..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

domenica 14 febbraio 2010

QUANDO IL BASKET ERA COSA LORO


Quando il basket era cosa loro, di Magic Johnson e Larry Bird, in Italia è arrivata la rivoluzione. Erano gli inizi degli anni Ottanta. Lo sport in diretta televisiva era un desiderio irrealizzabile. Tranne che per la nazionale, le tv non trasmettevano le partite di calcio. Ci si accontentava delle radioline sintonizzate su Tutto il calcio minuto per minuto e, a seguire, di un tristissimo secondo tempo in differita della partita più importante alle sei del pomeriggio su Raiuno, con il telecronista che fingeva sorpresa a ogni gol, malgrado li commentasse tre ore dopo la loro realizzazione.
Seguire il basket era ancora più difficoltoso. I Platini e i Maradona della pallacanestro giocavano in America. Noi non ne sapevamo niente, non li avevamo mai visti, non ne conoscevamo l’esistenza. A un certo punto, però, Canale 5 ha iniziato a trasmettere le partite Nba. Niente è stato più come prima. Lo sport è diventato spettacolo, anzi “showtime” come diceva Magic. Sono arrivate le maglie gialle dei Lakers, quelle verdi dei Celtics, quelle rosse dei Sixers, quelle blu e arancione dei Knicks. Altro che Novantesimo minuto.
Le prime immagini di incredibili schiacciate e stoppate, di fenomenali assist e tiri in sospensione, commentate da quel genio di Dan Peterson, hanno trasformato Magic e Bird, assieme ai più stagionati Kareem Abdul-Jabbar e Doctor J., nei nuovi e invincibili supereroi. Erano personaggi lontanissimi rispetto allo spirito amatoriale dei nostri calciatori, cittadini di un mondo non ancora interconnesso ma i primi ad aver assunto il ruolo di professionista globale come oggi Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Magic e Bird erano i più efficaci interpreti dello spirito del loro tempo, macchine da soldi e autori di gesti atletici sbalorditivi.
Prima del loro avvento, il basket nei campetti italiani era uno sport noioso. C’era sempre un portatore di palla che ci metteva una vita a superare la metà campo e poi era tutto un girare di qua e di là fino a quando qualche ardito si lanciava verso il canestro in terzo tempo. Aver visto in tv Magic e Bird, Kareem e Doctor J., ha trasformato il basket in uno sport cool, veloce, sopra le righe, anche nei campetti dell’oratorio. A volte con risultati comici, visto che tutti hanno iniziato a imitare i passaggi no-look di Magic, i tiri da oltre il raccordo anulare di Bird, i ganci cielo di Kareem, le acrobazie e gli effetti impressi alla palla da Doctor J.
Tutto è diventato più divertente, anche i numeri sulle magliette. Prima della rivoluzione Nba, i numeri dei giocatori italiani andavano dal 4 al 15, con i due cestisti più forti a contendersi il 9 e l’11, come il centravanti e l’ala sinistra del calcio. Un’ammissione di inferiorità antropologica nei confronti di chi giocava a pallone.
Quando Magic e Bird si sono appropriati del basket, sui campi italiani hanno cominciato a immaginarsi col 32 di Magic sulle spalle o col 33 di Bird e Kareem. E’ finita che anche il calcio ha adottato i numeri a due cifre come nel basket Nba, al punto che ogni numero 23 che vediamo rincorrere un pallone in uno stadio di calcio, da David Beckham a Massimo Ambrosini, è un omaggio a Michael Jordan e ora a James LeBron, i due successori di Magic e Bird. E oggi tre ragazzi italiani nati alla fine di quegli anni, Danilo Gallinari, Andrea Bargnani e Marco Belinelli, giocano da protagonisti nell’Nba.
