..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 31 marzo 2020

In soli sette giorni


Ha iniziato la settimana, intervenendo nella trasmissione di Rai3 Cartabianca, sbagliando tutto quello che si poteva sbagliare. Testuale: "L'anno scorso il Pil degli italiani sono stati 1 miliardo e 800 milioni di euro. La spesa pubblica sono 800 milioni di euro: i soldi ci sono."
Il Pil è stato di circa 1.800 miliardi e non di 1,8; il Pil è la ricchezza prodotta dall'intero Paese nel corso di un anno e non corrisponde alle entrate dello Stato; la differenza tra le entrate e le uscite è negativa: è deficit, che viene coperto emettendo titoli di Stato, cioè indebitandosi ancora; la spesa pubblica veleggia intorno agli 850 miliardi, le entrate fiscali superiori agli 800, quindi non esiste alcuna differenza positiva tra entrate e uscite da spendere liberamente. 
Poi ha proseguito, insieme alla compagna di merende Giorgia Meloni, intervenendo nell'aula del Senato per ribadire, sui temi economici (lui!!!), che Conte ha aperto all'utilizzo del Fondo Salva-Stati con condizionalità (quella condizionalità sottoscritta nel 2011 dal governo Berlusconi-Lega con il numero uno del Carroccio parlamentare alla Camera dei Deputati). E infatti nella lettera firmata da Conte e altri dieci leader europei non c’è traccia di Mes, ma si propongono nuove ricette. 
Quando il week-end sembrava essere trascorso senza scossoni (e senza che l'amico Giletti l'avesse per l'ennesima volta ospitato nell'Arena) ecco il duetto religioso a casa D'Urso: un rosario unplugged con tanto di gara a chi devozionalmente e contemplativamente ne recitasse di più. "Io lo faccio tutte le sere", "Anch'io Barbara, anch'io!"
Dal ringraziamento a Mario Draghi ("...perché ci ha detto che si può fare debito, benvenuto, ci serve anche il suo aiuto, sono contento di quello che potrà nascere") al calcolo matematico (in pieno Pil-style) per i 400 milioni stanziati dal Governo che andrebbero suddivisi per 60 milioni di italiani (si ci è messo dentro anche lui per non sbagliare) il passo è stato brevissimo. 
A chiudere una settimana densa e tralasciando le innumerevoli apparizioni web e video con tanto di mascherina contenitiva, ecco giungere prima l'applauso (autobiografico) all'ottenimento da parte di Orban dei pieni poteri, e successivamente la conferenza stampa dove ha sponsorizzato, come misure shock per la ripartenza dell'Italia, la pace fiscale e la pace edilizia. La speranza, anche da remoto, e che prima o poi riesca a trovare quella pace interiore che lo riporti, percentualmente parlando, a quello che era prima del marzo 2018.

lunedì 30 marzo 2020

Grazie al Reddito di Cittadinanza si sta evitando l'emergenza sociale, ma oggi è indispensabile guardare al dopo pandemia


Creato per offrire ad una platea di oltre cinque milioni di poveri la possibilità di dare dignità ad un'esistenza ai limiti, il Reddito di Cittadinanza, in piena emergenza coronavirius, sta garantendo quel sussidio economico che diversamente avrebbe creato quell'emergenza sociale divenuta in questi giorni tema di scontro politico. 
Le misure adottate dal Governo, i 400 milioni stanziati per dare una prima risposta alla fisiologica emergenza economica che il Paese sta attraversando, hanno scatenato le opposizioni che irresponsabilmente soffiano sul fuoco della propaganda per conquistare consensi che in questo preciso momento storico non hanno davvero senso di esistere. 
Incommentabili e falsi gli slogan propagandistici rilasciati a mezzo tv: secondo Salvini i 400 milioni sono una misura inutile, con un calcolo sommario il numero uno del Carroccio sostiene che si tratta di soli "7 euro a persona"; la matematica non sarà mai il mio mestiere, cantava Antonello Venditti nel 1984.
Caldeggiati da una parte di stampa i leader dei rispettivi partiti di minoranza continuano ad offrire il peggio, calpestando le quindi inutili raccomandazioni del Capo dello Stato, le aperture di Palazzo Chigi e quelle misure che grazie all'ultima manovra di bilancio stanno garantendo a migliaia di famiglie quel contributo economico per soddisfare esigenze primarie. 
Lo hanno evidenziato diversi esponenti del Governo, lo ha dichiarato attraverso un'intervista rilasciata al Fatto Quotidiano il Presidente dell'Anci nonché primo cittadino della città di Bari, Antonio Decaro: "Io devo dire una cosa che nel mio partito non è molto popolare: meno male che c'è il reddito di cittadinanza. Senza quella misura in alcuni territori sarebbe esplosa davvero l'emergenza sociale"
La misura tanto voluta dal Movimento 5 Stelle, i 400 milioni stanziati per dare una prima risposta all'emergenza economica, l'anticipo sull'erogazione dei 4,3 miliardi del Fondo di Solidarietà Comunale (solitamente distribuito nei mesi di maggio e ottobre), e l'attuale discussione sullo sviluppo di un possibile e ulteriore reddito, le risposte che il governo ha messo in campo per sopperire nel breve periodo all'emergenza economica. 
Soluzioni che inversamente non potranno andare oltre le 3/4 settimane, una deadline che renderà vincolante ogni decisione che fin da oggi dovrà essere pianificata per non trovarsi ai primi di maggio con nuove emergenze, sanitarie, economiche e sociali, da fronteggiare.

sabato 28 marzo 2020

Giochi europei


Sotto i colpi del coronavirus è crollata definitivamente l'idea di Europa

Quanto accaduto nell'ultima conferenza dell'eurogruppo ha fatto gettare la maschera a burocrati e politici dell'Unione Europea, esibendo quella totale mancanza di sovranazionalismo che i padri fondatori collocarono nella filosofia storico-politica dell'Unione stessa. I continui ritardi in decisioni e coordinamento, le deflagranti e volute dichiarazioni della neo presidente della Banca centrale europea, l'assenza totale di piani di emergenza nonostante i molteplici e inascoltati appelli redatti negli ultimi lustri da sanità e ricerca, la messa in discussione di Schengen e il conseguente blocco nelle dogane dei presidi ospedalieri destinati a chi ne necessitava più di altri, e non ultima la controversia sugli eurobond, tema su cui l'Europa si è letteralmente spaccata tra Nord e Sud, le colpe di un sistema crollato giorno dopo giorno sotto l'incedere della pandemia. Il Covid, oltre ad avere messo a dura prova sistemi sanitari, governi e popolazioni, è stato un vero e proprio stress test per l'intera comunità europea, evidenziando scompensi sotto tutti i punti di vista e come sottolineato da Giuseppe Conte prima e Sergio Mattarella poi, facendo da una parte mancare quella solidarietà perno centrale del progetto dell'unificazione europea e dall'altra proseguendo a proporre vecchi schemi ormai fuori dalla realtà. Poco aggiunge quindi la sospensione del patto di stabilità, anzi. Dopo l'epoca dell'austerity, dopo aver contingentato per anni lo sviluppo dei propulsori economici di un intero continente, lo sbloccare solo adesso la pompa che inietta denaro nel sistema mette nero su bianco gli enormi errori commessi dalle politiche liberali e pseudo progressiste, quelle che oggi, corruzioni interne comprese, hanno messo a nudo l'intero sistema sanitario. E se Primo Levi, nell'opera memorialistica scritta tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947, testimoniava su chi lavorava nel fango, su chi non conosceva pace, su chi lottava per mezzo pane, su chi moriva per un si o per un no, viene al tempo stesso spontaneo pensare a chi oggi lotta contro una malattia epidemica, a chi oggi non conosce la fine temporale della pandemia, a chi oggi sta cercando nella solidarietà e negli aiuti economici il futuro da offrire ai propri cittadini. E se allora quello non poteva essere un uomo, oggi questa non può più considerarsi l'Europa. Un'idea, una filosofia che se tra una settimana non troverà un definitivo punto d'incontro e di partenza crollerà definitivamente, seppellita per sempre sotto i colpi del coronavirus.

La minaccia ignorata


"...Ascoltando infatti le grida di esultanza che si levavano dalla città, Rieux si ricordava che quell'esultanza era sempre minacciata. Poiché sapeva quel che la folla in festa ignorava, e che si può leggere nei libri, cioè che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decenni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere da letto, nelle cantine, nelle valige nei fazzoletti e nelle carte, e che forse sarebbe venuto il giorno in cui, per disgrazia e monito agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi e li avrebbe mandati a morire in una città felice."
Per chi ancora oggi crede che quella pandemia nata nel 1346 appartenga ad un molto ormai troppo distante dal nostro. 
Per chi ancora oggi nega la spaventosa epidemia che negli anni quaranta dilagò in Europa con il nome di nazionalsocialismo. 
Per chi domani non dovrà dimenticare quello che di drammatico e paradossale stiamo vivendo oggi, a più di settanta anni dall'uscita del romanzo dello scrittore francese Albert Camus.

venerdì 27 marzo 2020

L'istante del dragone


"Ringrazio il presidente Draghi, perché ci ha detto che si può fare debito. Benvenuto, ci serve anche il suo aiuto, sono contento di quello che potrà nascere". (Matteo Salvini, Palazzo Madama 26 marzo 2020) 
Le giravolte nella commedia della politica italiana al tempo dei social non sono all'ordine del giorno, ma del momento, dell'istante. Masticate e poi sputate ad uso e consumo della propaganda.

