaki un pò sottotono di Marco Melandri.
Con la scivolata di Niccolò Canepa, 17°, e lo schieramento di partenza chiuso dalle Honda Scot di Takahashi e Talmacsi l’appuntamento è fissato per la gara di domani, con il via fissato alle 14. Sarà la 100° vittoria di Valentino Rossi?
MotoGP World Championship 2009
Assen, Classifica Qualifiche
01- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - 1′36.025
02- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.085
03- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1- + 0.368
04- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.608
05- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 0.735
06- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.928
07- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.169
08- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 1.212
09- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.298
10- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 1.448
11- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.612
12- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.724
13- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.734
14- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.923
15- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 2.111
16- Sete Gibernau - Grupo Francisco Hernando - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.428
17- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.580
18- Yuki Takahashi - Scot Racing Team - Honda RC21V - + 2.594
19- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team - Honda RC212V - + 3.382
Alessio Piana
Non è arrivata per caso la pole position di Valentino Rossi ad Assen. Con più di 10 anni alle spalle nel Motomondiale da “lepre”, sa che ad Assen è facile incontrare il traffico: per questa ragione che ha aspettato fino a trovare il momento giusto per scappare, tirandosi dietro Dani Pedrosa per segnare l’1′35″025 che gli è valsa la seconda pole stagionale, 43° nella MotoGP e 53° in carriera nel Motomondiale.
Sono felice di questa pole perchè era da un pò che non ci riuscivo“, ricorda Valentino Rossi. “Da Motegi che non partivo dalla prima fila anche se lì le condizioni era diverse, la pole era arrivata in un modo un pò strano (annullamento delle qualifiche ufficiali, ndr). Ci sono riuscito oggi, ma non è stato facile perchè c’era molto traffico per cui dovevo decider il momento giusto per dare il massimo. E’ andata bene ed è stato davvero un buon giro“.
Quanto alla gara, lui ed il team Fiat Yamaha hanno lavorato bene, trovando una messa a punto soddisfacente della propria M1 che ben si adatta anche alle coperture Bridgestone da gara.
Per domani sono fiducioso, siamo messi bene con la moto anche se ci sono due o tre punti dove possiamo migliorare qualcosa. Con le gomme da gara siamo a posto, penso possiamo fare un’altra bella gara sperando solo nel meteo, anche se ad Assen è normale che ci sia un pò di incertezza al riguardo“.

UN RICORDO

CAMMINANDO INSIEME SULLA LUNA
Con la morte di Michael Jackson non solo termina l'epopea artistica del più grande talento della musica pop mondiale, ma si conclude, e forse per sempre, anche un ciclo musicale che ha segnato un'intera generazione.
Nato nel periodo post-Woodstock, usufruito dei vinili firmati Led Zeppelin, Pink Floyd, Ac/Dc e Black Sabbat, crescevo nella pochezza della musica targata anni '80, fatiscente e poco innovativa, trovando in Vasco Rossi e negli U2 il perché a tanta passione per le sette note, tramandata da miti come Robert Plant e Jimmy Page, "Syd" Barrett, Roger Waters e Bon Scott.
Il pop non è mai stato il mio genere musicale preferito, musica di livello ci mancherebbe, ma che emozionalmente non hai mai lasciato molto, eppure dall'altra parte dell'oceano c'era un ragazzo di colore che, in collaborazione con Rod Temperton, Stevie Wonder e Paul McCartney, stava scalando le classifiche con l'album Off the Wall, un misto di pop, soul, rock, funk, in una parola: musica.
Nonostante il ragazzino ebbe attirato il mio orecchio, i "solo" di Angus Young rimanevano in cima alle godurie più grandi di un bambino di dodici anni. Ma proprio a dodici anni, i miei, ecco l'esplosione: Thriller!
Chi non ha vissuto in presa diretta quel periodo, che oggi torna utile ma che fa anche molta nostalgia, riesce difficilmente a capire che cosa sia stato (ma rimango convinto ancora oggi che Jackson sarebbe potuto nascere in qualunque epoca per rimanere unico) l'avvento di un personaggio come Michael Jackson, della sua musica, dei suoi testi, del suo modo inimitabile di ballare e diventare un tutt'uno tra note e corpo.
Thriller non cambiò la musica intesa come suoni, come generi, ma cambiò radicalmente il suo modo di ascoltarla, di vederla. Tutto quello che oggi possiamo ammirare attraverso i video musicali è nato da Thriller, dall'idea manicale di Jackson di unire la musica al video, con un ballo, una storia, una trama che potesse identificare meglio quello che l'artista stava proponendo al pubblico. Un mini-film contornato da coreografie divenute celebri e prese ad esempio tutt'oggi da artisti e registi. Ma di quell'album (che conservo tutt'oggi in originale vinile) mi rimarrà per sempre impresso Billie Jean, considerato uno dei brani migliori nella storia della musica. Come rimarrà per sempre quella sensazione di energia che sprigionava quel disco nero ogni qual volta la puntina si poggiava (piano) su di esso, per me incredibilmente paragonabile ad Highway to Hell. Ma questa, e non a caso, si chiama musica: il potere di unire.
Chi aveva una benchè minima conoscenza musicale non fece fatica a comprendere che stava nascendo un mito della musica mondiale, un'icona che avrebbe trascinato con se un'intera generazione nata in ogni angolo del pianeta. E così fu. A memoria d'uomo non si ricordavano scene di isterismo da fans dai tempi dei Beatles, di Elvis Presley, dei Rolling Stone, pietre miliari della musica moderna. Jackson creò un modo di vedere la musica che fece sognare milioni di fans, creando una moda, un modo di vestire e di essere, ma nello stesso tempo dedicò anima e cuore alle popolazioni più povere. Scrisse in collaborazione con Lionel Richie il brano We Are the World, inciso il 28 gennaio 1985 a Hollywood, la stessa notte degli American Music Award, a cui parteciparono 45 musicisti, incluso lo stesso Bob Geldof, ideatore del progetto Live Aid, e ventuno cantanti, che si alternarono alla voce solista a partire dagli stessi Lionel Richie e Michael Jackson.
Nella prima giornata in cui il mondo è stato privato del talento di Michael Jackson, si è cominciato a leggere di tutto e di più, e siccome il nostro Paese non può fare a meno di impicciarsi della vita privata altrui, ecco comparire, nei forum e nei siti di informazione, le classiche sentenze di chi, pulito e integerrimo, loda le liriche del cantante dell'Indiana, ma ne condanna il modo di vivere, come se il Sig. Jackson per quello che ha fatto, al suo corpo, abbia chiesto denari a qualcuno.
Non commento la continua campagna fatta ai danni di Michael Jackson sulla questione pedofilia, una macchia che, nemmeno dieci, e dico dieci, sentenze di "not guilty" (non colpevolezza) espresse da dodici giurati che non solo lo hanno assolto dalle accuse di molestie sessuali, ma anche dalle altre imputazioni minori, sono riuscite a cancellare.
Sarà retorica ma Jackson oggi è più vivo che mai, con le sue canzoni, con il suo modo di ballare.
Chi oggi non ha ascoltato Thriller o Beat It, chi non si è emozionato nel canticchiare, con il classico americano-maccheronico, Heal the World o Man in the Mirror. Oggi, come ventisette anni fa, Michael Jackson ha avuto il potere di "fermare" il mondo, diventando per sempre leggenda, lui che leggenda lo è sempre stato.
Per i vecchi fan, così come per i nuovi, ho un pensiero. Il 16 maggio 1983, mentre eseguiva Billie Jean al concerto show del 25esimo anniversario della Motown, Jackson lanciò il moonwalk, un passo di danza che fece il giro del mondo, e provato da padri, madri, figli e nipoti in ogni casa del pianeta terra. Stasera prima di andare a dormire provateci ancora una volta, e anche se non vi verrà bene, pensate che state dando l'ultimo saluto al Sig. Michael Joseph Jackson, e come per magia quell'assenza di gravità vi darà l'illusione di camminare sulla luna, insieme a Michael.
UN SORRISO
una fan
Proprio qualche mese fa, mentre io e mio marito ripensavamo con nostalgia a quanto fossero belli gli anni '80, ci venne in mente quanto amassimo entrambi Michael Jackson, le sue canzoni, i suoi passi di danza. Rivedere insieme i video di "Jacko", rivivendo le stesse emozioni di allora, fa capire di quanto fosse capace, con la sua voce ed il suo modo così unico e sensuale di muoversi, di coinvolgere e di emozionare milioni di fan.Ricordo perfettamente quando, poco più che una bambina sognavo di poterlo incontrare, di sposarlo, e vivere accanto a lui per il resto della vita. La bellezza degli undici anni è innamorarsi di uno come Michael Jackson, e poco importa se poi crescendo ci si rende conto che la vita reale è tutta un'altra cosa, quello che rimane dentro è il sogno di bambina, quello che "Jacko" ha sempre cercato di donare a tutti noi e che lui non ha mai avuto. La paghetta settimanale era destinata per intero all'acquisto dei suoi album, e per acquistare qualsiasi fanzine che parlasse di lui, che avesse il suo poster da appiccicare rigorosamente in camera, naturalmente nel posto più bello.
Oggi, nel giorno della sua morte, sono riaffiorate in me le emozioni di allora, di quando ero bambina, di quei momenti in cui avrei voluto sposarlo. E' riaffiorata in me tanta rabbia, nel rileggere come allora il suo nome infangato dalle accuse di pedofilia. Ma per me, "Jacko", sarà per sempre il re indiscusso del pop, il bambino prodigio che ha conosciuto la fame e i maltrattamenti di un padre-padrone, un bambino che è stato investito dal successo per il suo grande talento.
Rimarrà un vero mito, come tutti i più grandi che, come lui, se ne sono andati troppo presto. Continuerà a vivere in eterno nei suoi album, i più venduti di tutti i tempi, e quando un giorno i miei figli mi chiederanno chi era Michael Jackson, gli risponderò che era semplicemente un uomo, innamorato della musica e dei bambini, delegittimato del diritto di vivere la propria età, adulto quando avrebbe dovuto essere bambino, e, forse, bambino quando avrebbe dovuto essere adulto. Sostanzialmente una persona sola, che ha sempre cercato negli altri il sorriso da bambino che lui non ha mai avuto, e che, purtroppo, non è mai stato.

