E’ agosto, certo. Ma nonostante la canicola viene da chiedersi dove siano finiti i pacifisti, che cosa sia successo al glorioso popolo arcobaleno, sotto quale ombrellone abbia trovato ristoro quel movimento di opinione pubblica che, nei giorni della guerra in Iraq, il New York Times aveva solennemente definito “la seconda superpotenza mondiale”.
Sembrano scomparsi.
Non che il complesso militare industriale di Washington abbia dato loro ascolto e, di conseguenza, messo i fiori nei cannoni. Anzi. A Washington c’è Barack Obama, invece dell’odiato George W. Bush, ma il ministro della Guerra e i generali che la guidano sono gli stessi del presidente “guerrafondaio”. Soprattutto, i 130 mila soldati americani sono ancora in Iraq a combattere, come prima, per aiutare uno dei paesi chiave del medioriente islamico a liberarsi del suo passato criminale e dalle tentazioni teocratiche.
In Afghanistan, Obama ha raddoppiato il contingente militare e ha ordinato un’escalation bellica che coinvolge anche i paesi alleati (l’Italia ha inviato 200 soldati in più e il mese scorso per civili e militari è stato il più sanguinoso dal 2001). La campagna di bombardamenti si è strategicamente estesa al territorio pachistano, sul quale da quando Obama si è insediato alla Casa Bianca sono piovuti almeno trentadue missili.
I rapporti con l’Iran e la Corea del nord, se possibile, si sono ulteriormente complicati e, anche se si è lontani da soluzioni militari, non si vede ancora traccia di quella grande ricomposizione pacifica mondiale che l’elezione di Obama avrebbe dovuto ispirare. Il carcere di Guantanamo, tanto per citare un altro totem del movimento pacifista, è ancora aperto. Se e quando verrà chiuso, sarà sostituito da altre strutture detentive in America, quasi certamente peggiori dell’attuale, dove i principali prigionieri della guerra al terrorismo continueranno a non avere diritti processuali.
Prima o poi gli americani si ritireranno dall’Iraq e dall’Afghanistan, e con loro anche le truppe italiane. Ma gli estremisti del jihad islamico continuano a spargere sangue innocente e a tentare di uccidere i soldati della coalizione, compresi i nostri connazionali. Proprio ieri, tramite il generale Ray Odierno, l’Amministrazione Obama ha fatto sapere che i marine torneranno a presidiare la zona nord occidentale dell’Iraq, quella al confine tra il Kurdistan e le province sunnite, in aperta violazione dell’accordo di ritiro dai centri abitati firmato da Bush e dal governo di Baghdad.
Le bandiere arcobaleno restano ammainate, ma non perché chi le sventolava con passione si sia finalmente reso conto che la battaglia in corso è per la libertà e la democrazia, nostre e del mondo islamico. La dissoluzione estiva della “seconda potenza mondiale”, piuttosto, dimostra che il movimento pacifista non era affatto motivato dall’opposizione agli interventi militari occidentali per cacciare Saddam e i talebani dai loro regni, ma dalla volontà politica e ideologica di detronizzare Bush (e, in Italia, Berlusconi).
Non ci sono riusciti.
Lasciando per scadenza del mandato la Casa Bianca, Bush ha avuto il merito di liberarci anche del popolo della pace.
Non che il complesso militare industriale di Washington abbia dato loro ascolto e, di conseguenza, messo i fiori nei cannoni. Anzi. A Washington c’è Barack Obama, invece dell’odiato George W. Bush, ma il ministro della Guerra e i generali che la guidano sono gli stessi del presidente “guerrafondaio”. Soprattutto, i 130 mila soldati americani sono ancora in Iraq a combattere, come prima, per aiutare uno dei paesi chiave del medioriente islamico a liberarsi del suo passato criminale e dalle tentazioni teocratiche.
In Afghanistan, Obama ha raddoppiato il contingente militare e ha ordinato un’escalation bellica che coinvolge anche i paesi alleati (l’Italia ha inviato 200 soldati in più e il mese scorso per civili e militari è stato il più sanguinoso dal 2001). La campagna di bombardamenti si è strategicamente estesa al territorio pachistano, sul quale da quando Obama si è insediato alla Casa Bianca sono piovuti almeno trentadue missili.
I rapporti con l’Iran e la Corea del nord, se possibile, si sono ulteriormente complicati e, anche se si è lontani da soluzioni militari, non si vede ancora traccia di quella grande ricomposizione pacifica mondiale che l’elezione di Obama avrebbe dovuto ispirare. Il carcere di Guantanamo, tanto per citare un altro totem del movimento pacifista, è ancora aperto. Se e quando verrà chiuso, sarà sostituito da altre strutture detentive in America, quasi certamente peggiori dell’attuale, dove i principali prigionieri della guerra al terrorismo continueranno a non avere diritti processuali.
Prima o poi gli americani si ritireranno dall’Iraq e dall’Afghanistan, e con loro anche le truppe italiane. Ma gli estremisti del jihad islamico continuano a spargere sangue innocente e a tentare di uccidere i soldati della coalizione, compresi i nostri connazionali. Proprio ieri, tramite il generale Ray Odierno, l’Amministrazione Obama ha fatto sapere che i marine torneranno a presidiare la zona nord occidentale dell’Iraq, quella al confine tra il Kurdistan e le province sunnite, in aperta violazione dell’accordo di ritiro dai centri abitati firmato da Bush e dal governo di Baghdad.
Le bandiere arcobaleno restano ammainate, ma non perché chi le sventolava con passione si sia finalmente reso conto che la battaglia in corso è per la libertà e la democrazia, nostre e del mondo islamico. La dissoluzione estiva della “seconda potenza mondiale”, piuttosto, dimostra che il movimento pacifista non era affatto motivato dall’opposizione agli interventi militari occidentali per cacciare Saddam e i talebani dai loro regni, ma dalla volontà politica e ideologica di detronizzare Bush (e, in Italia, Berlusconi).
Non ci sono riusciti.
Lasciando per scadenza del mandato la Casa Bianca, Bush ha avuto il merito di liberarci anche del popolo della pace.
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