Coronavirus: negli Usa 86 mila contagiati. In Spagna quasi 5 mila morti


In Europa la metà dei casi mondiali ma ora gli Usa rischiano di diventare il nuovo epicentro della pandemia. In Cina 54 casi sui 55 nuovi totali sono "di ritorno". La Russia chiude bar e ristoranti, Turchia mette in quarantena i migranti al confine greco.

giovedì 26 marzo 2020

Chiacchiere condizionali


Nella due giorni che ha visto il Presidente del Consiglio giungere a Palazzo Madama (oggi) e a Montecitorio (ieri) per informare il Parlamento sulle nuove misure per contrastare e contenere il diffondersi del virus Covid-19, le opposizioni, nello specifico Giorgia Meloni (a nome di Fratelli d'Italia) e Metteo Salvini (da leader della Lega) hanno ribadito, sui temi economici, che Conte abbia aperto all'utilizzo del Fondo Salva-Stati con condizionalità. 
Anzi, proprio perché il Mes prevede condizionalità, sottoscritto nel 2011 dal governo Berlusconi-Lega (con la Meloni ministro della Gioventù e il numero uno del Carroccio allora parlamentare alla Camera dei Deputati), Conte ha sempre detto sì alla solidarietà europea ma con zero condizionalità. E infatti nella lettera firmata da Conte e altri otto leader europei non c’è traccia di Mes, ma si propongono nuove ricette.

A quelli che...

A tutti quelli che contano qualcosa e credono di contare di più, a quelli che non contano nulla, ma si comportano come se contassero, a quelli che forse hanno contato ma non contano da un pezzo e cominciano addirittura a sospettare di non aver mai contato un cazzo. 
Ogni riferimento a politici italiani dell'opposizione e a qualc(uno) della maggioranza è puramente voluto e non casuale.

mercoledì 25 marzo 2020

Aiutatelo


"L’anno scorso il PIL degli italiani sono stati 1 miliardo e 800 milioni di euro. La spesa pubblica sono 800 milioni di euro: i soldi ci sono." (Matteo Salvini a Cartabianca) 
È sbagliato tutto quello che poteva esserlo: numeri (il pil è di circa 1.800 miliardi, non 1,8), ragionamento (il pil è la ricchezza prodotta dall'intero Paese nel corso di un anno e non corrisponde alle entrate dello Stato), metodi (la differenza tra le entrate e le uscite è negativa: è deficit, che viene coperto emettendo titoli di Stato, cioè indebitandosi ancora), presupposti (la spesa pubblica veleggia intorno agli 850 miliardi, le entrate fiscali superiori agli 800, quindi non esiste alcuna differenza positiva tra entrate e uscite da spendere liberamente). Aiutatelo.

Nove italiani su dieci stanno con il governo Conte


Nove italiani su dieci approvano la gestione dell’emergenza coronavirus da parte del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e, nello specifico, le ultime restrizioni introdotte dal decreto del 22 marzo che prevedono la chiusura totale delle attività produttive non essenziali. È quanto emerge dall’ultimo sondaggio Ixè per Carta Bianca pubblicato il 24 marzo secondo cui il consenso record di cui gode il governo in questo momento è evidente anche dai dati relativi alla fiducia personale dei leader politici.

martedì 24 marzo 2020

Ora chiedete scusa a Di Maio


E' stato deriso, schernito, irriso, dileggiato e peggio ancora, attraverso i social network e alcune testate giornalistiche nazionali, offeso sul personale, superando di gran lunga maleducazione, ignoranza e violenza verbale. 
Nessuno da che mondo e mondo nasce perfetto e men che meno imparato. Tutti, nei nostri campi professionali e privati abbiamo commesso errori. Per negligenza, per distrazione, per incompetenza. A questi, i più, hanno cercato soluzione. Perché se errare è umano porre rimedio non solo dimostra onestà intellettuale ma e soprattutto capacità di mettere in discussione convinzioni, certezze e pregiudizi. 
In questo ormai lungo periodo di pandemia abbiamo avuto la fortuna, il Paese Italia ha avuto in sorte e in dote un Governo che a detta di tutte le autorità internazionali ha affrontato l'emergenza con la schiena dritta, guardando in faccia il nemico e mettendo in campo tutte le competenze e i mezzi a propria disposizione. 
Ce lo ha riconosciuto l'organizzazione mondiale della sanità, ce lo ha riconosciuto l'Onu, ce lo ha riconosciuto l'Unione Europea, ce lo hanno riconosciuto leader mondiali, governi e tutte quelle organizzazioni, governative e non, che hanno e tutt'oggi possono attingere a quanto fatto dalla sanità italiana, faro in grado di offrire lampi di luce a fronte di un subdolo e ignoto agente che nell'arco di poche settimane ha terremotato l'intero orbe terracqueo. 
Nella squadra Italia, tra le file di coloro che sono scesi in campo da titolari per difende un Paese intero un ruolo predominante e di assoluto rilievo lo ha svolto Luigi Di Maio, che dal quartier generale della Farnesina ha messo in moto una macchina che fino ad oggi è riuscita a sopperire a tutte quelle mancanze denunciate da professori, medici e infermieri. 
Alle prese con mascherine e ventilatori polmonari da trovare ovunque l'ex numero uno del Movimento 5 Stelle ha agito in silenzio, quasi nell'ombra, senza proclami, senza sbandierare a destra e a manca promesse irrealizzabili. Tramite i nostri ambasciatori in giro per il mondo e attraverso la stipula di contratti e accordi con molteplici paesi l'inquilino del Palazzo della Farnesina è riuscito a far pervenire aiuti concreti per il fabbisogno sanitario dell'intera nazione. 
Dallo sblocco dei carichi fermi in Turchia, in Repubblica Ceca, in Romania, in Egitto, fino alle spedizioni via aerea giunte dalla Cina (mezzo milione di mascherine, 4 tonnellate di materiale medico, 1800 tute protettive, 150 mila guanti e un team di esperti della Croce Rossa), dalla Russia (nove aerei pieni di attrezzature mediche e veicoli per la disinfestazione) e da Cuba (52 tra medici e infermieri specializzati nelle malattie infettive). A tutto questo si è anche sommato il lavoro di mediazione e di collaborazione sostenuto con gli altri ministri degli Esteri, dialogo che ha permesso l’esportazione di materiale medico, quest'ultimo bloccato nelle dogane senza che i corrispettivi ministri internazionali fossero a conoscenza del fermo dei materiali. 
In piena emergenza, seppur con qualche tiepido e timido segnale di miglioramento, il lavoro da fare è ancora molto, e prima di tirare una riga su quanto fatto di positivo e di negativo bisognerà attendere. Oggi però chiedere almeno scusa a chi in silenzio sta dimostrando competenza e portando a casa risultati sarebbe cosa buona e giusta, perché avere la capacità di mettere in discussione convinzioni, certezze e pregiudizi dimostrerebbe quantomeno onestà intellettuale.

lunedì 23 marzo 2020

Sciolti come neve al sole


E' semplicemente bastato che il Presidente del Consiglio, al lavoro e in silenzio da giorni, proprio perché operativo, riaccendesse le telecamere prima di firmare un nuovo provvedimento che è tornata a scatenarsi quella schifosa e penosa propaganda politica per mettere in discussione, e si badi bene, non i contenuti ma la forma con cui nella serata di sabato il Premier si è rivolto agli italiani per comunicare la nuova stretta in virtù dei drammatici numeri enunciati poche ore prima dal Dott. Borrelli. Le opposizioni in coro, quell'infinitesimale spicchio di maggioranza e il solito stormo di sciacalli e avvoltoi annidati un tempo nelle redazioni giornalistiche (ora a casa seduti sul divano in collegamento skype) si sono alzati in volo per planare sul Premier, attaccandolo, ripetiamo: si badi bene, non sui contenuti ma bensì sulle modalità con cui ha reso pubblico il provvedimento. Non è stato digerito il luogo, Facebook (Salvini e Meloni), l'orario, le 23 e 20 (Mentana), e il modo, a detta dal 3% di maggioranza (Renzi) senza consultare il Parlamento. Piccola e doverosa precisazione: quella di sabato non era una diretta Facebook, il discorso del premier è stato diffuso, come quelli di tutti gli altri premier in passato, dal segnale audio-video della sala-regìa della Presidenza del Consiglio, a cui si sono connesse le tv che volevano trasmetterlo, il canale YouTube di Palazzo Chigi e la pagina Fb di Conte. Cioè: sono due giorni che si parla del nulla.  
Per i "Divanisti alla riscossa", come puntualmente scritto questa mattina da Travaglio, altro non è rimasto che sbraitare il nulla mischiato con il niente. D'altronde, si badi bene per la terza volta, non avendo nulla da dire sui contenuti si attaccano alla forma. Detto poi da due che hanno vissuto gli ultimi anni di vita politica assenti dai palazzi e in costante e continuo collegamento Facebook (Meloni e Salvini, le cui percentuali di assenteismo fanno impressione) Da uno che ha passato l'ultimo anno e mezzo, da senatore della Repubblica, a fare conferenze in giro per l'orbe terracqueo e a sparare ad altezza uomo sulle decisioni di quello stesso esecutivo che rappresenta (l’Innominabile). E da un direttore di telegiornale a cui sarà semplicemente girata l'anima perché non era in "maratona"; se ne farà una ragione. 
Su quanto detto e asserito nella serata di ieri dall'indossatore di felpe altrui a "Non è l'Arena" e dalla produttrice di zucchine di mare a "Live - Non è la d'Urso" meglio soprassedere. Bugie (il Parlamento e il Senato sono chiusi) e invenzioni propagandistiche (non si capisce chi deve lavorare e chi no) sciolte come neve al primo sorgere del sole.