venerdì 26 giugno 2009

UN SORRISO


una fan

Proprio qualche mese fa, mentre io e mio marito ripensavamo con nostalgia a quanto fossero belli gli anni '80, ci venne in mente quanto amassimo entrambi Michael Jackson, le sue canzoni, i suoi passi di danza. Rivedere insieme i video di "Jacko", rivivendo le stesse emozioni di allora, fa capire di quanto fosse capace, con la sua voce ed il suo modo così unico e sensuale di muoversi, di coinvolgere e di emozionare milioni di fan.
Ricordo perfettamente quando, poco più che una bambina sognavo di poterlo incontrare, di sposarlo, e vivere accanto a lui per il resto della vita. La bellezza degli undici anni è innamorarsi di uno come Michael Jackson, e poco importa se poi crescendo ci si rende conto che la vita reale è tutta un'altra cosa, quello che rimane dentro è il sogno di bambina, quello che "Jacko" ha sempre cercato di donare a tutti noi e che lui non ha mai avuto. La paghetta settimanale era destinata per intero all'acquisto dei suoi album, e per acquistare qualsiasi fanzine che parlasse di lui, che avesse il suo poster da appiccicare rigorosamente in camera, naturalmente nel posto più bello.
Oggi, nel giorno della sua morte, sono riaffiorate in me le emozioni di allora, di quando ero bambina, di quei momenti in cui avrei voluto sposarlo. E' riaffiorata in me tanta rabbia, nel rileggere come allora il suo nome infangato dalle accuse di pedofilia. Ma per me, "Jacko", sarà per sempre il re indiscusso del pop, il bambino prodigio che ha conosciuto la fame e i maltrattamenti di un padre-padrone, un bambino che è stato investito dal successo per il suo grande talento.
Rimarrà un vero mito, come tutti i più grandi che, come lui, se ne sono andati troppo presto. Continuerà a vivere in eterno nei suoi album, i più venduti di tutti i tempi, e quando un giorno i miei figli mi chiederanno chi era Michael Jackson, gli risponderò che era semplicemente un uomo, innamorato della musica e dei bambini, delegittimato del diritto di vivere la propria età, adulto quando avrebbe dovuto essere bambino, e, forse, bambino quando avrebbe dovuto essere adulto. Sostanzialmente una persona sola, che ha sempre cercato negli altri il sorriso da bambino che lui non ha mai avuto, e che, purtroppo, non è mai stato.

CAMMINANDO INSIEME SULLA LUNA

Con la morte di Michael Jackson non solo termina l'epopea artistica del più grande talento della musica pop mondiale, ma si conclude, e forse per sempre, anche un ciclo musicale che ha segnato un'intera generazione.
Nato nel periodo post-Woodstock, usufruito dei vinili firmati Led Zeppelin, Pink Floyd, Ac/Dc e Black Sabbat, crescevo nella pochezza della musica targata anni '80, fatiscente e poco innovativa, trovando in Vasco Rossi e negli U2 il perché a tanta passione per le sette note, tramandata da miti come Robert Plant e Jimmy Page, "Syd" Barrett, Roger Waters e Bon Scott.
Il pop non è mai stato il mio genere musicale preferito, musica di livello ci mancherebbe, ma che emozionalmente non hai mai lasciato molto, eppure dall'altra parte dell'oceano c'era un ragazzo di colore che, in collaborazione con Rod Temperton, Stevie Wonder e Paul McCartney, stava scalando le classifiche con l'album Off the Wall, un misto di pop, soul, rock, funk, in una parola: musica.
Nonostante il ragazzino ebbe attirato il mio orecchio, i "solo" di Angus Young rimanevano in cima alle godurie più grandi di un bambino di dodici anni. Ma proprio a dodici anni, i miei, ecco l'esplosione: Thriller!
Chi non ha vissuto in presa diretta quel periodo, che oggi torna utile ma che fa anche molta nostalgia, riesce difficilmente a capire che cosa sia stato (ma rimango convinto ancora oggi che Jackson sarebbe potuto nascere in qualunque epoca per rimanere unico) l'avvento di un personaggio come Michael Jackson, della sua musica, dei suoi testi, del suo modo inimitabile di ballare e diventare un tutt'uno tra note e corpo.
Thriller non cambiò la musica intesa come suoni, come generi, ma cambiò radicalmente il suo modo di ascoltarla, di vederla. Tutto quello che oggi possiamo ammirare attraverso i video musicali è nato da Thriller, dall'idea manicale di Jackson di unire la musica al video, con un ballo, una storia, una trama che potesse identificare meglio quello che l'artista stava proponendo al pubblico. Un mini-film contornato da coreografie divenute celebri e prese ad esempio tutt'oggi da artisti e registi. Ma di quell'album (che conservo tutt'oggi in originale vinile) mi rimarrà per sempre impresso Billie Jean, considerato uno dei brani migliori nella storia della musica. Come rimarrà per sempre quella sensazione di energia che sprigionava quel disco nero ogni qual volta la puntina si poggiava (piano) su di esso, per me incredibilmente paragonabile ad Highway to Hell. Ma questa, e non a caso, si chiama musica: il potere di unire.
Chi aveva una benchè minima conoscenza musicale non fece fatica a comprendere che stava nascendo un mito della musica mondiale, un'icona che avrebbe trascinato con se un'intera generazione nata in ogni angolo del pianeta. E così fu. A memoria d'uomo non si ricordavano scene di isterismo da fans dai tempi dei Beatles, di Elvis Presley, dei Rolling Stone, pietre miliari della musica moderna. Jackson creò un modo di vedere la musica che fece sognare milioni di fans, creando una moda, un modo di vestire e di essere, ma nello stesso tempo dedicò anima e cuore alle popolazioni più povere. Scrisse in collaborazione con Lionel Richie il brano We Are the World, inciso il 28 gennaio 1985 a Hollywood, la stessa notte degli American Music Award, a cui parteciparono 45 musicisti, incluso lo stesso Bob Geldof, ideatore del progetto Live Aid, e ventuno cantanti, che si alternarono alla voce solista a partire dagli stessi Lionel Richie e Michael Jackson.
Nella prima giornata in cui il mondo è stato privato del talento di Michael Jackson, si è cominciato a leggere di tutto e di più, e siccome il nostro Paese non può fare a meno di impicciarsi della vita privata altrui, ecco comparire, nei forum e nei siti di informazione, le classiche sentenze di chi, pulito e integerrimo, loda le liriche del cantante dell'Indiana, ma ne condanna il modo di vivere, come se il Sig. Jackson per quello che ha fatto, al suo corpo, abbia chiesto denari a qualcuno.
Non commento la continua campagna fatta ai danni di Michael Jackson sulla questione pedofilia, una macchia che, nemmeno dieci, e dico dieci, sentenze di "not guilty" (non colpevolezza) espresse da dodici giurati che non solo lo hanno assolto dalle accuse di molestie sessuali, ma anche dalle altre imputazioni minori, sono riuscite a cancellare.
Sarà retorica ma Jackson oggi è più vivo che mai, con le sue canzoni, con il suo modo di ballare.
Chi oggi non ha ascoltato Thriller o Beat It, chi non si è emozionato nel canticchiare, con il classico americano-maccheronico, Heal the World o Man in the Mirror. Oggi, come ventisette anni fa, Michael Jackson ha avuto il potere di "fermare" il mondo, diventando per sempre leggenda, lui che leggenda lo è sempre stato.
Per i vecchi fan, così come per i nuovi, ho un pensiero. Il 16 maggio 1983, mentre eseguiva Billie Jean al concerto show del 25esimo anniversario della Motown, Jackson lanciò il moonwalk, un passo di danza che fece il giro del mondo, e provato da padri, madri, figli e nipoti in ogni casa del pianeta terra. Stasera prima di andare a dormire provateci ancora una volta, e anche se non vi verrà bene, pensate che state dando l'ultimo saluto al Sig. Michael Joseph Jackson, e come per magia quell'assenza di gravità vi darà l'illusione di camminare sulla luna, insieme a Michael.

