Il redattore di questo articolo (un semplice tifoso juventino, attento lettore di giornali) vi consiglierebbe di oltrepassare da subito le proprie considerazioni e dedicarvi immediatamente alla lettura delle dichiarazioni che seguono; e magari pure conservarle. Ma non può esimersi dall’aggiungere queste brevi note di premessa alle frasi elencate. A tre anni e mezzo di distanza da “Calciopoli” (neologismo coniato proprio per il paragone con lo scandalo di “Tangentopoli”, la città della corruzione politico-finanziaria che aveva indignato l’Italia negli anni 1992-93-94) chi scrive constata che di mazzette, di conti esteri e di passaggi di denaro non si è ancora trovata traccia; e nemmeno è stato rinvenuto alcun “pentito” della Cupola, l’associazione a delinquere che avrebbe controllato il calcio italiano (un fenomeno che ha un volume d’affari da oltre sei miliardi di euro, mezzo punto dell’intero PIL italiano). E però pure con un'altra evidente differenza rispetto a Tangentopoli, che indignò sì le persone ma dette vita a molteplici forme di reazione, punti di vista e opinioni antitetici, Calciopoli ha apparentemente unito gli italiani nella condanna morale e giuridica, nel pre-giudizio, nell’ostilità e nello scherno.
Chi scrive vorrebbe allontanare le analogie e i paragoni, da sempre esercizi pericolosi ed approssimativi.
Un metodo di approccio potrebbe essere quello che adotta generalmente la stampa americana nell’annunciare uno scandalo, esibendo da subito “i soldi”, “la pistola fumante”, “le ragazze”. In Calciopoli lo “scandalo” sarebbe perciò, sotto questi parametri, del tutto anomalo, unico e difficilmente comprensibile per chi si pone in maniera empirica davanti ai fatti.
Per tentare di comprenderne la genesi si può forse solo fare riferimento al pregiudizio del tifoso e alle sue passioni arcane, all’assuefazione agli scandali dei cittadini italiani e alla complice distorsione mediatica degli eventi. Già: il ruolo dell’informazione.
Nel 2006 la coscienza collettiva degli italiani aveva già condannato prima ancora di conoscere i fatti. Ma come mai questo è potuto succedere? Possiamo tentare di definire “opinione pubblica” la coscienza maturata da un gruppo di persone che assistono ad un determinato evento, a fatti e vicende di interesse generale. Quanto più vasto è l’interesse che un fenomeno suscita, quanto più l’opinione pubblica tende a comprendere ogni cittadino, ogni componente - di una città, di un gruppo sociale, di una nazione ecc. - il quale è lettore, spettatore, ascoltatore di quegli eventi, di quelle vicende che ne hanno colto l’attenzione.
L’opinione pubblica dovrebbe scaturire e formarsi dalla libera discussione, dalla possibilità di lasciare esprimere tutti i punti di vista riguardanti quel particolare fatto che desta interesse. E così pure l’opinione pubblica dovrebbe crescere e formarsi in conseguenza della rappresentazione che degli eventi viene fatta dai media, dalla televisione, dai quotidiani, dalle radio e ora, anche se parzialmente, dai siti web.
Il ruolo dell’informazione è quindi fondamentale nel formare l’opinione e la coscienza delle persone in relazione ai fatti e agli eventi che accadono quotidianamente. Nell’ambito politico è fin troppo facile constatare la differenza dei messaggi e delle notizie inviate dai diversi giornalisti, dalle testate e dai conduttori televisivi; spesso si può tentare di presumere anticipatamente cosa scriveranno o come commenteranno gli anchorman o i giornalisti ad esposizione degli eventi politici. L’Italia però assomiglia sempre più ad una Torre di Babele dove tutti urlano nel proprio idioma e nessuno ascolta l’altro, ciascuno discetta il proprio modo di vedere che è incomprensibile per chi è avverso alle proprie opinioni, poiché osserva le cose da un’ottica antitetica e anche solo da un angolo prospettico differente.