domenica 22 marzo 2020

Sotto i colpi del coronavirus è crollato definitivamente il blocco atlantico


Se Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Jean Monnet e Robert Schuman potessero osservare l'Europa in piena emergenza coronavirus si metterebbero le mani nei capelli, rigettando tutte le questioni sanitarie, economiche e finanziarie che hanno portato burocrati e politici dell'Unione Europea a calare la maschera, esibendo una volta di più quella totale mancanza di organizzazione e sovranazionalismo che i sopraccitati padri fondatori collocarono nella filosofia storico-politica dell'Unione stessa. 
I continui ritardi in decisioni e coordinamento, le deflagranti e volute dichiarazioni della neo presidente della Banca centrale europea, l'assenza totale di piani di emergenza nonostante i molteplici e inascoltati appelli redatti negli ultimi lustri da sanità e ricerca, la messa in discussione di Schengen e il conseguente blocco dei presidi ospedalieri destinati a chi ne necessitava più di altri, le colpe di un sistema crollato giorno dopo giorno sotto l'incedere della pandemia. Il Covid, oltre ad avere messo a dura prova sistemi sanitari, governi e popolazioni, è stato un vero e proprio stress test per l'intera comunità europea, evidenziando scompensi sotto tutti i punti di vista e come sottolineato dal Presidente della Repubblica facendo mancare quella solidarietà perno centrale del progetto dell'unificazione europea. Poco aggiunge quindi la sospensione del patto di stabilità, anzi. Dopo l'epoca dell'austerity, dopo aver contingentato per anni lo sviluppo dei propulsori economici di un intero continente, lo sbloccare solo adesso la pompa che inietta denaro nel sistema mette nero su bianco gli enormi errori commessi dalle politiche liberali e pseudo progressiste, quelle che oggi, corruzioni interne comprese, hanno messo a nudo l'intero sistema sanitario. 
E se l'occidente europeo poco ha contribuito ad alleviare e risolvere problemi altrettanto ha fatto quello a stelle e strisce. Trascinata nel negazionismo a oltranza dal proprio leader anche la terra scoperta da Colombo ha affrontato e sta affrontando la pandemia muovendosi a tastoni e soprattutto senza aver stretto un legame di collaborazione con l'alleata Europa.
La pandemia in Italia ha evidenziato l'impossibilità di gestire emergenze simili attraverso le autonomie regionali (ad allarme rientrato dovranno finire sui tavoli istituzionali dossier che centralizzino definitivamente temi come la sanità), e gli aiuti concreti sono pervenuti dalla Cina (mezzo milione di mascherine, 4 tonnellate di materiale medico, 1800 tute protettive, 150 mila guanti e un team di esperti della Croce Rossa), dalla Russia (nove aerei pieni di attrezzature mediche e veicoli per la disinfestazione) e da Cuba (52 tra medici e infermieri). Un tempo a fare le donazioni erano gli Usa e il Vecchio Continente.
Di questo, oltre che prenderne atto, bisognerà un domani chiederne conto.

Bergamo continua a piangere e c'è chi ormai ha paura a prendere il cellulare in mano


La storia personale della mia famiglia con la città di Bergamo è associata indissolubilmente dalla condizione patologica dei nostri due figli, Davide e Diego, gemelli di undici anni diagnosticati autistici. Una storia iniziata per caso grazie alla "rete", a internet, e grazie alla passione calcistica di un nutrito gruppo di ragazzi della bergamasca e del mio compagno: tifosi della squadra londinese dell'Arsenal. Una storia che attraverso i contatti sui forum, sui social, e le prime conversazioni telefoniche sfociò nella programmazione di una gara di solidarietà organizzata dal club, gli Italian Gooners, nel giugno del 2015, quando nella provincia di Bergamo, a Comun Nuovo, venne allestito un torneo di calcio a 7 intitolato ai nostri bambini. 
A prendervi parte tutta la Bergamo capace di stringersi e di non lasciare sola una famiglia in lotta costante con le problematiche derivanti dalla patologia. Tifosi e appassionati dei più importanti club della Premier League si spesero in una giornata di sport, comunità e solidarietà che scaldò i cuori, che accese in noi la speranza di poter finalmente mettere in pratica quelle terapie atte ad offrire un futuro migliore ai nostri figli. Da quel giorno nacquero amicizie sincere, senza secondi fini, sentimenti capaci di superare barriere e confini. Al di la della passione per il calcio la disabilità di Davide e Diego ebbe la forza di unire persone, di metterle in contatto, di porre al centro l'amicizia, la comunione d'intenti, la solidarietà. Di spogliare l'animo umano e di farci incontrare, come fosse un segno del destino, persone che ci cambiarono letteralmente la vita, che la cambiarono ai nostri figli. Persone che misero il prossimo, il debole, i così detti ultimi davanti a quel superfluo che la storia recente ha purtroppo considerato prioritario nella vita di ognuno di noi. 
In questi ultimi cinque anni, grazie al pensiero continuo di coloro che hanno preso a cuore la nostra condizione, le esperienze vissute sono state molteplici, così come le gare di solidarietà e quella presenza costante che ci ha fatti sentire meno soli, accompagnati nel nostro cammino, in questo infinito viaggio. 
Oggi, in piena emergenza da coronavirus, il mio pensiero, il pensiero di tutta la mia famiglia non può che essere costantemente rivolto a Matteo, a Giacomo, a Massimo, a Ilario, a Flavio e Rachele, a tutti quei ragazzi che in questi giorni, in queste ore stanno vivendo qualcosa che mai e poi mai avrebbero pensato di vivere. Un pensiero che mischia preoccupazione e speranza, lacrime e impotenza, quella che in queste ore ci tiene lontani da persone che per noi hanno fatto molto e che noi oggi invece, tranne lo stare a casa nella nostra città, nulla possiamo fare. 
E proprio i loro racconti, le storie che quotidianamente leggiamo attraverso il nostro gruppo WhatsApp, le comunicazioni private che con alcuni di loro intratteniamo ci fanno immergere in un mondo difficile da spiegare, soprattutto difficile da comprendere, perché la differenza tra l'esserci e lo stare in un'altra regione fa davvero tutta la differenza del mondo. Nelle loro parole, attraverso le emozioni che lasciano trasparire si incontrano distintamente la rabbia mista a paura, lo sgomento, la difficoltà quotidiana nel reggere il peso di una pandemia che ha colpito conoscenti, amici, parenti e che inevitabilmente sta provocando ferite, traumi, condizioni psicologiche che nel tempo risulteranno difficili da rimuovere. 
A Bergamo si piange, si soffre, e nonostante una tempra che da sempre contraddistingue gli abitanti di quella meravigliosa zona d'Italia c'è chi anche solo per un attimo viene sopraffatto dallo sconforto, con l'irreale paura di prendere in mano il cellulare.

venerdì 20 marzo 2020

C'era una voglia di ballare che faceva luce


"Nel dopoguerra c'era una voglia di ballare che faceva luce". (Francesco Guccini) 
 In questo periodo di pandemia la voglia di tornare a ballare tornerà a farci venire voglia di vedere la luce.

“Li portano via le ambulanze, non tornano neppure morti”