ASSEN: LE LIBERE

Chi se lo aspettava? Randy De Puniet ha sorpreso tutti, miglior tempo nel turno di apertura del Gran Premio di Assen, una prestazione a dir poco impronosticabile vedendo le valutazioni/previsioni della vigilia e l’andamento dell’unica ora di prove a disposizione in questo giovedì di attività al TT Circuit Van Drenthe. La sua prestazione, 1′37″601, lo proietta tra gli outsider di un weekend dove l’atteso terzetto in vetta alla classifica lo segue da vicino: per il momento ha ragione il transalpino, cliente (il migliore quest’anno) di casa Honda del quale si parla poco, ma negli ultimi tempi sta stupendo tutti, vedi anche il risultato di Jerez de la Frontera. “Playboy” De Puniet, d’altronde, ad Assen è sempre andato forte, anche l’anno scorso dove è stato centrato al via da Valentino Rossi. Un pò ci ripenserà a quella disavventura, specie leggendo una classifica dove ha preceduto proprio il “Dottore” per soli 5 miseri millesimi in un prospetto con 11 piloti in 6 decimi di secondo, a conferma dell’imprevedibilità di un circuito che avrà “dimezzato” il proprio fascino, ma regala sempre qualcosa di unico anche in un turno di prove libere.
Non fosse per la sorpresa De Puniet, sarebbe stata una sessione dominata dalle Yamaha, a tratti tutte e quattro le M1 schierate nella top-6. Sul finale Valentino Rossi è risultato il migliore, secondo a preceder Casey Stoner e Jorge Lorenzo: tutti lì, tutti in due decimi con le Honda Factory di Andrea Dovizioso e Dani Pedrosa in agguato, Colin Edwards a tratti velocissimo al sesto posto (con tre vittorie all’attivo ad Assen in Superbike), Toseland tornato in posizioni più congeniali al suo talento in nona piazza.
Nella top ten anche le due Suzuki di Vermeulen (ormai fuori dalla squadra) davanti a Capirossi (vicino alla riconferma, rinnovo al Sachsenring?), Alex De Angelis 11° a precedere i Ducatisti Hayden e Kallio. Prove impalpabili per la Kawasaki con Marco Melandri 14°, male Canepa che chiude il gruppo insieme a Gabor Talmacsi che riduce il gap dai primi. Si segnala la caduta di Yuki Takahashi, prove concluse dopo mezz’ora ed un dolore al ginocchio destro in seguito al pauroso high-side che lo ha visto protagonista: da quando è arrivato l’ex iridato 125 al team Scot cade un pò troppo spesso il buon pilota giapponese.
MotoGP World Championship 2009
Assen, Classifica Prove Libere 1
01- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - 1′37.842
02- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.005
03- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.035
04- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.219
05- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.250
06- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.352
07- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 0.363
08- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.508
09- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 0.537
10- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.587
11- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 0.653
12- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.086
13- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.622
14- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.755
15- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.800
16- Sete Gibernau - Grupo Francisco Hernando - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.309
17- Yuki Takahashi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 2.343
18- Niccolo Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 3.178
19- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team MotoGP - Honda RC212V - + 3.538
Alessio Piana

ANYBODY AS HIM

Pensieri e parole da Achenblog, il blog del WP a cura di Joel Achenbach

Michael Jackson
What a sad moment. Michael Jackson may not have been perfect, but he was part of the soundtrack of our lives the last 40 years. At his best, he was the best. Not long ago I showed my kids a YouTube video of Michael Jackson demonstrating the moonwalk, circa 1983. Like that talent scout said of Fred Astaire: "Can dance a little."
My kids never knew Jackson at his peak, when he was the most popular entertainer on the planet, and millions of copies of "Thriller" flew out of the record stores. It wasn't as good an album as "Off the Wall," which got heavy rotation at the dance parties at my college, but when "Thriller" came out, music videos were the rage, and everything came together to propel MJ to the highest level of the business -- what you might call the Elvissphere.
What a rough life, though. He never knew a normal childhood. His personal travails, legal problems involving accusations of child molestation, plastic surgery obsessions and other eccentricities turned him into a punch line.
So maybe some people forgot over the years just how great he was. He was amazing at the age of 10, when he was singing "ABC." But he was even better in his early 20s, when he had Quincy Jones producing him in "Off the Wall" and "Thriller."
He lived to be 50 years old. But maybe he was always really 10. He never seemed to know how to live life as an adult. For now, we'll put all that aside, and think of him at the height of his power -- singing and dancing so well he seemed to defy the laws of physics. I'm pretty sure there's never been anyone else like him.