Si può quindi scrivere che, a memoria, ci sia stato un solo caso in cui uno scandalo ha trovato l’unanimità di giudizi e consonanza di punti di vista da parte dei quotidiani. Questa vicenda è stata “Calciopoli”. Tutte le testate hanno ampliato e dilatato i risultati di indagini ancora in corso per trarre conclusioni ed esprimere giudizi morali, giuridici ed etici di condanna lapidari ed apodittici; questi giudizi hanno sostituito integralmente “l’informazione” ossia l’analisi dei fatti, obiettiva, razionale e logica.
Il sentimento della passione calcistica è certo una delle emozioni più irrazionali e inspiegabili dell’animo umano, e l’avversione per la Juventus da parte dei tifosi delle squadre avversarie è un fatto noto, che può essere facilmente testimoniato da ogni juventino che ha sempre percepito questa ostilità. Ciò che stride è che persino uomini di cultura (come ad esempio Franco Zeffirelli o il professor Severino Antinori) avessero pubblicamente assunto in passato atteggiamenti di astio e di odio che apparivano così stridenti ed inverosimili per persone di animo ed estrazione culturale raffinati.
A seguito della pubblicazione (illegittima) della trascrizione di molte intercettazioni telefoniche nel maggio 2006 – per lo più riguardanti l’allora Direttore Generale della Juventus Luciano Moggi - la stampa ha assunto un atteggiamento aprioristico di condanna e di pregiudizio. In pochi erano interessati a conoscere e capire i fatti. Tutti volevano inveire contro la squadra vincente e dominatrice del calcio italiano negli ultimi dodici anni. I giornali hanno così ribaltato il loro ruolo, trasformandosi da organi di informazione in veri e propri megafoni di piazza, che urlavano ai quattro venti slogan che venivano invece contrabbandati come notizie ed informazioni. I fatti, i dati, gli episodi, sono così stati deformati, alterati, falsificati; le illazioni sono state presentate come fatti provati, i sospetti e dubbi come circostanze certe ed incontroverbili.
La Juventus era dunque “ladra” a priori; prima di ogni e qualsiasi processo, di ogni valutazione ragionata e ponderata delle scarne notizie che trapelavano, le quali non erano nemmeno prove processuali. Il linciaggio mediatico nei confronti dell’immagine sportiva della Juventus, di Luciano Moggi e di Antonio Giraudo non trova precedenti analoghi in Italia. Non c’era bisogno di alcun dubbio: la vergogna o l’indignazione dei giornali era incontenibile per lo scandalo appena svelato. Inutile reclamare la possibilità, anche flebile, del doveroso diritto di replica; e questo accadeva nello stesso paese che contemporaneamente permetteva settimanalmente ad Annamaria Franzoni di difendersi nel salotto della più importante trasmissione televisiva di informazione (Porta a Porta). Luciano Moggi era diventato un “mostro”. La Juventus aveva rubato i propri titoli sportivi conseguiti sul manto erboso grazie ad arbitri prezzolati, oppure sudditi di ricatti e lusinghe. La GEA era un’associazione a delinquere, una “Spectre” che controllava ogni mossa del calcio professionistico. I bilanci della Juventus nascondevano chissà quali tesori da utilizzare certamente per acquistare vantaggi, corrompere organi federali come i designatori (se non addirittura magistrati e forze di polizia). In definitiva, secondo il quadro abbozzato dai quotidiani, le partite di calcio degli ultimi campionati di Serie A a cui i tifosi avevano assistito erano posticce ancor più delle esibizioni wrestling.
A tre anni e mezzo di distanza dalla divulgazione delle intercettazioni, dopo che si sono già celebrati in primo grado due processi penali (GEA, bilanci della Juventus) i quali hanno fatto chiarezza e diradato le leggende metropolitane contrabbandate dai giornali come fatti e notizie, è doveroso riportare alla memoria il modo in cui la carta stampata ha presentato Calciopoli ai lettori italiani. Ricordando l’insegnamento di Francis Bacon: “Calunnia senza paura. Qualcosa rimane sempre.”
Nessun commento:
Posta un commento