“Hai visto? Hai visto?”, gli dice sua moglie, con lo sguardo che dopo 11 giorni, infine, torna a brillarle, “Vai in ospedale! Sei contento?”, gli dice, e Antonio Amato, 40 anni, si gira appena, sul divano in soggiorno: e stringe stretto la sua bombola d’ossigeno. Chiamavi il 118, un tempo, e speravi che il medico arrivasse, e ti dicesse che non era niente di speciale. E ti lasciasse a casa. Ora ti ricoverano d’urgenza, e ti senti come se avessi vinto un terno al lotto: hai trovato un posto in terapia intensiva. 
I due figli, due bambini, in isolamento nella loro cameretta, escono, in pigiama. Fanno ciao dalla soglia della stanza. Sulla bocca, per mascherina, un peluche. 
Ad Alzano Lombardo, la zona più rossa di un’Italia in quarantena in cui mentre scrivo, si contano 31.506 contagiati e 2.503 morti, le ambulanze non usano più la sirena, ma i lampeggianti: per evitare il panico. Le strade, tanto, sono deserte. Gli unici che incroci sono i furgoncini delle pompe funebri. Siamo vicino Bergamo, in una regione di 10 milioni di abitanti in cui secondo l’assessore al Welfare, la sera, negli ospedali, tra i nuovi arrivi e i dimessi, diretti a casa o in cimitero, in terapia intensiva restano non più di una ventina di letti liberi. Ma qui, dove tutto è cominciato, e siamo due settimane avanti rispetto al resto del paese, e dell’Europa, non sono finiti solo i letti: è agli sgoccioli anche l’ossigeno. Durante il suo ultimo turno di notte, il farmacista Andrea Raciti ha avuto 42 richieste. E non gli era rimasta neppure una bombola. 
Per chi sta a casa, la cura è la tachipirina. E molta fortuna. 
Sulle ambulanze della Croce Rossa, le mascherine oggi sono quelle recuperate dalla madre dentista del più giovane dei volontari, Sergio Solivani, 21 anni. Studente di filosofia. Una facoltà che torna quanto mai utile, in questo momento: perché la scelta non è come intervenire, ma prima di tutto, se intervenire. Non è più solo questione di medicina, ormai, ma di morale. “Soprattutto con i più anziani”, dice. Che tra l’altro, statisticamente, come è noto, sono i più e più ferocemente colpiti. “Spesso ricoverarli è peggio. Perché poi in ospedale, ora che le visite sono vietate, restano soli. In mezzo a degli sconosciuti”, dice. “Una volta abbiamo riflettuto a lungo, insieme alla Centrale, ai medici, e alla fine, abbiamo deciso il trasporto in ospedale. Due giorni dopo, ho letto il nome della signora tra i necrologi. Che significa che è morta subito. Magari mentre era ancora in fila per l’accettazione. E ho pensato: Chissà se avrà avuto almeno un bicchiere d’acqua”. 
“Non un po’ d’ossigeno”, dice. “Solo un po’ d’acqua”. E abbassa lo sguardo. 
E poi: restano soli, ma anche, magari, lasciano soli. “C’era questa signora fragilissima, ieri. Tutta ossa. Avevano una badante: ma era a casa sua con la febbre. E il marito è rimasto lì, sulla porta. Frastornato. Un uomo quasi cieco. Chiaramente non autonomo. E ci siamo detti: E lui, ora? Qui salvi uno, e rovini l’altro”. 
Perché non tutti hanno un figlio vicino, come invece Teresina Varesi, 87 anni e difficoltà a respirare. E febbre, sembra. E dolori al torace. Ma non è semplice capire cosa ha, perché non è abbastanza lucida da spiegarsi, spiega Lujan, la badante sudamericana che si occupa di lei, e della casa, in modo impeccabile, e sta qui, in trincea, armata di guanti e candeggina, anche se ha paura: Ma come posso andare via?, dice – giù in Bolivia, vivono del suo stipendio: e disinfetta subito anche la penna con cui mi appunto un attimo il suo nome. Il figlio, intanto, aiuta l’equipaggio della Croce Rossa ad adagiarla sul letto senza che si rompa, per quanto è minuta. E come tutti i figli, non si arrende: e mentre lei sta lì, nella penombra della sua stanza, sotto un’icona della Madonna, a cercare aria, così raggomitolata su di sé che si distingue a stento dalle coperte, come un fagotto di stracci, dice: Magari è un colpo di freddo – anche se non esce di casa da una vita. E dice no al ricovero. Ma d’altra parte: l’ospedale più vicino sarebbe il Niguarda. A Milano. 
Alla fine, giù in strada, uno alla volta, ci srotoliamo via di dosso la tuta bianca. E poi i guanti. La mascherina. E disinfettiamo tutto, centimetro a centimetro – l’ultimo aiutato dal primo, che poi si cambia di nuovo i guanti: perché è una specie di domino, qui. Come ti disinfetti davvero, quando ormai è infetto anche il tappo del disinfettante? 
Da dietro le finestre, gli altri inquilini ci fissano spauriti. Chi sarà il prossimo? 
A Alzano Lombardo, a ogni starnuto hai un attacco d’ansia. Perché poi, nessuno sa ancora con esattezza quali siano i sintomi di questo virus che qui è ovunque. E quindi, a ogni starnuto ti chiedi se sia l’inizio. Se sia arrivato infine il tuo turno. Ti svegli, la mattina, ed è la prima cosa che controlli: respiro ancora regolarmente? 
Poi deglutisci, controlli la gola. 
Poi inclini la testa. A destra, poi a sinistra. 
E controlli le orecchie.  
E poi fai un altro respiro. Il più profondo possibile. E controlli di nuovo. 
Respiro ancora? Sicuri? 
Dall’esame delle celle telefoniche è emerso che persino in Lombardia, persino nell’epicentro della crisi, il 40 percento degli italiani continua a violare la quarantena, e spostarsi. Molti, ancora, continuano a dire che in fondo, i morti erano già molto anziani. O comunque, con altre patologie. E che quindi, in realtà, sono morti d’altro. Ma in un certo senso, è l’opposto: ora anche chi muore d’altro, in realtà, muore di Covid-19. Muore di collasso del sistema sanitario. Romano Lugli ha 89 anni, ed è scivolato in corridoio. La figlia, figlia unica e senza figli, convalescente di un tumore al fegato, è allo stremo. Non c’è modo di avere assistenza a domicilio, in questi giorni, ha chiesto ovunque, e mentre spera che sia ricoverato, che si trovi un letto libero, gira nervosa in soggiorno, e mi domanda: “Sbaglio?, che dici, Sbaglio? O è meglio così? Che dici?” – perché con la tuta bianca, siamo tutti uguali: e non si ricorda che io sono solo la giornalista. Tentiamo di dirle che suo padre è sano, a parte l’età. E la contusione. E che in ospedale, invece, si ammalerà. Ma è sfinita, e stravolta, ha chiamato il 118 alle 19.50 e siamo arrivati alle 22.30, è fragile, e sola, in lacrime, “Che dici? Sbaglio?”, ripete, “Che dici?”, e di istinto, uno di noi fa per abbracciarla: prima di ritrarsi, e dire: Scusi, scusi non posso – e restare lì, con le braccia a mezz’aria: a un metro di distanza. E quando il padre è ormai sul pianerottolo, tutto agganciato a una sedia a rotelle, è il momento di dirle che da ora, però, non potrà più vederlo: perché nelle sue condizioni, appena operata, il virus sarebbe letale. “Forse… Cioè, magari… Ha dimenticato niente?”, farfuglia uno di noi, cercando le parole migliori – o almeno, le meno peggiori. “Ha un’ultima cosa da dirgli?”, dice. E lei si accorge che non sa dove sia il tesserino sanitario. “Dov’è? Papà! il tesserino sanitario, dov’è? Papà! Tu e il tuo disordine!”, gli dice, rovistando nei cassetti. E nessuno ha il coraggio di dirle che un giorno, probabilmente, ricorderà che questo è tutto quello che ha detto a suo padre, l’ultima volta che gli ha parlato. 
Dov’è il tesserino sanitario? 
E ci aspetta per 35 minuti, un’eternità, per un codice rosso, anche Andrea Travelli, che ha 60 anni e febbre alta da una settimana. In casa non c’è che tachipirina. “E la febbre non scende, è inutile”, dice il genero, una parola alla volta perché la voce non gli si spezzi. Perché poi, tra i personaggi famosi ora chi ha il virus si precipita a comunicarlo via Facebook, con questi video in cui sembra sia solo un po’ di tosse, solo questione di un po’ di latte e miele: “e invece avere un malato in casa è un’agonia”, dice, “un’agonia per tutti”. E infatti la notte, adesso che le ambulanze hanno le sirene spente, che è tornato il silenzio, a volte senti la concitazione di una famiglia che si sveglia, e nel buio, vedi le luci accendersi, una dopo l’altra: è un figlio, un fratello in crisi respiratoria. Ed è il panico. Perché poi, non una, ma mille volte, viene il momento più difficile: il momento di scegliere. “Ed è difficile per noi per primi”, dice Samantha Cortesi, in Croce Rossa da vent’anni su 45. “Eravamo abituati a stabilizzare e basta. Ad arrivare, e veloci, correre in ospedale. Mentre ora, siamo qui a decidere se andarci o meno. E a decidere in pochi minuti”, dice, prima di tirare fuori tutta la delicatezza possibile, e spiegare alle figlie di Andrea Travelli che in questo momento, per il padre un ospedale sarebbe ancora più pericoloso di questa casa in cui c’è solo tachipirina. “Resisterà. Resisterà”, prova a rassicurarle. “In fondo, quando non tossisce respira”. 
“In circostanze normali, con casi così non avremmo avuto il minimo dubbio. E avremmo ricoverato d’urgenza”, dice Nadia Vallati, che a 41 anni, è un’altra delle veterane della Croce Rossa. “Ma ora, per quanto sia drammatico, e ci stia segnando tutti per sempre, abbiamo l’obbligo di dirlo: Probabilmente rivedrete il vostro familiare solo da morto”. 
“Anzi. Ora sono sospesi anche i funerali. Neppure da morto”.

giovedì 19 marzo 2020

Ci meritiamo i carri armati nelle strade.


Oggi l’Italia ha superato la Cina per numero di vittime: 3405. 
Oggi sono stati registrati il doppio dei contagi rispetto alla giornata di ieri: 4480 contro 2648. 
Oggi, a partire dal governatore della Lombardia che non sa più come spiegarlo, molti hanno denunciato che le misure restrittive adottate dal Governo sono inefficaci: troppi italiani non le rispettano nonostante le oltre 40000 (quarantamila, abbiamo più denunciati che malati) denunce effettuate. 
Oggi la delegazione medica cinese giunta sulla penisola ha evidenziato come una larga fetta della popolazione non rispetta i dettami dell'ordinanza governativa. 
Oggi l'Onu ha lanciato l'allarme che se non sarà fermato il contagio il virus "ucciderà milioni di persone"
Oggi il Ministro della Difesa ha reso noto che c'è "piena disponibilità all'uso dei militari"
Mancano pochi dettagli e il coordinamento nazionale, poi il Premier entrerà nelle case degli italiani per dare comunicazione dell'entrata in azione dei carri armati nelle strade.

Io sto a casa, a rispettare chi come Elisa trasmette un po' di calore a chi forse non ce la farà


Ci hanno semplicemente chiesto di rimanere a casa: per il bene del Paese, per proteggere noi stessi, per rispettare chi come Elisa, infermiera reparto Malattie Infettive dell'Ospedale di Sanremo, spende ogni suo giorno per trasmettere un po' di calore a chi forse non ce la farà.