THE KING IS DEAD


For his legions of fans, he was the Peter Pan of pop music: the little boy who refused to grow up. But on the verge of another attempted comeback, he is suddenly gone, this time for good.
Michael Jackson, whose quintessentially American tale of celebrity and excess took him from musical boy wonder to global pop superstar to sad figure haunted by lawsuits, paparazzi and failed plastic surgery, was pronounced dead on Thursday afternoon at U.C.L.A. Medical Center after arriving in a coma, a city official said. Mr. Jackson was 50, having spent 40 of those years in the public eye he loved.
The singer was rushed to the hospital, a six-minute drive from the rented Bel-Air home in which he was living, shortly after noon by paramedics for the Los Angeles Fire Department. A hospital spokesman would not confirm reports of cardiac arrest. He was pronounced dead at 2:26 pm.
As with Elvis Presley or the Beatles, it is impossible to calculate the full effect Mr. Jackson had on the world of music. At the height of his career, he was indisputably the biggest star in the world; he has sold more than 750 million albums. Radio stations across the country reacted to his death with marathon sessions of his songs. MTV, which grew successful in part as a result of Mr. Jackson’s groundbreaking videos, reprised its early days as a music channel by showing his biggest hits.
From his days as the youngest brother in the Jackson 5 to his solo career in the 1980s and early 1990s, Mr. Jackson was responsible for a string of hits like “I Want You Back,” “I’ll Be There” “Don’t Stop ‘Til You Get Enough” “Billie Jean” and “Black and White” that exploited his high voice, infectious energy and ear for irresistible hooks.
As a solo performer, Mr. Jackson ushered in the age of pop as a global product — not to mention an age of spectacle and pop culture celebrity. He became more character than singer: his sequined glove, his whitened face, his moonwalk dance move became embedded in the cultural firmament.
His entertainment career hit high-water marks with the release of “Thriller,” from 1982, which has been certified 28 times platinum by the Recording Industry Association of America, and with the “Victory” world tour that reunited him with his brothers in 1984. ...continue
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HI MICHAEL


mercoledì 24 giugno 2009

METTETE DELLA BENZINA NELLE VOSTRE CANTINE

I quotidiani degli ultimi giorni hanno dato ampio rilievo (qui una rassegna stampa) alla “previsione” del Codacons, secondo cui quest’estate il costo di un litro di benzina potrebbe raggiungere 1,5 euro.
La “sparata” mi ha molto stupito, perché anticipare i prezzi della benzina richiede una serie di ipotesi sugli andamenti futuri dei mercati internazionali del petrolio grezzo e dei prodotti, sui margini di compagnie e gestori degli impianti, sul comportamento della domanda e, in ultima analisi, sul futuro dell’economia nei prossimi mesi. Tutti abbiamo le nostre idee, di cui parliamo al bar con gli amici, ma da lì a scambiare un terno al lotto per una previsione ce ne passa. Così, sono andato sul sito del Codacons per capire quali ipotesi e quale metodologia stessero alle spalle di una cifra tanto preoccupante, per le tasche degli automobilisti. Tutto quello che ho potuto trovare è questo comunicato. Cito testualmente le parole di Carlo Rienzi, capo dell’organizzazione cosiddetta dei consumatori:
Di questo passo prevediamo che i listini della benzina raggiungano 1,5 euro al litro entro il mese di agosto, grazie al famoso gioco della doppia velocità messo in atto dai petrolieri. Una simile circostanza rappresenterebbe una sciagura per le famiglie, con una maggiore spesa di 10 euro solo per il pieno rispetto ai listini attuali, e ripercussioni indirette (energia, trasporti, prezzi prodotti trasportati, eccetera) per complessivi 300 euro a famiglia solo nel secondo semestre 2009. Finora il governo non ha fatto nulla per punire le speculazioni sui prezzi dei carburanti, e non crediamo abbia intenzione di intervenire a tutela delle famiglie. Non ci resta che sperare nell’intervento dell’Antitrust o della magistratura per evitare che le nostre previsioni diventino una triste realtà.
Da quello che capisco, la “previsione” poggia sul nulla: potrei dire, con la stessa credibilità e la stessa solidità, che la benzina entro agosto costerà 1 euro al litro. Il punto non è se l’una o l’altra “previsione” si verificheranno: in entrambi i casi, è possibile. Il punto è che non si tratta di previsioni più “scientifiche” di quelle che ogni domenica milioni di italiani compiono quando compilano la schedina del Totocalcio. Magari fanno 13, ma l’unica ragione è il caso. Lo stesso vale per l’euro e mezzo di Rienzi. Che del resto viene giustificato con la “doppia velocità” del prezzo dei carburanti, e quindi assume prezzi petroliferi in crescita (cosa di cui non sono convinto, da qui ad agosto) e mercati dei prodotti ugualmente in tensione (più probabile, anche se incerto). Stessa ipotesi è sottostante all’inciso di Rienzi, che “prevede” aumenti non solo della mobilità e dei trasporti, ma anche dell’ “energia” (suppongo si riferisca all’elettricità), la quale vedrebbe crescere il costo della materia prima (in Italia, essenzialmente il gas) tramite il petrolio. Se però siamo davvero di fronte a un aumento significativo del Brent, da cui discenderebbero aumenti di tutti i beni e prodotti da esso dipendenti o a esso legati, non si capisce cosa ci sarebbe di stupefacente in un analogo aumento della benzina e degli altri carburanti.
Se infatti a monte degli aumenti della benzina stessero gli aumenti del petrolio, non ci sarebbe nulla che il governo, l’Antitrust o la magistratura (ohibò) potrebbero fare. Questo anche in presenza di movimenti “speculativi”, qualunque cosa siano e qualunque cosa intenda Rienzi (non sono sicuro che le due definizioni coincidano). Peraltro, va dato atto al governo (dal punto di vista di Rienzi, non dal mio) di aver fatto molto contro i petrolieri: se 5,5 punti percentuali di Ires aggiuntivi alla vigilia di una crisi di dimensioni colossali vi sembran poco…
Comunque, se Rienzi crede davvero nelle sue previsioni, non serve che invochi le autorità politiche, civili e religiose perché marcino contro i petrolieri. Basta che inviti gli italiani a comprare un po’ di taniche di benzina ai prezzi attuali per tenerle in cantina, in modo da farsene un baffo degli aumenti futuri. Sarebbe un comportamento “speculativo”, ovviamente, ma così funziona il mondo: si compra a poco e si vende a tanto, o almeno ci si prova. Chi fa il contrario non è onesto: è fesso e si fa giustamente difendere dalle associazioni dei cosiddetti consumatori.

lunedì 22 giugno 2009

HE'S COME TO SAY THE DAY

Di Christian Rocca

IL POPOLO HA FAME?

Sono giorni che non riesco a trovare differenze tra i settimanali che si occupano di gossip e cronaca rosa e i quotidiani che dovrebbero trattare la politica.
Faccio una proposta: da domani tutti, ma proprio tutti, occupatevi della politica, della situazione in Abruzzo, del futuro delle nuove generazioni.
Faccio un passo indietro. Sono nato e cresciuto in un periodo storico “sbagliato”, dove la cultura, l’informazione e la politica sono state sostituite dalla televisione e dall’apparire ad ogni costo. Una generazione che ha fatto fatica a leggere un libro che sia stato uno, ad occuparsi del sociale, a concentrarsi sulla vita politica del Paese, ma esperta e scaltra nel trovare soluzioni per proiettarsi al centro di un teleschermo o in “terza” su di un quotidiano.
Colpe e colpevoli non li ricerco, mi bastano i fatti. Oggi, però, ci troviamo davanti il mondo che ci fu proposto, con tanto di colpe e colpevoli. Nei giorni precedenti alla vigilia elettorale abbiamo avuto inviti a cene e serate, che hanno occupato il posto dei programmi da proporre: tutti presenti e con il vestito migliore. Si legge, in questi giorni, che il Premier dovrebbe rispondere all’opinione pubblica, altri, giustamente, replicano: quale opinione pubblica, quella che dopo una simpatica campagna scelse Barabba? In serata si concluderà il referendum elettorale, ma l’Italia sta dimostrando di non saperne dell’esistenza. Gran parte del Paese conosce abitudini, vizi e virtù della Sig.ra D’Addario, e vacilla quando gli si chiede se il Senato ha sede a Palazzo Madama o a Montecitorio. Ora la domanda è fin troppo banale, ma mi chiedo: dov’è la politica? Da chi è stata rapita? Chi ha voluta venderla per una foto o una registrazione?
In questi giorni, nel mio piccolo, ho letto due interventi degni di nota. Il primo è a firma di Davide Giacalone, che nel suo “Il ricatto”, mette a nudo una realtà con una domanda: “…Vi pare possibile che si monti uno scandalo colossale sulla stupidata di una festa di compleanno?…“.
Il secondo, e non meno importante, è l’analisi di Gennaro Malgieri, che affronta la mancanza di politica su argomenti come la crisi finanziaria, sugli arsenali nucleari che si stanno costruendo tra Teheran e Pyongyang, sul destino delle giovani generazioni.
Anche in questo caso, l’autore, non difende nessuno: né chi continua a delegittimare Berlusconi, né lo stesso Premier, “invitato” a gestire meglio certe situazioni.
Ma sullo sfondo, come conclude Malgieri, resta la sfiducia, innegabile, nei confronti di una classe politica incapace di pensarsi al di fuori di un’ordalia perenne che sembra trovare la propria legittimazione avvoltolandosi nel fango impastato dai soliti noti.
La chiusura è amara: “… e pensare che questa doveva essere la Legislatura costituente che tutti, a destra come a sinistra, avevano promesso agli italiani …”.
Forse a questo punto diventa ragionevole la proposta di Vittorio Sgarbi, secondo il quale sarebbe arrivato il momento di convocare, da parte del Presidente del Consiglio, una conferenza stampa, nella quale il Premier dichiari la sua passione per la “gnocca”, elemento imprescindibile e curativo, risolvendo con quattro semplici parole il dilagare di tanta inutilità, per riportare in primo piano la politica.
Il luogo comune "Il popolo ha fame? Allora dategli le brioches!", che fu affibbiato a Maria Antonietta, lo ritrovo oggi, nella miseria dei fatti e nell’umiliazione del parlarne, come se una mondana registratrice avesse avuto il compito di saziare il popolo. C’è chi guarda a tutto questo con preoccupazione, osservando quel che succede, valutando la ciccia che è rimasta da sbranare, che non sa ne di politica, né di etica pubblica, ma che potrebbe riprodurre le stagioni dei saccheggi.
La "povera" Maria Antonietta non pensava si potesse avere fame, supponeva un errore nell’approvvigionamento giornaliero. La nostra classe dirigente non suppone la politica serva ad altro che al galleggiamento di sé medesimi. La rivoluzione francese fu borghese, perché la Francia era in crescita. La nostra sarà un’involuzione plebea, con la borghesia incattivita. Insomma, senza politica seria i popoli decadono.

