Barack Obama ha cominciato la campagna presidenziale convinto che l’Iraq fosse il grande problema da risolvere. Una volta entrato alla Casa Bianca, l’Iraq è passato di moda, grazie al successo della strategia elaborata da Bush e dal generale Petraeus, quindi si è preparato ad affrontare la delicata questione Af-Pak, l’area tra l’Afghanistan e il Pakistan.
L’imprevista rivolta in corso a Teheran ha cambiato ancora una volta la lista delle priorità dell’Amministrazione, ma in realtà è la crisi nordcoreana a preoccupare Washington più di ogni altra. Stati Uniti e Corea del Nord sono, infatti, a un passo dalla guerra. Il Pentagono ha trasferito missili terra-aria alle Hawaii per difendere l’isola americana da un attacco nordcoreano che, secondo il Pentagono e i servizi segreti giapponesi, potrebbe essere lanciato intorno al 4 luglio. Il segretario alla Difesa, Bob Gates, ha confermato le voci delle intenzioni nordocoreane, anche se non è ancora certo che il missile Taepodong-2 sia in grado di raggiungere le coste hawaiane. Tre anni fa, esattamente il 4 luglio, i nordcoreani provarono a lanciare un missile a lunga gittata, ma l’operazione è fallita in pochi secondi. Il missile norcoreano ha una gittata di quattromila miglia, circa 6500 chilometri, mentre le Hawaii sono a 4.500 miglia. L’apparato militare americano, inoltre, sta posizionando un gigantesco e sofisticato sistema di radar galleggianti intorno alle Hawaii per intercettare in tempo il missile. “Siamo preoccupati – ha detto Gates – ma siamo anche in una posizione buona per proteggere il terrtorio americano, se dovesse essere necessario”. Se i coreani lanceranno il missile, come lasciano intendere alcune manovre militari nelle basi del regime, Obama dovrà decidere se tentare di abbatterlo o meno, anche se la previsione è che si possa fermare a 500 miglia dalle Hawaii. Tecnicamente è complicato, ha scritto il Wall Street Journal, non c’è garanzia di successo. Se il tentativo di colpire il missile fallisse l’imbarazzo per i sistemi di difesa americani sarebbe enorme, rafforzerebbe Pyongyang e incoraggierebbe il Giappone e altri alleati della regione asiatica a prendere misure più dure contro la Corea aprendo scenari non incoraggianti. Tanto più che, secondo l’International Crisis Group, Pyingyang dispone di un quantitativo di armi chimiche che va dalle 2500 alle 5 mila tonnellate.
L’accelerazione della crisi coincide con l’annunciato, ma non ancora ufficiale, passaggio di poteri da Kim Jong Il al suo terzogenito Kim Jong-un. Pochi mesi fa, il regime comunista di Pyongyang ha testato un missile che è volato sopra il Giappone ed è finito nell’Oceano pacifico. Il 25 maggio, pochi giorni prima del discorso di Obama al Cairo, la Nord Corea ha fatto detonare un ordigno nucleare in un sito al confine con la Cina. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha risposto con una risoluzione che ha inasprito le sanzioni e autorizzato le navi dei paesi membri a ispezionare in alto mare, ma solo col consenso dell’equipaggio, i carghi nordcoreani sospettati di trasportare armi e materiale nucleare. Gli americani hanno già individuato il cargo Kang Nam battente bandiera nordcoreana, sulle cui tracce c’è l’incrociatore della marina militare USS John McCain. L’ordine non è stato ancora dato, anche perché la Nord Corea ha già detto che considererà l’approccio ostile come un atto di guerra e che risponderà con una “rappresaglia cento o mille volte più pesante”.
Le opzioni di Obama sono limitate, visto che ha deciso di non continuare con la politica di Bill Clinton e Bush che offrivano un accordo – cioè denaro, cibo e aiuti – in cambio di una rinuncia ai programmi nucleari. Washington ora sta cercando di convincere Pechino a intervenire direttamente sulla Corea, uno stato che dipende dai rapporti commerciali con la Cina.
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