"Ricordo ancora quando sentii parlare per la prima volta di questo "nuovo virus": al telegiornale passavano le immagini di persone asiatiche con la mascherina. Queste cose sembrano sempre così lontane da noi. Era gennaio. Verso metà febbraio andai in ferie, portai i bambini sulla neve per trascorrere un weekend spensierato prima di rientrare all'asilo (loro) e di godermi un po' di riposo (io). Durante la settimana di ferie fui comunque chiamata a partecipare a due riunioni organizzate dal Dott. Cenderello: "Siamo solo all'inizio, è un'influenza, ma molto contagiosa. Il picco arriverà molto più avanti". E istruzioni su come vestirsi, sull'uso dei DPI, come rimuoverli in sicurezza. Ero confusa. Tornai a Sanremo e mai avrei mai pensato di trovare una realtà totalmente diversa da quella che avevo lasciato. Mio figlio Michele, di 5 anni, mi chiese: "Mamma, cosa farai domani in ospedale?". Non seppi cosa rispondere. Quel lunedì mattina trovai il mio reparto "spaccato" in due: metà era occupato dai nostri pazienti abituali, metà era riservato ai pazienti "sospetto Covid". Nel giro di 4 giorni avevamo SOLO pazienti Covid. La nostra routine di lavoro era stata completamente stravolta. Il tempo impiegato solitamente per la somministrazione della terapia si era triplicato. Brancolavamo nel buio, ma il nostro obiettivo era sempre quello: arrivare a fino turno con la certezza di aver fatto tutto nel migliore dei modi. 
Adesso la regola generale, per far sì che il minor numero di noi debba "vestirsi" per entrare nelle stanze, è fare tutto quello che si può quando si è dentro: rilevazione parametri vitali, prelievi ematici (venosi e arteriosi), somministrazione terapia, rifacimento letti, somministrazione del pasto. Tutto da sola, cercando di rimanere concentrata nonostante il sudore, gli occhiali appannati, i doppi guanti, l'elastico della mascherina che sembra penetrarti il cranio, la carenza di ossigeno. Perché con le FFP3 ti manca l'aria, continui a respirare la tua anidride carbonica e ti gira la testa. Ma nonostante ciò provi a rendere meno drammatico il tempo di chi, con il terrore dipinto sul volto, ti fa domande alle quali non sai rispondere. Ma sdrammatizzi, perché se tu sei stanco e sudato loro si son ritrovati da un giorno all'altro chiusi in una stanza, con l'ordine di non uscire, di non ricevere visite. Questo è per me uno degli aspetti peggiori: entrare nelle camere esibendo freddezza, distacco, un disagio che si scontra con la voglia di trasmettere un po' di calore a chi forse non ce la farà. Poi arriva il momento della svestizione, e finalmente respiri. La tua divisa gronda di sudore, il mal di testa è insopportabile, le mani sanguinano. Ma riparti, col collega che ti "lava" con l'ipoclorito. Ti rivesti, per entrare nella camera successiva. Ti lavi le mani 4-5 volte prima di cambiarti, 2-3 volte prima di uscire dallo spogliatoio, poi finalmente timbri e vedi la luce del sole, consapevole che il giorno dopo sarai di nuovo li. Ma ora basta, stop, devi staccare. 
Vai a casa, ti fai una doccia bollente prima di abbracciare i tuoi bambini, la tua vita. Un bacio sulla testa, perché "non si sa mai", pur sicura di aver adottato tutte le precauzioni necessarie per proteggere te stessa e chi ami. Ma rimani con mille dubbi. Perché se è vero che siamo sanitari, preparatissimi sull'uso dei DPI e sulla trasmissione dei patogeni, la verità è che questo virus fa paura e in fondo in fondo nessuno di noi ci ha ancora capito nulla".
Il Fatto Quotidiano
SanremoNews

lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus, i 47 giorni che hanno stravolto l’Italia


29 gennaio - Una coppia di coniugi di Wuhan in vacanza a Roma viene prelevata dall’Hotel Palatino di Via Cavour e portata all’ospedale Spallanzani. Verrà diagnosticata ad entrambi una polmonite da Sars-CoV-2. 
30 gennaio - Il presidente del Consiglio Conte annuncia i primi due casi di contagio e la chiusura del traffico aereo da e per la Cina. 31 gennaio Una nave da crociera con 6000 persone a bordo viene bloccata a largo di Civitavecchia per due casi sospetti. L’Oms dichiara l’emergenza sanitaria internazionale. Il direttore dello Spallanzani Giuseppe Ippolito riferisce in conferenza stampa il rapporto del Centro europeo per il controllo delle malattie: “Il rischio di ulteriori limitate trasmissioni da persona a persona all’interno dell’Ue è da basso a molto basso”. 
1 febbraio - Il Consiglio dei ministri dichiara lo stato di emergenza per 6 mesi e stanzia 5 milioni di euro. Viene nominato Commissario straordinario il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli. 
2 febbraio - Sessantasette italiani vengono rimpatriati da Wuhan e portati nella caserma militare della Cecchignola per la quarantena. 
4 febbraio - Il Ministero della Salute istituisce una task force dedicata al virus 2019-nCoV e rafforza i controlli negli aeroporti e porti italiani. I presidenti leghisti di Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Trento chiedono al governo di imporre la quarantena a chi rientra dalla Cina, compresi gli alunni delle scuole. 
5-21 febbraio - Tutto procede in una placida routine. Renzi minaccia battaglia sulla prescrizione. I morti sono oltre 1000 in Cina. 
21 febbraio - È il nostro venerdì nero. A 54 minuti dalla mezzanotte l’Ansa batte la prima agenzia: “Coronavirus, un contagiato in Lombardia”. È il “paziente uno”, un 38enne ricoverato per polmonite all’ospedale di Codogno, nel basso Lodigiano. Nel corso della giornata emergono due casi a Vo’ Euganeo, nel Padovano: alle 23.40 uno dei due, un 77enne di Monselice, muore. È il primo morto in Italia. Salvini intima al governo di chiudere tutto: “Chiudere! Blindare! Proteggere! Controllare! Bloccare!”. 
22 febbraio - Conte firma un decreto: le aree dei due focolai del Lodigiano e di Vo’ Euganeo diventano “zone rosse”: non si potrà uscire né entrare. Nel corso della giornata i contagi arrivano a 76. 
23 febbraio - Vengono chiuse le scuole in sei regioni del Nord. 
26 febbraio - Il presidente della Lombardia Attilio Fontana si mette in isolamento in diretta Facebook dopo aver annunciato la positività di una sua collaboratrice. 
27 febbraio - Da più parti si grida all’allarmismo ingiustificato. Il sindaco di Milano Sala chiede al governo di riaprire i musei, riapre i locali dopo le 18 (già chiusi dalla Regione), indossa la t-shirt con lo slogan #milanononsiferma, si fa ritrarre mentre prende lo spritz e condivide un video commissionato da 100 brand della ristorazione che esalta i “ritmi impensabili” della capitale morale. Salvini va da Mattarella a chiedere di “Riaprire tutto e far ripartire l’Italia” e intima al governo: “Riaprire tutto quello che si può riaprire. Riaprire per rilanciare fabbriche, negozi, musei, gallerie, palestre, discoteche, bar, ristoranti, centri commerciali!”. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti va sui Navigli per un simbolico aperitivo coi giovani del partito. Nove giorni dopo annuncerà di essere positivo al Coronavirus. 
28 febbraio - Il governo approva il decreto legge “misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Salvini chiede: “Aprire, aprire, aprire! Si torni a produrre, a comprare, si torni al sorriso”. Confcommercio stila un decalogo: “Sono gli ultimi giorni di saldi: approfittane! Vai dal parrucchiere o dall’estetista! Incontra gli amici al bar per un aperitivo, non sono più chiusi dopo le 18! Esci a cena, i ristoranti sono aperti! Fai una passeggiata e mangia un gelato prima di tornare a casa”. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia denuncia al Corriere i danni della psicosi da Coronavirus: “L’export e il turismo hanno pesanti contraccolpi”. Riapre il Duomo di Milano. Sono 888 le persone contagiate, 64 in terapia intensiva 21 i morti. 
29 febbraio - L’Oms eleva il Covid-19 a “minaccia globale molto alta”. 
1 marzo - Conte firma un decreto su proposta del ministro della Salute Roberto Speranza per il contenimento del contagio nelle regioni maggiormente coinvolte e per il territorio nazionale (sorveglianza per chi proviene da zone a rischio epidemiologico, disciplina del lavoro agile, sospensione dei viaggi d’istruzione, sanificazione dei mezzi pubblici, etc.). L’Italia è divisa in 4. Sono superati i 1.000 contagi in Italia e i 3.000 morti nel mondo. 4 marzo. Chiudono le scuole e le università in tutta Italia. 
6 marzo - Il governo stanzia 7,5 miliardi a sostegno di famiglie e imprese. La mappa genetica ricostruisce l’albero genealogico del virus: il “paziente zero” europeo forse è un manager della Baviera. 
8 marzo - La Lombardia e 14 province nel nord vengono dichiarate “zona rossa”. Bar e ristoranti chiudono alle 18. Chiudono palestre, piscine, cinema, teatri. Vietati funerali e matrimoni. Vietati i colloqui nelle carceri. Le anticipazioni filtrate in serata dal Consiglio dei ministri (la Cnn dice dalla Regione Lombardia) scatenano la fuga in treno di migliaia di persone verso il Sud, che tuttavia prosegue nelle ore, nei giorni e nelle settimane successive. 
9 marzo - Conte annuncia che tutta Italia diventa “zona protetta”. È il provvedimento “Io resto a casa”. Il dpcm prevede: divieto di assembramento; spostamenti solo per lavoro, salute o necessità con autocertificazione; chiusura delle scuole; stop allo sport. L’Italia diventa il secondo paese al mondo per decessi legati al Coronavirus dopo la Cina. Rivolte nelle carceri. Salvini: “Non basta, chiudere tutto”. 
10 marzo - Aumentano i contagi tra gli operatori sanitari. Il protocollo in uso negli ospedali prevede ancora il link epidemiologico territoriale. Non vengono testati gli asintomatici, anche se sono stati a contatto con contagiati. Sono 10.149 i casi totali. La Sanità lombarda è al collasso. 
11 marzo - Alle 22, in diretta tv e Facebook, Conte annuncia che tutta Italia è “zona rossa”. Chiudono le attività commerciali, tranne quelle di prima necessità. Le aziende sono tenute ad adottare protocolli di sicurezza. Si può uscire di casa solo per motivi di salute, lavoro o acquisti indispensabili.  
12 marzo - Le città si svuotano. Molti italiani cantano sui balconi. Siamo tutti in quarantena. 
15 marzo - Viene varato il maxi-decreto (praticamente una finanziaria bis) con misure per contenere l’emergenza e sostenere l’economia. Si prevedono ospedali campali militari. Le persone in terapia intensiva sono 1.672, i morti 1.809, anche giovani e senza alcuna patologia pregressa.