domenica 21 giugno 2009

A UN PASSO DALLA GUERRA

Barack Obama ha cominciato la campagna presidenziale convinto che l’Iraq fosse il grande problema da risolvere. Una volta entrato alla Casa Bianca, l’Iraq è passato di moda, grazie al successo della strategia elaborata da Bush e dal generale Petraeus, quindi si è preparato ad affrontare la delicata questione Af-Pak, l’area tra l’Afghanistan e il Pakistan.
L’imprevista rivolta in corso a Teheran ha cambiato ancora una volta la lista delle priorità dell’Amministrazione, ma in realtà è la crisi nordcoreana a preoccupare Washington più di ogni altra. Stati Uniti e Corea del Nord sono, infatti, a un passo dalla guerra. Il Pentagono ha trasferito missili terra-aria alle Hawaii per difendere l’isola americana da un attacco nordcoreano che, secondo il Pentagono e i servizi segreti giapponesi, potrebbe essere lanciato intorno al 4 luglio. Il segretario alla Difesa, Bob Gates, ha confermato le voci delle intenzioni nordocoreane, anche se non è ancora certo che il missile Taepodong-2 sia in grado di raggiungere le coste hawaiane. Tre anni fa, esattamente il 4 luglio, i nordcoreani provarono a lanciare un missile a lunga gittata, ma l’operazione è fallita in pochi secondi. Il missile norcoreano ha una gittata di quattromila miglia, circa 6500 chilometri, mentre le Hawaii sono a 4.500 miglia. L’apparato militare americano, inoltre, sta posizionando un gigantesco e sofisticato sistema di radar galleggianti intorno alle Hawaii per intercettare in tempo il missile. “Siamo preoccupati – ha detto Gates – ma siamo anche in una posizione buona per proteggere il terrtorio americano, se dovesse essere necessario”. Se i coreani lanceranno il missile, come lasciano intendere alcune manovre militari nelle basi del regime, Obama dovrà decidere se tentare di abbatterlo o meno, anche se la previsione è che si possa fermare a 500 miglia dalle Hawaii. Tecnicamente è complicato, ha scritto il Wall Street Journal, non c’è garanzia di successo. Se il tentativo di colpire il missile fallisse l’imbarazzo per i sistemi di difesa americani sarebbe enorme, rafforzerebbe Pyongyang e incoraggierebbe il Giappone e altri alleati della regione asiatica a prendere misure più dure contro la Corea aprendo scenari non incoraggianti. Tanto più che, secondo l’International Crisis Group, Pyingyang dispone di un quantitativo di armi chimiche che va dalle 2500 alle 5 mila tonnellate.
L’accelerazione della crisi coincide con l’annunciato, ma non ancora ufficiale, passaggio di poteri da Kim Jong Il al suo terzogenito Kim Jong-un. Pochi mesi fa, il regime comunista di Pyongyang ha testato un missile che è volato sopra il Giappone ed è finito nell’Oceano pacifico. Il 25 maggio, pochi giorni prima del discorso di Obama al Cairo, la Nord Corea ha fatto detonare un ordigno nucleare in un sito al confine con la Cina. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha risposto con una risoluzione che ha inasprito le sanzioni e autorizzato le navi dei paesi membri a ispezionare in alto mare, ma solo col consenso dell’equipaggio, i carghi nordcoreani sospettati di trasportare armi e materiale nucleare. Gli americani hanno già individuato il cargo Kang Nam battente bandiera nordcoreana, sulle cui tracce c’è l’incrociatore della marina militare USS John McCain. L’ordine non è stato ancora dato, anche perché la Nord Corea ha già detto che considererà l’approccio ostile come un atto di guerra e che risponderà con una “rappresaglia cento o mille volte più pesante”.
Le opzioni di Obama sono limitate, visto che ha deciso di non continuare con la politica di Bill Clinton e Bush che offrivano un accordo – cioè denaro, cibo e aiuti – in cambio di una rinuncia ai programmi nucleari. Washington ora sta cercando di convincere Pechino a intervenire direttamente sulla Corea, uno stato che dipende dai rapporti commerciali con la Cina.

sabato 20 giugno 2009

SEI CHIARA COME UN'ALBA


Dal 14 giugno nelle migliori librerie potrete trovare la nuova edizione del libro di Chiara Sclarandi, "Sei Chiara come un'Alba", il romanzo che racconta il popolo del Blasco tra concerti, inseguimenti, e canzoni da cantare fino al mattino.Il lavoro d'esordio di una fan che ha raccontato le sensazioni provate a trovarsi a pochi metri di distanza dalla sua rockstar.
"Se noi siamo una chitarra, lui tocca le corde giuste"

