"...Ascoltando infatti le grida di esultanza che si levavano dalla città, Rieux si ricordava che quell'esultanza era sempre minacciata. Poiché sapeva quel che la folla in festa ignorava, e che si può leggere nei libri, cioè che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decenni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere da letto, nelle cantine, nelle valige nei fazzoletti e nelle carte, e che forse sarebbe venuto il giorno in cui, per disgrazia e monito agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi e li avrebbe mandati a morire in una città felice.".
Per chi ancora oggi crede che quella pandemia nata nel 1346 appartenga ad un molto ormai troppo distante dal nostro.
Per chi ancora oggi nega la spaventosa epidemia che negli anni quaranta dilagò in Europa con il nome di nazionalsocialismo.
Per chi domani non dovrà dimenticare quello che di drammatico e paradossale stiamo vivendo oggi, a più di settanta anni dall'uscita del romanzo dello scrittore francese Albert Camus.
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