domenica 15 marzo 2020

La selezione naturale dei soldi


La pandemia che sta drasticamente cambiando abitudini, funzioni, inclinazioni, e tendenze di una larga fetta di mondo ha inevitabilmente messo a nudo anche culture e tradizioni dell'intero orbe terracqueo. Se da una parte il Vecchio Continente con l'Italia a fare da esempio e volano ha acceso la macchina sanitaria, con sforzi enormi da parte di addetti ai lavori, istituzioni e cittadini, questi ultimi chiamati a grandi responsabilità civiche, il mondo anglosassone, inglesi su tutti, ha intrapreso la strada dell'immunità di gregge. Tradotto: far passare il virus attraverso tutta la popolazione, confidando che la catena dell'infezione possa essere interrotta quando un gran numero di soggetti diventi immune o meno suscettibile alla malattia. Una condizione che come glacialmente ha riferito Boris Johnson porterà "molte famiglie a perdere i propri cari". Una semplificazione dettata dalla linea del governo inglese che porta a non fare nulla ed aspettare. La conseguenza inevitabile: i più sani, forti e fortunati sopravviveranno. Gli altri, si vedrà. Dall'altra parte dell'oceano per settimane si è minimizzata la minaccia del virus, con il numero uno della Casa Bianca a fomentare l'opinione pubblica per paura di calare nei sondaggi. Poi il dietrofront, causa la preoccupante situazione di New York dove i casi sono raddoppiati in meno di ventiquattro ore e la morte dell'anziana che viveva a Manhattan, la prima vittima nel fortino nevralgico della nazione. La dichiarazione dello stato di emergenza con un piano da 50 miliardi di dollari l'ammissione, forzata dallo staff presidenziale e dai media, della gravità della situazione. 
Misure diametralmente opposte che hanno messo in chiaro differenze sostanziali tra chi ha messo al centro la salute dei cittadini e chi ha preferito non mettere in pericolo le strutture economiche, produttive e finanziarie per tentare di vincere una battaglia persa in partenza. 
In un periodo storico dove giudizi e valutazioni vanno rapportati allo stato d'emergenza viene spontaneo affermare come l'iper-liberismo prodotto da alcune democrazie abbia bypassato il buon senso e soprattutto la civiltà umana, ponendo la comunità come cavia di un'economia punta del darvinismo culturale, dove i soldi sono la vera selezione naturale.

sabato 14 marzo 2020

Gallera, Fontana, Bertolaso e lo show delle mascherine


E' evidente che quando non ci pensa Salvini la polemica verso le scelte del Governo, di Conte, della Protezione Civile e di Borrelli viene messa in atto dalle figure istituzionali di centrodestra (naturalmente a trazione leghista). In una giornata dove tutti i numeri riguardanti i contagiati, i ricoveri e i decessi si mantengono cospicui e costanti ecco che la governance lombarda non ha perso occasione per alimentare, a favore di taccuini e telecamere, l'ennesima polemica contro l'operato dell'esecutivo. A dare il via c'ha pensato l'assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, che ai microfoni di Sky Tg24 ha dichiarato: "Oggi le mascherine che possono essere utilizzate dagli operatori sono del tipo FFP2, FFP3 o quelle cosiddette chirurgiche, invece ci hanno mandato queste cose qua: è un fazzoletto, un foglio di carta igienica. A Roma - ha aggiunto - ci hanno detto che è quello che hanno, ma quello che hanno non è sufficiente. Agli operatori, che fanno straordinari su straordinari, come posso dire di usare mascherine del genere? Questo non è consentito né accettabile. C'è anche un problema di rispetto della sicurezza dei lavoratori. C'è un'emergenza mascherine che va risolta con i giusti presidi. La Lombardia - sottolinea - sta facendo uno sforzo pazzesco, almeno dateci gli strumenti per questa battaglia". 
Ora. Considerando che nell'arco di tre settimane l'intero orbe terracqueo si è trovato ad affrontare una pandemia senza precedenti. Tenendo conto che in una guerra, perché questa è una guerra, bisogna far buon viso a cattiva sorte. Tradotto: ci si "lava con l'acqua fredda perché quella calda non c'è", e ancora grazie che c'è l'acqua. 
C'era davvero bisogno di creare quel vergognoso show nei confronti di chi da settimane sta dedicando anima e corpo alla problematica in questione? Era necessario mettere in piedi quel teatrino per scaricare su Conte e Borrelli una mancanza (di mascherine) dopo che per anni ci siamo sentiti ripetere un giorno si e l'altro anche di un sistema sanitario, quello lombardo, all'avanguardia? 
A chiudere la giornata c'ha pensato il governatore Attilio Fontana, nominando l'ex capo della protezione civile Guido Bertolaso come proprio consulente personale per seguire il progetto di un ospedale temporaneo che nascerà negli spazi di Fiera Milano. 
Una scelta che da una parte avvalla l’ideona proposta (secondo il Corriere) da Renzi, Salvini e Gianni Letta (e ho detto tutto) a Mattarella nel nominare commissario straordinario per l'emergenza l'ex commissario straordinario al G8 del 2009 che buttò 400 milioni in inutili grandi opere alla Maddalena. Mentre dall'altra pone seriamente la questione medici e attrezzature, con i primi che non ci sono e le seconde attualmente insufficienti, come d'altronde era stato annunciato da Gallera: "La struttura può essere pronta entro sei giorni, a patto che ci siano i respiratori e il personale"
Infatti creare un letto di terapia intensiva non è semplice. Ogni lato del letto deve avere un'area libera di circa un metro, poi serve un riciclo dell'aria costante, un ventilatore meccanico, un monitor multiparametrico, sei pompe peristaltiche e infusionali per la somministrazione di farmaci e alimenti, prese di ossigeno e strumenti di aspirazione per quei pazienti che, intubati, non possono deglutire e vanno aspirati. In situazioni normali – spiega l'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani –, ci vuole un mese per allestire una sala di terapia intensiva. Questo dà la misura della difficoltà. Data anche dalla carenza di personale. Contando al ribasso circa 500 letti gestiti su tre turni da 8 ore, per ogni turno ci vogliono 250 infermieri (uno per due letti più gli Oss) e 50 anestesisti se ipotizziamo che ogni medico gestisca 10 letti. Il che significa in totale circa 800 infermieri e 150 medici. 
Angelo Borrelli, durante la canonica e ormai periodica conferenza stampa della sera, ha affermato che le polemiche fatte uscire nelle ultime ventiquattro ore sono del tutto destituite di fondamento, il che riassume e conferma come le parole di Gallera e la scelta di Fontana fanno parte di un'azione  politica concertata.

venerdì 13 marzo 2020

S'è incazzato Mattarella


"Non siamo qui per ridurre lo spread, non è la funzione della Bce, e al tempo stesso la Banca centrale europea, per far fronte all'emergenza Coronavirus, non taglierà i tassi" Parole, espresse della presidente della Bce Christine Lagarde, che hanno prima fatto volare lo spread (251) e sprofondare le borse europee (Milano -16,92%, Londra -9,81%, Francoforte -12,21%, Parigi -12,28%) fino a mandare in fumo 825 miliardi, 68 solo sul paniere milanese, e successivamente riaperto lo scontro politico nazionale, fino a far incazzare un uomo appartato, calmo, certo, distaccato, disteso, fiducioso, imparziale, imperturbabile, obiettivo, ordinato, pacato, pacifico, rilassato, riparato, sereno, sicuro, silenzioso come Sergio Mattarella, che istituzionalmente e con una nota del Quirinale abbastanza irrituale (il Capo dello Stato non si è mai esposto apertamente in segno di dissenso contro le istituzioni Europee) ha così espresso il suo personale disappunto: "L'Europa sia solidale e non ostacoli l'Italia, la nostra azione di contrasto sarà utile a tutti".