IS NOT AN OPTION

Stati Uniti, non è troppo tardiper appoggiare il popolo iraniano
di Paul Wolfowitz
La prima risposta del presidente Obama alle proteste in Iran è stato il silenzio, seguito poi da un cauto, quasi neutrale atteggiamento al fine di evitare “intromissioni” negli affari interni iraniani. Ciò mi fa tornare alla mente la risposta in principio pressoché neutrale di Ronald Reagan alla crisi successiva alle elezioni filippine del 1986. E la risposta inizialmente neutrale al tentato golpe ai danni di Mikhail Gorbaciov nel 1991. Tanto Reagan che Bush riuscirono a mettere da parte la loro sbagliata neutralità abbastanza in tempo da fare la differenza. E per Obama non è troppo tardi per fare lo stesso.
Nel 1986 il presidente filippino Ferdinand Marcos aveva indetto elezioni anticipate contando sul fatto che un’opposizione frammentata gli avrebbe consegnato una netta vittoria che a sua volta gli avrebbe permesso di allentare la tensione proveniente dall’amministrazione Reagan, la quale cercava d’indurlo a realizzare un ampio programma di riforme. Invece, i partiti d’opposizione si unirono all’ombra di Corazon Aquino e fu soltanto grazie a un gigantesco broglio che si riuscì a far venire fuori una “vittoria” per Marcos.
L’11 febbraio, quando il conteggio dei voti non era ancora terminato, Reagan segnalò una posizione neutrale ricordando agli americani che si trattava di una “elezione filippina” e lodando “lo straordinario entusiasmo del popolo filippino per il processo democratico”. Piuttosto che incolpare Marcos per il broglio, che definì “spiacevole”, disse che di brogli potevano essercene stati “da ambo le parti”.
Al tempo io lavoravo per il segretario di Stato George Shultz come suo assistente per l’Asia Orientale e il Pacifico e con lui ho condiviso la contrarietà alle affermazioni del presidente. Per oltre due anni, con l’appoggio del presidente, avevamo fatto attenta pressione su Marcos per le riforme. Reagan stesso, a proposito di Marcos, citò una volta la famosa massima di Lord Acton sul “potere che corrompe” e sul “potere assoluto che corrompe assolutamente”. Nondimeno, l’infelice affermazione di Reagan sui brogli “da ambo le parti” rischiò di mettere gli Stati Uniti dalla parte sbagliata in un momento critico.
Per fortuna Shultz riuscì a convincere il presidente che aveva commesso un grave sbaglio. Il 15 febbraio, la Casa Bianca rilasciò una nuova dichiarazione: “Le elezioni sono state funestate da brogli generalizzati e violenza perpetrati in larga misura dal partito di governo”. Il giorno successivo, sia Marcos che Aquino reclamarono la vittoria. Il 22 febbraio, quando Marcos ordinò l’arresto dei due riformatori chiave, qualcosa come un milione di filippini si riversò nell’EDSA Square di Manila per bloccare gli arresti in una drammatica dimostrazione di “people power”.
L’ultimo messaggio di Reagan a Marcos venne due giorni più tardi, quando il senatore Paul Laxalt, intimo amico del presidente, aveva avvertito che Reagan era contrario a qualsivoglia uso della forza sulla folla e l’aveva sollecitato a “darci un taglio, e netto”. Il giorno successivo Marcos lasciò le Filippine.
Il 19 agosto 1991, in qualità di sottosegretario alla Difesa nell’amministrazione di George H.W. Bush, ho potuto assistere a una replica del copione che fu delle Filippine quando forze reazionarie tentarono un golpe ai danni dell’allora presidente sovietico Gorbaciov e del presidente russo Boris Eltsin. Bush fu inizialmente molto cauto, incerto sui fatti e riluttante a interferire o a inimicarsi un possibile successore di Gorbaciov.
Come risposta, quella mattina il presidente si rifiutò di condannare il golpe definendolo semplicemente uno “sviluppo spiacevole” e si limitò a esprimere un tiepido appoggio a Gorbaciov e ancor meno a Eltsin. Anzi, non fu neanche tra i leader mondiali che aveva cercato di contattare riguardo alla crisi. L’impressione che dava era piuttosto d’essere concentrato a lavorare con la nuova leadership sovietica nella speranza che il suo leader Gennady Yanayev s’impegnasse per le “riforme”.
Benché il segretario alla Difesa Dick Cheney avesse argomentato con forza affinché gli Stati Uniti appoggiassero le aspirazioni pacifiche dei russi, degli ucraini e di altre popolazioni sovietiche, fu Eltsin – con un’intensa lettera personale – a persuadere Bush ad abbandonare ogni affermazione equivoca e a opporsi al golpe. E così nel tardo pomeriggio la Casa Bianca aveva invertito la rotta e condannato il tentato golpe in quanto “sconsigliato e illegittimo”. In seguito Bush chiamò Eltsin per rassicurarlo sul proprio appoggio.
Non che le due situazioni siano identiche, ma la riforma che cercano i dimostranti iraniani è qualcosa che dovremmo appoggiare. In una situazione del genere, gli Stati Uniti non possono far conto sull’opzione del “no comment”. Se viene dall’America, il silenzio è già da sé un commento d’appoggio nei confronti di chi detiene il potere e contro chi contesta lo status quo.
Sarebbe una ben crudele ironia se, nello sforzo di evitare un’imposizione della democrazia, gli Stati Uniti finissero per fare il gioco dei dittatori che impongono la propria volontà alla gente che lotta per la libertà. E a sembrare tanto disperati da abbandonare chi appoggia i nostri principi per intavolare negoziati, non facciamo che indebolire proprio la nostra mano al tavolo delle trattative.
Ciò non vuol dire che abbiamo bisogno di prendere una parte o l’altra in un’elezione iraniana o rivendicare di conoscerne i risultati. Obama può mandare un messaggio molto potente semplicemente mettendo il proprio enorme prestigio personale a supporto della condotta pacifica dei dimostranti e della loro richiesta di riforme. Esattamente il tipo di cambiamento, pacifico e democratico, che aveva elogiato nel suo discorso del Cairo.
Come tutto il resto del mondo, anche il presidente Obama dev’essere rimasto sorpreso dalla magnitudine delle proteste in Iran. Gli iraniani stanno contestando non solo i brogli elettorali, ma anche i crescenti abusi ai danni della popolazione da parte del regime dittatoriale. Non è questo il momento per il presidente di trincerarsi dietro una posizione di neutralità. È arrivato il momento di cambiare rotta.
© Washington Post

SFOTTERE OBAMA

Basta con l’Obamathon. La presidenza degli Stati Uniti non è l’Isola dei famosi. Obama impari da Bush, che era stronzo, ma non gli importava niente della sua immagine personale e se voleva mangiare un hamburger lo ordinava al telefono, non si portava dietro Dick Cheney e centinaia di telecamere. Bush aveva l’assertività giusta per realizzare le sue idee orribili. Quanto sarebbe bello se anche Obama dicesse “Gesù mi ha detto di riformare il sistema sanitario”.
Otto mesi dopo l’elezione di Barack Obama e cinque mesi dopo l’insediamento alla Casa Bianca, l’America comincia timidamente a ridere del presidente super cool, grazie all’invettiva politico-satirica del comico libertario di sinistra Bill Maher, noto in Italia per il suo documentario antireligioso “Religuolous”. In un monologo del suo programma sulla rete televisiva Hbo, il network di intrattenimento preferito dagli intellettuali per la programmazione di altissimo livello sintetizzata dallo slogan “Non è televisione. E’ HBO”, Maher ha spiegato che quando si accende la tv ci si accorge che “non è televisione, è BHO”, Barack Hussein Obama.
Maher è il primo comico a prendere in giro il presidente per la sovraesposizione mediatica e lo scarso impegno su cose serie, mentre i suoi colleghi fanno ancora battute su Bush o, al massimo, sull’innocuo vicepresidente Joe Biden. “Ogni volta che accendi la tv, c’è Obama. S’è preso un cucciolo! Sta mangiando un cheeseburger con Joe Biden! Porta la moglie a Broadway e a Parigi – mi pare la migliore edizione The Bachelor” (“lo scapolo”, un reality show).
Durante la campagna elettorale, ha ricordato Maher, John McCain ha attaccato Obama perché aveva atteggiamenti da star: “Abbiamo tutti preso in giro lo scorbutico e rintronato vecchio scemo. Be’, aveva ragione lui”. Maher capisce la necessità per un politico di vendere la propria storia personale per mantenere la popolarità: “Sono favorevole, ma lei ci ha già conquistati. Lei ci piace, ci piace davvero. Lei è magro e di fretta e innamorato di una bella donna. Ma è così anche Lindsay Lohan. E come con la Lohan, vediamo spesso il suo nome sui giornali e ci chiediamo quando comincerà a fare davvero qualcosa…
Forza, sir, non deve stare in televisione ogni minuto di ogni giorno. Lei è il presidente, non una replica di Law and Order”.Maher ha provocato scandalo non solo per le battute irriverenti, ma anche perché ha detto che Obama avrebbe ceduto alle banche, all’industria petrolifera, alla lobby della sanità: “Obama avrebbe bisogno di essere un po’ più come Bush. Quello diceva ‘o siete con noi o siete contro di noi’. Obama invece dice ‘o siete con noi oppure ovviamente avete bisogno di vedere un’altra foto di questo adorabile cucciolo’ ”.

