Lo sport, la sua natura, quella filosofia che ha regalato nel corso della storia racconti leggendari per fortuna non muterà mai. Gesta che hanno fatto innamorare, sentimenti che hanno abbracciato il "Davide" di turno, emozioni che si sono avvitate agli spaccati della vita di ognuno di noi.
Il Boris Becker diciassettenne che incantò il Centrale di Wimbledon andando a conquistare, dopo le vittorie in sequenza su Leconte, Järryd e Curren, l'edizione numero 99 del torneo in erba più famoso del globo terracqueo.
Quando l'outsider Marco Pantani, in una giornata da tregenda, volo sul Galibier alla conquista di una maglia gialla che difese con il cuore e con i denti fino agli Champs-Élysées di Parigi.
L'epica sequenza della nazionale italiana di pallacanestro nell'Europeo del 1983 disputato in Francia contro i mostri sacri della Spagna, della Grecia, della Jugoslavia.
Le imprese di Seabiscuit nell'America della Grande Depressione, dove da improbabile campione si trasformò in un simbolo di combattività, vincendo tutto quello che era possibile vincere e dando speranza ad un popolo intero.
E poi ancora la conquista del titolo di campione del mondo dei supergallo WBA da parte dello sfavorito Loris Stecca contro Leonardo Cruz al Palasport di Milano davanti a venti mila tifosi letteralmente impazziti di gioia. Oppure il trionfo di Paolino Cané, di Diego Nargiso e di tutto l'entourage di Adriano Panatta in quel di Cagliari nel primo turno di Coppa Davis contro la favoritissima Svezia.
Senza naturalmente dimenticare le epiche cavalcate della "Cenerentola" Danimarca di Schmeichel, Vilfort, Jensen, Laudrup, Povlsen nell'Europeo del 1992, oppure quella del Nottingham Forest di Brian Clough, di Peter Shilton e Trevor Francis, di Birtles e Woodcock, di Lloyd e Anderson alla conquista dell'allora Coppa dei Campioni.
O ancora quella dell'Atalanta stagione 1987-1988 che con Emiliano Mondonico in cabina di regia, Garlini, Cantarutti, Nicolini, Fortunato, Bonacina e Strömberg in campo, conquistò nello stupore generale la semifinale di Coppa delle Coppe.
Ecco che allora viene inevitabile soffermarsi sulle parole di Andrea Agnelli propalate in occasione del "F.T. Business of Football Summit" tenutosi a Londra nella giornata di giovedì sulla "Dea" bergamasca. Affermazioni che si sono scagliate contro i nerazzurri e la loro presenza all'interno dell'attuale Champions League. Un discorso che nulla ha a che fare con lo sport, con la sua natura, con quella filosofia che nel corso della storia ha saputo regalare racconti leggendari, cavalcando le speranze e l'immaginario di popoli, paesi, appassionati.
Una lettura che va presa per quello che è e soprattutto pesata in relazione alla statura di chi l'ha espressa: un Robin Hood al contrario (Nottingham, Contea di Sherwood, guarda a volte il caso) che ruberebbe ai poveri per dare ai ricchi, calpestando sogni, speranze e soprattutto la storia.
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