Loro restano a casa (per sempre)


In ordine sparso: Donald Trump, Christine Lagarde, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Vittorio Sgarbi, Giuseppe Sala, Giorgio Gori, Fontana e Zaia, decine di opinionisti televisivi, altrettanti giornalisti/giornalai, cittadini che di fronte a emergenze e ordinanze hanno pensato bene di dare l'assalto a treni, stazioni sciistiche, località di mare. Per loro, per tutti loro ma non solo l'ideale sarebbe che continuino a restare a casa anche dopo la fine dell'emergenza Coronavirus.

giovedì 12 marzo 2020

Ci accontentiamo di un riff di Jimi Hendrix


La storia, seppur manipolata, narra da sempre del conflitto dell'uomo con i propri simili. Un fenomeno collettivo che nel corso dei secoli ha abbracciato qualsivoglia tema: bellico, economico, religioso, sociale, razziale. Nel tempo, scrittori di ogni cultura e posizione politica hanno trattato il tema della guerra nelle loro opere: dall'arte della guerra, uno dei più importanti trattati di strategia militare risalente al VI secolo a.C., fino ai giorni nostri. E così hanno fatto pittori, scultori, filosofi, teologi, mettendo al centro le ferite che i conflitti hanno lasciato addosso all'intera comunità. 
Guerre che si sono combattute con armi, con ricatti, con bugie. Ostilità che hanno alzato muri, creato distanze, scavato solchi, ampliato la piramide sociale di una nazione, di un continente, dell'intero orbe terracqueo. Dissidi capaci di sterminare milioni di persone, di porre la parola fine a tradizioni, culture, lingue, popoli. 
Il tutto con sempre l'essere umano al centro di scelte e decisioni, in grado queste di determinare l'inizio e la fine, la nascita e la morte di qualsiasi conflitto. Per interesse, per subdole strategie di potere, non c'è mai stata la fine di una qualunque guerra. Celati dietro terminologie di comodo, i trattati hanno alterato il reale significato di pace, anche quando l'uomo credeva di viverci dentro. La produzione in serie di dittature, democrazie pilotate, capitalismi di rapina, abili ideologie, hanno innescato meccanismi atti a tenere sotto controllo l'intero sistema, proiettando su grande schermo un mondo fatto e finito per le esigenze di pochi a discapito di molti. 
Un amico evidenziava. La pace del 1945 è stata una delle più grandi bugie della storia. Un ennesima pace artefatta, colonizzatrice e vacillante. Gli americani si sono presi ogni angolo di mondo, innescando un meccanismo di demenziale capitalismo, e laddove non riuscivano hanno imposto governi fantoccio usciti da truculenti colpi di Stato. L'Europa è finita a Versailles nel 1918 e da allora è un coccio inutile e maldestro, una comunità basata esclusivamente su interessi bancari a scapito dei cittadini. Il Socialismo reale si è dimostrato un imbarazzante messa in pratica di un ideologia materialista iniziata a crollare su se stessa alla prima puntata di Happy Days e al primo riff di Jimi Hendrix. La Chiesa del messaggio evangelico pastorale a favore degli ultimi si è addobbata d'oro, allontanando i poveri e avvicinando cosche d'ogni risma. L'Oriente al quale ogni avanguardia ha pensato come stimolo spirituale è divenuto lentamente un drago avido, onnivoro, onnisciente di tecnologia. L'Africa resta da secoli un continente moribondo, affamato, povero, lasciato a se stesso, dove ogni parvenza di volontà organizzatrice e progressista è stata annegata nel sangue. Il Medio Oriente è una strampalata cartina geografica redatta da coloro che non volevano pacificare ma alimentare attriti fra le confessioni islamiche per non privarsi di petrolio a buon prezzo, incastrandoci lo Stato di Israele a fomentare "produttive" discordie. 
E dietro, ancora una volta, per l'ennesima volta l'uomo, nel decidere il dove, il come e il quando. Raffigurazione del Dio onnipotente ma incapace di provare umiltà, coscienza, ragione. 
Oggi però, di fronte ad una guerra che non si combatte più con armi, bugie e democrazie pilotate, e men che meno con la possibilità di cessarne l'iter tramite trattati e interessi. Al cospetto di un'emergenza che nessuno, men che meno coloro che si sono presi ogni angolo di mondo, è in grado di determinarne la fine, o di conoscerne la data di scadenza, l'uomo è nudo, spogliato di quella centralità che ne ha contraddistinto il percorso nella storia antica e moderna. Angosciato di fronte all'ignoto, all'imponderabile, a ciò che da sconosciuto si è presentato davanti alla scienza. 
Ora, probabilmente per la prima volta, sarà l'intera comunità ad avere la possibilità di decidere il dove, il come e il quando. Scavalcando la decisionalità del singolo, disarcionando dittature, democrazie pilotate, capitalismi di rapina, abili ideologie. 
Portandosi in prima linea per combattere una guerra che non conosce differenze sociali, che non alza muri. Non rimane quindi che attendere, accontentandoci di un riff di Jimi Hendrix.

mercoledì 11 marzo 2020

Da una città che "faceva rumore" a un Paese fantasma: ma crediamo che le misure adottate dal Governo sconfiggeranno il Coronavirus


Siamo una coppia di Sanremo, la città che solo un mese fa "faceva rumore" e riempiva le case degli italiani con il Festival della Canzone Italiana. Un "check-point" che rimarrà inevitabilmente avvitato alla storia del Coronavirus: perché dopo la kermesse canora è iniziato il countdown che ci ha portato alla situazione che tutto il Paese sta vivendo. Un Paese fantasma che dalla mattinata di martedì si è svegliato con un'unica prerogativa: stare a casa. Una misura adottata dal Governo per proteggere i propri cittadini. Tutti, indistintamente. 
Un'ordinanza atta a far evitare luoghi affollati e tutte quelle situazioni che fino alla serata in cui Diodato trionfava sul palco dell'Ariston nessuno di noi pensava lontanamente di dover vivere. Scrivendo quanto segue a quattro mani, ci siamo trovati nostro malgrado catapultati all'interno di un mondo che ha portato mutamenti radicali del nostro vivere quotidiano, e soprattutto del vivere quotidiano dei nostri due bambini (entrambi autistici), che come quelli dell'intera penisola non hanno più avuto la possibilità di svolgere la vita di tutti i giorni. Ma tutto questo si è ulteriormente amplificato, dovendo rinunciare di fatto a: 1) musicoterapia; 2) logopedia; 3) terapia comportamentale; 4) piscina; 5) scuola. 
Se a ciò aggiungiamo che proprio nella giornata di martedì abbiamo dovuto disdire anche la festa dell'undicesimo compleanno, prendendo in serissima considerazione le misure adottate dal Governo e pensando principalmente alla salute dei nostri bambini e di chi avrebbe dovuto presenziare all'evento, ecco che il quadro si è completato con tutte le controindicazioni che questo ha comportato e sta comportando. 
Nonostante ciò, benché le difficoltà proseguiranno fino a data da destinarsi, crediamo fortemente che le misure adottate dal Governo sconfiggeranno il Coronavirus. 
Crediamo che tutti coloro che stanno operando per la risoluzione del problema verranno a capo di una contingenza tanto grottesca quanto preoccupante e di non semplice risoluzione. 
Crediamo soprattutto che questo Paese, i suoi cittadini, la stragrande maggioranza, sapranno seguire i dettami del Governo per accelerare l'uscita da un qualcosa che i più stanno giustamente identificando come incubo. 
Non sappiamo se il Coronavirus ci cambierà o se in qualche maniera ci ha già cambiati. Facendoci comprendere il valore di un abbraccio, di una mattinata trascorsa a scuola, di un pomeriggio a festeggiare un compleanno. 
A oggi non sappiamo nemmeno come finirà e soprattutto quando, ma se tutti insieme sapremo fare "rumore" da questa forzata esperienza ci porteremo dietro quella condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni: la libertà.

martedì 10 marzo 2020

Una città che solo un mese fa "faceva rumore"


Analfabetismo funzionale


" #iorestoacasa ". Così il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha definito il senso del nuovo decreto per contenere la diffusione del coronavirus, annunciato ieri sera in conferenza stampa e in vigore da oggi. Non ci sono più zone rosse e zone ma un’unica grande "zona protetta": l'Italia intera. In parole spicce: vanno evitati tutti gli spostamenti, ad eccezione di quelli "motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità", ovvero "spostamenti per motivi di salute".
Oggi, ore 12, rientrando dal lavoro: tavolini dei Bar pieni, bambini all'interno dei parchi pubblici, ciclisti (che manco alla Milano-Sanremo), runners (che manco alla maratona di New York), persone di ogni età tranquillamente a passeggio, e non faccio la conta di chi in macchina andava chissà dove. Domanda: cosa non vi è chiaro, o comprensibile, di ciò che ha detto ieri sera il Presidente del Consiglio? 
Tempo tre giorni e le città saranno presidiate dall'Esercito.

domenica 8 marzo 2020

Ordine e ordinanze


Da oltre un anno il popolo italiano, una fetta della popolazione, più semplicemente la maggioranza degli aventi diritto al voto vorrebbe al comando del Paese un uomo forte, munito di pieni poteri e in grado, di fronte a qualsivoglia emergenza, di portare ordine e disciplina. Lo dicono i sondaggi d'opinione, lo propalano opinionisti da talk show, lo rivelano e lo rilevano quotidiani, telegiornali e mezzi d'informazione di tutta la penisola. Insomma, da quando una certa parte politica della nazione l'ha buttata su di una ipotetica invasione da parte di negri, terroristi e clandestini, il popolo, la così detta maggioranza degli aventi diritto al voto ha sposato la psicosi della paura. 
Un sentimento che ha intravisto alla vigilia di una sostituzione etnica la possibilità di ripararsi alle spalle di un uomo capace, solido, tutto di un pezzo, che spesso ha rivendicato attraverso i social di avere una sola parola. I mesi che ne sono seguiti, gli ultimi due anni di politica italiana vissuti dall'opinione pubblica si sono poggiati sulle masse di africani sbarcate illegalmente sul suolo patrio, sull'odio razziale, sull'odio nei confronti dell'Euro, dell'Europa e degli europeisti, su di una propaganda che un giorno si e l'altro anche si è scagliata contro ogni scelta/decisione fatta dal governo, a prescindere che fosse buona o cattiva, utile o inutile. 
Poco importa se alle critiche non sono seguite proposte, se le pregiudizievoli prese di posizione atte a vanificare le volontà dell'esecutivo non sono state sostituite con un programma che potesse far uscire il Paese dalle problematiche (vere e presunte) quotidiane. L'imbarbarimento politico, fusione di panico e paura, ha offuscato la ragione, ha portato a pensare a quanto si stava meglio prima, ad avere nostalgia di un ventennio in cui le bastonate facevano andare tutto nel verso giusto. Senza tentennamenti, senza titubanze. A rimpiangere il nativo di Predappio. Perché lui si, con i pieni poteri, era stato in grado di fare cose buone e giuste, riuscendo vasconianamente a mantenere l'equilibrio sopra la follia. 
Poi l'imponderabile, l'imprevedibile, un nemico sconosciuto da combattere. Un'inimmaginabile sparigliamento di tutto ciò che fino ad oggi aveva dettato regole e agende nella vita politica-sociale del Paese. Ed ecco che le divisioni tra maggioranza e opposizione si sono una volta di più dilatate: da una parte gli untori di panico e paura a non trovare soluzione alcuna, salvo chiamare delinquente e criminale colui che è stato accusato di aver prima enfatizzato e poi sottovalutato la problematica, dall'altra un esecutivo che sotto la piena responsabilità del Presidente del Consiglio ha centralizzato le decisioni appoggiandosi alle direttive dell'Istituto Superiore della Sanità, assumendo pieni poteri e divulgando al Paese intero misure e precauzioni da seguire per combattere l'emergenza. 
Che poi le ordinanze sviluppate attraverso i Dpcm firmati nelle ultime ore non siano state accolte, accettate e soprattutto attuate da quello stesso popolo che vorrebbe al comando del Paese un uomo forte, munito di pieni poteri e in grado, di fronte a qualsivoglia emergenza, di portare ordine e disciplina, fa parte di una storia tutta italiana così sintetizzabile: invochiamo l'uomo forte che porta l'ordine e poi non riusciamo a rispettare manco mezza ordinanza.