venerdì 19 giugno 2009

CI HA MESSO POCO/17

di Christian Rocca

106 MILIARDI

Il presidente che secondo alcuni mammalucchi europei avrebbe finito le guerre americane oggi firmerà la legge (passata 91 a 5 al Senato) di finanziamento aggiuntivo straordinario delle guerre in Iraq e in Afghanistan: 106 miliardi di dollari in più, fino al 30 settembre.

giovedì 18 giugno 2009

IL TIMIDO OBAMA E I FALCHI

Il risultato elettorale iraniano ha colto di sorpresa la Casa Bianca, convinta che l’offerta di dialogo lanciata dal presidente Barack Obama – prima col discorso di insediamento della presidenza, poi con il messaggio via youTube e, infine, con le parole pronunciate al Cairo – potesse sortire effetti positivi sul regime degli ayatollah. E’ successo l’opposto, ammesso che fosse realistico riporre speranze, e basare una strategia politica, su un processo elettorale non democratico e gestito interamente dal clero teocratico.Obama sembra intenzionato a non cambiare linea e ieri si è occupato principalmente di sanità pubblica, oltre a ricevere il premier italiano Silvio Berlusconi. Anzi, secondo un’indiscrezione colta dal quotidiano Haaretz, subito confermata a Washington dai blogger più influenti, starebbe pensando di licenziare il “consigliere speciale” di Hillary Clinton Dennis Ross, considerato troppo falco e probabilmente non gradito agli iraniani perché ebreo. Le voci parlano di un trasferimento di Ross, un veterano delle trattative di pace mediorientali, al Consiglio di Sicurezza Nazionale, ma anche di una certa insoddisfazione dei suoi boss per il contenuto di un suo libro uscito la settimana scorsa dal titolo “Myths, Illusions & Peace” che sostiene di puntare sulla diplomazia per essere più credibili, nel probabile caso di fallimento, nell’invocare misure decisamente più toste.
Le timide reazioni di Washington alle proteste popolari e alle accuse di brogli, affidate a due innocui comunicati stampa e a una battuta del vicepresidente Joe Biden in tv, sono un segnale che la Casa Bianca è già sintonizzata sulla necessità di dover avere a che fare con Ahmadinejad e gli ayatollah, più che sulle recriminazioni degli elettori iraniani che in queste ore gridano in piazza “morte al dittatore” e chiedono nuove elezioni. La rivolta di Teheran e i primi segnali di cedimento del grande ayatollah Ali Khamenei sono seguiti con attenzione a Washinton e gli sviluppi, ovviamente, potrebbero far cambiare atteggiamento.I critici della linea di Obama, come Bill Kristol, direttore del settimanale Weekly Standard, scrivono che il presidente dovrebbe proprio in questo momento usare le armi del “soft power” e parlare direttamente al popolo iraniano di diritti, democrazia e libertà, invece che continuare a dare fiducia a un regime che non la merita e spara sui cittadini. Michael Ledeen, esperto di Iran e Freedom scholar alla Foundation for Defense of Democracies, sostiene da tempo la tesi che il popolo iraniano detesta i mullah e che sarebbe bastato aiutarlo per scatenarlo contro il regime. Al Foglio, Ledeen dice che la rivolta popolare di queste ore nasce dal fatto che gli iraniani prima si illudevano che Bush li avrebbe aiutati, mentre ora, con Obama al potere, hanno capito che da lui non riceveranno aiuto e che dovranno fare da soli.La strategia della Casa Bianca è di arrivare a un “grande accordo” con Teheran che preveda la rinuncia ai programmi militari, in cambio del pieno diritto di dotarsi di tecnologia nucleare a scopo civile. Il piano B non è l’intervento militare per sradicare le centrali, ma l’idea che Israele possa convivere con gli ayatollah dotati di bomba e che la deterrenza – “se la usate, risponderemo” – possa funzionare. Qualche giorno fa è stata Hillary Clinton a dire a un giornale israeliano che “non c’è dubbio che se Israele subisse un attacco nucleare dall’Iran, ci sarebbe una rappresaglia”. Il direttore di New Republic, Martin Peretz, obamiano della prima ora, ha giudicato questa frase, ma anche il discorso del Cairo, come la conferma che l’Amministrazione ha accettato l’Iran nucleare.
Non c’è soltanto Dennsi Ross, tra i non rassegnati all’Iran nucleare. Un altro è Richard Holbrooke. Formalmente, l’ex ambasciatore Onu di Bill Clinton non dice nulla, ma poco prima di entrare al governo ha costituito un’associazione bipartisan, “United Against Nuclear Iran”, che sta facendo enormi pressioni sull’opinione pubblica, anche con incessanti spot televisivi, per convincere Obama a non illudersi sulla trattativa con l’Iran: “Il presidente ha offerto al popolo iraniano la mano della diplomazia, ma l’Iran ha rifiutato di stringerla – ha detto il capo del gruppo, Mark Wallace – L’America e la comunità internazionale devono aumentare l’isolamento economico dell’Iran”. Ma è Dennis Ross, incaricato di coordinare per conto di Hillary Clinton la politica sull’Iran, ad aver delineato una strategia nei confronti degli ayatollah che fino alle voci sul suo licenziamento, né confermate né smentite ieri al Dipartimento di Stato, sembrava dare una spiegazione alle mosse obamiane. “Myths, Illusions & Peace”, scritto assieme a David Makovsky, smonta tutti i miti di destra e di sinistra, neoconservatori e realisti, sul medio oriente, a cominciare da quello che lega tutti i problemi della regione alla soluzione del conflitto israelo-palestinese fino all’affrettata conclusione che la promozione della democrazia sia uno strumento da mettere da parte solo perché faceva parte della dottrina Bush. Ross consiglia, inoltre, di non dialogare né con Hamas né con Hezbollah, entità terroristiche che non rappresentano uno stato. Ma con l’Iran ...continua
di Christian Rocca

E' BELLO VEDERTI AMICO MIO

Con queste parole, scrive Repubblica, Barack Obama ha accolto Silvio Berlusconi.
E ora li avvertite voi quelli che, da Michele Serra ad Alexander Stille, sostengono che il Cav. ci fa fare brutte figure internazionali?
Aggiornamenti:«Oltre al fatto che a me il premier Berlusconi piace personalmente, anche i nostri popoli si amano e hanno profondi legami e profonda comunità di valori».«Berlusconi è un grande amico» I legami tra i due Paesi sono ora «più forti». (Ancora Obama, sul Corriere. Qualcuno porti i sali a Gad Lerner)

