Che cosa possiamo capire dalle poche frasi che il presidente Obama ha dedicato alla politica estera nel discorso di fronte al Congresso della scorsa notte?
La lezione principale è che i riferimenti alla politica estera sono stati davvero pochi. Sì, è vero, era un discorso centrato sull’economia. Ma si trattava anche del primo discorso di Obama al Congresso, e il primo rivolto alla nazione dall’insediamento. Certo, Obama ha riconosciuto di sfuggita che per sette anni siamo stati “una nazione in guerra”. Ma questo fatto è stato appena accennato nel suo testo. L’analisi della politica estera è stata tutt’al più superficiale.
Ciò che invece ha detto Obama è che “sta riconsiderando attentamente le nostre politiche in tutte e due le guerre”. La “guerra” è solo una delle aree in cui il presidente sta conducendo e rivedendo le politiche pubbliche, a quanto pare non molto più urgente – e in realtà forse anche meno – di quelle dell’energia, dell’assistenza sanitaria o dell’educazione.
Dall’unica frase del discorso in cui ha parlato di Afghanistan, non si potrebbe mai desumere che la scorsa settimana il presidente ha ordinato l’invio di altre 17.000 truppe da quelle parti. Obama non sembra ritenere che la sua responsabilità di ‘comandante in capo’ sia in qualche modo speciale. Certamente non ha sentito neppure l’obbligo di iniziare a informare il pubblico sul teatro di guerra in cui sta per mandare altri soldati americani.
Al contrario, sia la guerra in Iraq che quella in Afghanistan sono state trattate come eventi di minore importanza rispetto alla “nuova era di impegno” che Obama assicura sia cominciata. A parte l’Iraq e l’Afghanistan/Pakistan, l’unico luogo che il presidente ha menzionato è stato Israele: “Per garantire una pace sicura e durevole tra Israele e i suoi vicini, abbiamo nominato un inviato (George Mitchell, Ndt) per confermare il nostro impegno”. Il conflitto arabo-israeliano e il suo inviato meritano una menzione. L’Iran e il suo programma nucleare invece non meritano neanche un accenno?
Questo non è stato il discorso di un uomo che nell’arco di un anno contempla la possibilità di usare la forza per impedire all’Iran di acquisire armi atomiche. Non è stato il discorso di un uomo che pensa che all’America vadano ricordati i pericoli che esistono nel mondo, visto che gli americani potrebbero essere persino chiamati ad affrontarli. E non è stato neppure il discorso di un uomo che pensa a se stesso come a un presidente di guerra. Ma in effetti lo è.
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