Indifferenza e supponenza


Starà a noi cittadini tutti dimostrare che la razionalità potrà prevalere contro un nemico incentivato da chi continua ad ostentare indifferenza e supponenza, come se nulla stia succedendo, come se rispettare le direttive dell'ISS, del governo sia operazione impossibile da attuare. Esiste un emergenza sanitaria, hanno chiuso la Lombardia e altre 11 province di 4 Regioni. Credo che questo basti e avanzi per capire che bisogna stare a casa e non pensare che questa condizione sia d'auspicio per cazzeggiare al mare o in montagna, nella movida o facendo shopping come se fossimo in vacanza.

sabato 7 marzo 2020

Un Robin Hood al contrario


Lo sport, la sua natura, quella filosofia che ha regalato nel corso della storia racconti leggendari per fortuna non muterà mai. Gesta che hanno fatto innamorare, sentimenti che hanno abbracciato il "Davide" di turno, emozioni che si sono avvitate agli spaccati della vita di ognuno di noi. 
Il Boris Becker diciassettenne che incantò il Centrale di Wimbledon andando a conquistare, dopo le vittorie in sequenza su Leconte, Järryd e Curren, l'edizione numero 99 del torneo in erba più famoso del globo terracqueo. Quando l'outsider Marco Pantani, in una giornata da tregenda, volo sul Galibier alla conquista di una maglia gialla che difese con il cuore e con i denti fino agli Champs-Élysées di Parigi. L'epica sequenza della nazionale italiana di pallacanestro nell'Europeo del 1983 disputato in Francia contro i mostri sacri della Spagna, della Grecia, della Jugoslavia. Le imprese di Seabiscuit nell'America della Grande Depressione, dove da improbabile campione si trasformò in un simbolo di combattività, vincendo tutto quello che era possibile vincere e dando speranza ad un popolo intero. 
E poi ancora la conquista del titolo di campione del mondo dei supergallo WBA da parte dello sfavorito Loris Stecca contro Leonardo Cruz al Palasport di Milano davanti a venti mila tifosi letteralmente impazziti di gioia. Oppure il trionfo di Paolino Cané, di Diego Nargiso e di tutto l'entourage di Adriano Panatta in quel di Cagliari nel primo turno di Coppa Davis contro la favoritissima Svezia. Senza naturalmente dimenticare le epiche cavalcate della "Cenerentola" Danimarca di Schmeichel, Vilfort, Jensen, Laudrup, Povlsen nell'Europeo del 1992, oppure quella del Nottingham Forest di Brian Clough, di Peter Shilton e Trevor Francis, di Birtles e Woodcock, di Lloyd e Anderson alla conquista dell'allora Coppa dei Campioni. O ancora quella dell'Atalanta stagione 1987-1988 che con Emiliano Mondonico in cabina di regia, Garlini, Cantarutti, Nicolini, Fortunato, Bonacina e Strömberg in campo, conquistò nello stupore generale la semifinale di Coppa delle Coppe.
Ecco che allora viene inevitabile soffermarsi sulle parole di Andrea Agnelli propalate in occasione del "F.T. Business of Football Summit" tenutosi a Londra nella giornata di giovedì sulla "Dea" bergamasca. Affermazioni che si sono scagliate contro i nerazzurri e la loro presenza all'interno dell'attuale Champions League. Un discorso che nulla ha a che fare con lo sport, con la sua natura, con quella filosofia che nel corso della storia ha saputo regalare racconti leggendari, cavalcando le speranze e l'immaginario di popoli, paesi, appassionati. 
Una lettura che va presa per quello che è e soprattutto pesata in relazione alla statura di chi l'ha espressa: un Robin Hood al contrario (Nottingham, Contea di Sherwood, guarda a volte il caso) che ruberebbe ai poveri per dare ai ricchi, calpestando sogni, speranze e soprattutto la storia.

giovedì 5 marzo 2020

Hanno (ancora una volta) vinto loro


I dirigenti della Serie A di calcio, quelli che per settimane l'hanno menata con il giochiamo a porte aperte, a porte chiuse o anche senza le porte, hanno ammesso che la decisione del governo è stata di buon senso (senza spettatori fino ad aprile), e ora speriamo non rompano più i coglioni. 
I virologi da talk show, quelli che per settimane hanno presenziato tutte le trasmissioni possibili sbugiardando colleghi, simili e financo se stessi, pare abbiamo deciso di mettersi da soli in quarantena; di virus sinceramente basta e avanza quello che c'è. 
I Governatori (alla Zaia e alla Fontana), i Sindaci (alla Sala), e vari assessori al seguito, quelli che per settimane hanno detto di seguire le linee guida del governo e al contrario, andando per cazzi loro, hanno fatto (quasi) più danni del Covid-19, avranno seguito con attenzione la conferenza stampa (di oggi) e il comunicato (di ieri) del Presidente del Consiglio capendo finalmente che a dirigere il traffico, a pilotare il mezzo, a prendere in mano il timone cercando di riportare la nave in porto dev'essere solo ed esclusivamente il governo centrale? Si confida ce la possano fare. 
Mentre per quanto asserito da Giorgia Meloni a "L'Aria che Tira" ("Giuseppe Conte è un criminale"), e per ciò che l'indossatore di felpe altrui ha dichiarato nell'intervista pubblicata nella giornata di ieri dal quotidiano spagnolo "El Pais" ("Il Governo italiano è incapace di gestire l'emergenza del Coronavirus"), alziamo le mani e per manifesta inferiorità affermiamo tutti in coro: hanno (ancora una volta) vinto loro.

mercoledì 4 marzo 2020

Scuole e università chiuse fino al 15 marzo: ora serve la speranza e una promessa


Alla fine è arrivata la notizia che milioni di famiglie hanno atteso per l'intero pomeriggio: "Il governo chiude scuole e università fino al 15 marzo". Una delle misure per far fronte all'emergenza Coronavirus, discussa dall'esecutivo in una riunione in tarda mattinata a Palazzo Chigi, è stata confermata in una conferenza stampa dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina. 
Mentre scrivo, come spiegato ampiamente dal premier Giuseppe Conte, si è firmato un nuovo decreto che fornirà ulteriori misure per il contenimento sanitario. 
Bisogna ritardare la diffusione del virus, ha spiegato Conte, perché "il sistema sanitario rischia di andare in sovraccarico, abbiamo un problema con la terapia intensiva se una crisi esponenziale dovesse proseguire"
Misure che riguardando quindi anche il comparto scuole e università, chiuse fino a metà mese per impedire altre ed eventuali che provocherebbero senza se e senza ma un ulteriore aggravamento di una situazione già di suo complicata. 
Nonostante le innumerevoli problematiche che comporta una decisione di tale portata (legate principalmente al mondo del lavoro e a chi come il sottoscritto ha figli portatori di handicap), non posso che essere favorevole con quanto deciso dal governo e le istituzioni tutte, una scelta a piena tutela degli studenti e alla salvaguardia di un sistema sanitario che da settimane è sottoposto ad un carico di lavoro decisamente importante. 
Ora, in attesa di ciò che accadrà nei prossimi giorni, rimane da aggrapparsi a una speranza e a una promessa, quella che lo stesso governo dovrà attuare a emergenza rientrata. 
La speranza è che nel più breve tempo possibile venga contenuta l'epidemia creata dal Covid-19, uscendo da una condizione che ha inevitabilmente stravolto la vita quotidiana di milioni di persone. 
La promessa che il governo dovrà prima fare e poi mantenere nei confronti di tutte le famiglie interessate dalla chiusura di scuole e università, che si lega inevitabilmente al discorso rilasciato dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, parlando in sala stampa a Palazzo Chigi: "Mi impegno a far sì che il servizio pubblico essenziale seppur a distanza venga fornito a tutti i nostri studenti", sarà quella di sopprimere tutte le feste già in calendario dal 15 marzo alla fine dell'anno. 
Una soluzione emergenziale e straordinaria che consentirebbe il recupero delle giornate di scuola perse, con la possibilità di riprendere il programma scolastico e senza interruzioni portarlo, seppur in condizioni limite, a termine.