martedì 16 giugno 2009

MONTMELO': I TEST

MotoGP Test Barcellona: Dovizioso precede Rossi
Una giornata di prove fondamentale, l’unica di test avuta finora a disposizione dei piloti titolari nel corso della stagione MotoGP 2009. Per questo che tutti, anche un sofferente Casey Stoner (il quale ha, tuttavia, percorso solo 38 tornate), hanno provato a scendere in pista. Ci voleva provare anche Dani Pedrosa, ma la Honda lo ha invitato a fermarsi e recuperare in vista di Assen; ci aveva pensato anche Yuki Takahashi, forse “pressato” dal nuovo scomodo compagno di squadra Talmacsi, ma l’infortunio di ieri ad un dito per un’incolpevole caduta lo ha obbligato a fermarsi. Due assenti dei quattro assenti (mancavano i piloti Tech 3) in una giornata che ha proiettato Andrea Dovizioso al comando, autore del miglior crono in 1′42″230, lavorando per conto della HRC su diverse novità tecniche. Quali, in particolare? Il tanto discusso nuovo telaio, destinato originariamente a Pedrosa prima che quest’ultimo nella giornata di venerdì lo accantonò per via delle sue condizioni fisiche, che non potevano consentirgli di girare con continuità per provare gli aggiornamenti tecnici HRC. Un errore di valutazione pesante che la Honda ha cercato di rimediar oggi, vedendo un Dovizioso molto in forma tanto da arrivare ad un competitivo 1′42″230 percorrendo ben 69 giri.
Molto attivo in pista, di più di Valentino Rossi che ha saltato la mattina, come spesso succedeva nel 2008 quando i test post-gara del lunedì facevano parte di un lungo weekend di gara. Festeggiamenti prolungati nella notte? Di certo, a vedere quanto accaduto ieri in pista, il team Fiat Yamaha non aveva nemmeno la necessità di provare: qualcosa di nuovo arriverà per Brno (motore), nel frattempo ci si consola con la splendida doppietta Rossi-Lorenzo e distacchi imbarazzanti verso gli inseguitori. Nel Test Day, Dovizioso a parte, si è ripetuta questa situazione, con Valentino secondo e Lorenzo poco dietro, impegnati entrambi nella ricerca di alcune soluzioni utili a livello di set-up.
La sorpresa viene poi da Mika Kallio, eccellente quarto con la Ducati del team Pramac dotata del forcellone in carbonio. Ben 98 giri percorsi (così come Nicky Hayden, attardato in classifica), distacco contenuto a 4 decimi dalla vetta e la consapevolezza che, forse, il pilota finlandese ha solo bisogno di kilometri per poter diventare una presenza fissa e costante della top ten e non solo. Di certo oggi si è tolto il lusso di precedere Casey Stoner, quinto con solo 38 tornate percorse per via dei problemi fisici che per tutto il weekend ne hanno condizionato il rendimento. Ne aveva parlato solo ieri (dimostrando di essere un pilota che di scuse non ne cerca) per poi oggi scender in pista. “Obbligato” dalle numerose novità tecniche a disposizione, in poche parole tutto quanto selezionato settimana scorsa al Mugello da Vittoriano Guareschi.
Resta così il quinto tempo davanti a Loris Capirossi con un nuovo propulsore che non ha convinto appieno, ma che a detta dei due piloti ha un alto potenziale. Quinto ieri, l’imolese ha preceduto in classifica Randy De Puniet (primo tra i piloti clienti), il compagno di squadra Chris Vermeulen, Alex De Angelis e Niccolò Canepa, decimo a confermare i progressi che si sono intravisti solo in parte al Montmelò. Undicesimo crono per uno sconsolato Marco Melandri che di novità Kawasaki non ne ha viste: la situazione, d’altronde, la si conosceva da tempo, e fa un pò specie ripensando che nel 2008 era proprio la casa di Akashi tra le più impegnate nei lunedì di prove..
Chiude in classifica con il 15° tempo Gabor Talmacsi, ancora alla ricerca del miglior feeling con la Honda RC212V MotoGP. Questo test è arrivato per lui nel momento migliore, aspettando Assen e… Brno, secondo ed ultimo tracciato dove si proverà anche di lunedì e, come da tradizione, in quella circostanza si penserà anche al 2009, con le squadre che porteranno qualche sviluppo anche pensando al futuro.
MotoGP World Championship 2009
Test Barcellona, Classifica
01- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - 1′42.230 (69 giri)
02- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.204 (58 giri)
03- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.216 (80 giri)
04- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.407 (98 giri)
05- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.533 (38 giri)
06- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.958 (83 giri)
07- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 1.017 (76 giri)
08- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.069 (83 giri)
09- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.130 (69 giri)
10- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.161 (90 giri)
11- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.276 (89 giri)
12- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.478 (60 giri)
13- Sete Gibernau - Grupo Francisco Hernando - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.589 (45 giri)
14- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.927 (98 giri)
15- Gabor Talmacsi - Scot Racing Team - Honda RC212V - + 2.826 (53 giri)
Alessio Piana
I Test di Casey Stoner
I Test di Jorge Lorenzo
I Test di Valentino Rossi

IL DISASTRO DI OBAMA

Obama ha fatto campagna elettorale per Ahmadinejad, senza accorgersene: un disastro (Il Tempo del 15 giugno)
Barack Obama va incredibilmente annoverato tra i grandi elettori che hanno assicurato ad Ahamadinejad la vittoria plebiscitaria di ieri. Vittoria sicuramente gonfiata dai brogli, ma con un tale margine da non permettere dubbi sulla sostanza: una sanguinaria dittatura, che ha in programma di cancellare Israele dalla faccia della terra, che impicca gli omosessuali, che terrorizza gli oppositori, riscuote in Iran uno straordinario consenso popolare. Obama, sicuramente, non voleva ottenere questo risultato, ma il suo dilettantesco discorso all’Islam dal Cairo, l’ha invece rafforzato. Obama si è presentato politicamente in ginocchio di fronte ad Ahamadinejad, ha chiesto scusa per le ingerenze statunitensi, ha detto cose incredibili –e false- sulla tolleranza dell’Islam, ha cancellato ogni pretesa che l’Iran si adegui alle richieste dell’Onu (dell’Onu, non degli Usa) e sospenda il programma di arricchimento nucleare, si è detto disposto a discutere. Soprattutto, Obama, non ha minacciato, si è voluto distinguere da Bush presentandosi solo e unicamente col volto amico, addirittura si è detto disposto a riconoscere le buone ragioni dell’Iran. Questo, a dieci giorni dal voto iraniano, dieci giorni in cui Ahmadinejad ha potuto portare a testimonianza lo stesso discorso di Obama per dimostrare –a ragione- agli iraniani, che la sua strategia è stata pagante, che disattendere le risoluzioni dell’Onu, rifiutare i controlli dell’Aiea, lanciare missili intercontinentali (che hanno senso solo se armati con una atomica), armare i Talebani afgani (questo ha rivelato il segretario Usa alla difesa, Gates), armare Hamas, aveva obbligato il nuovo presidente americano a abbassare la cresta, a riconoscere la potenza iraniana. Solo il cielo sa chi e che cosa abbiano convinto Obama a fare quel suo sciagurato discorso del Cairo, prima che Hamas e al Fatah avessero cessato di spararsi nei Territori, prima che la Siria avesse fatto un solo passo di appeasement, prima che a Teheran si fosse delineata una minima apertura. Avesse taciuto, avesse compreso quel che stava bollendo in pentola a Tehran (e dopo 30 anni dalla vittoria di Khomeini ci sarà pure qualche americano che abbia imparato a “leggere” quel paese), si fosse riservato la mossa del discorso all’Islam in tempi più maturi, Obama oggi non si troverebbe spiazzato. Soprattutto si sarebbe risparmiato di fare davanti al mondo la figura del provinciale –che è- che parla al popolo dell’Iran come parlerebbe al popolo della Virginia: tutta retorica, voli pindarici, frasi ad effetto e nessuna sostanza, solo appelli buonisti al solidarismo. In cinque mesi la “strategia del dialogo”di Obama ha dunque portato a questi risultati: la Corea del Nord è sull’orlo di una guerra con la Corea del Sud; in Iran il blocco oltranzista si è rafforzato a dismisura, con conseguenze a catena su Hamas e Hezbollah (che hanno salutato il trionfo di Ahmadinejad, come fosse loro), Abu Mazen subisce sempre più l’iniziativa terroristica di Hamas anche in Cisgiordania, mentre la semplice notizia del ritiro di buona parte del contingente Usa dall’Iraq, sta facendo rialzare la testa a quei terroristi che erano stati quasi tacitati. Ora, si dice a Washington, Obama correrà ai ripari, metterà in campo un “piano B”. Il problema è che questa alternativa non esiste, che da tre anni il senatore di Chicago spiega al mondo le virtù salvifiche del dialogo e del buonismo, che ha vinto le elezioni su questa piattaforma ipocrita e che il “piano B” possibile è uno e uno solo: fare esattamente quel che fece George W. Bush. Obama ha già ricalcato le orme della precedente amministrazione in molti campi (l’ala liberal dei democratici glielo rimprovera ogni giorno), ma in politica estera era riuscito sinora a mantenere la sua immagine di “portatore di speranze”. Ora che Ahmadinejad gli ha subito detto a brutto muso che di dialogo non si parla nemmeno e che se vuole parlare con lui deve accettare il nucleare e cessare di appoggiare Israele, Obama di deve trasformare in un uomo di Stato. Possibilmente con idee vincenti.