Nei primi anni Ottanta il giocatore più forte, l’unico inarrestabile, era Kareem Abdul Jabbar, il centro dei Lakers di Los Angeles. Il più spettacolare era Julius Erving, detto Doctor J, dei Filadelfia 76ers, capace di schiacciare il pallone a canestro con una grazia mai più vista su un parquet. Ma sono stati Earvin detto Magic Johnson dei Lakers e Larry Bird dei Celtics a dominare il gioco, al punto da aver salvato l’Nba dalla bancarotta. Sono stati loro due i campioni che si sono spartiti più titoli individuali e di squadra e si sono resi protagonisti di una rivalità umana e sportiva che ha fatto epoca. Hanno cominciato nel 1979, si sono ritirati entrambi agli inizi degli anni Novanta per ragioni extrasportive.
I due si odiavano. In realtà era Bird ad odiare Magic, più che il contrario. Bird era un giocatore scontroso, duro, cattivo. Magic era tutto un sorriso. Bird teneva sotto pressione i compagni e umiliava gli avversari, annunciandogli qualche secondo prima del tiro come e da che punto del campo avrebbe fatto canestro sotto il loro naso. Magic si faceva amare anche dagli avversari, non solo dai suoi.
Bird era un martello pneumatico, trafiggeva il canestro da ogni parte del campo, lottava ai rimbalzi come un leone ed era un fenomeno a trovare l’uomo libero a cui passare la palla. Magic era il cerimoniere dello showtime, segnava meno di Bird, ma intuiva dove si sarebbero piazzati i compagni prima ancora che i compagni avessero deciso cosa fare. Loro non ci potevano credere, con Magic finiva sempre che si ritrovavano la palla tra le mani a un metro dal canestro.
Non si sono mai visti giocatori così completi. Bird era ovunque, a canestro e a rimbalzo, in attacco e in difesa. Di fatto era l’allenatore in campo ed è stato l’unico personaggio del basket americano ad aver vinto sia il premio da miglior giocatore sia da miglior allenatore quando ha guidato gli Indiana Pacers. Anche Magic era il leader in campo, ma è stato meno fortunato in panchina: da allenatore ha guidato i Lakers per sei partite, perdendone cinque. In campo però era davvero un mago. Al suo primo anno nell’Nba, nella finale decisiva a Filadelfia contro i Sixers di Doctor J., i Lakers si erano presentati senza l’infortunato Jabbar. Il morale era a terra, la sconfitta certa. A sorpresa, al posto di Jabbar sotto canestro fu schierato Magic, malgrado il suo ruolo fosse di playmaker. Fece 42 punti, diventò campione Nba e fu eletto miglior giocatore del torneo da matricola.
Bird era furioso per l’invidia. I suoi Celtics avevano perso in semifinale con i Sixers e lui non aveva avuto l’opportunità di prendersi la rivincita su Magic che covava da un paio d’anni, dai tempi dell’università. La rivalità tra i due, infatti, è cominciata al college. Bird era la star dei tornei universitari, ma a poco a poco emerse Magic. L’uno giocava con Indiana State, l’altro all’università di Michigan State. Nel 1979 le due squadre si affrontarono in finale, prevalse Magic. La sfida è continuata nell’Nba e diventava rovente quando Boston e Los Angeles si sono sfidate nelle tre finali su quattro tra il 1984 e il 1987. Alla prima occasione, nel 1984, vinse Bird anche grazie a una performance scadente di Magic negli attimi decisivi. Nel 1985 e nel 1987, Magic si è preso una doppia rivincita.
Il campionato, secondo Magic, era composto da 80 giornate regolari più due match Lakers contro Celtics. Bird ha ammesso che la prima cosa che faceva la mattina era leggere sui giornali quanti punti aveva realizzato Magic la sera precedente. I due non potevano essere più diversi: l’uno emblema dello spettacolo hollywoodiano, radioso ed elegante; l’altro un rappresentante della working class, scorbutico e senza fronzoli. La rivalità tra le due squadre è diventata una metafora dei differenti stili di vita statunitensi, quello effimero e scanzonato della costa ovest e quello operaio e real american dell’East coast. Modernità contro tradizione. Classe elitaria contro middle America. L’estroverso Magic non avrebbe potuto giocare a Boston. Il timido Bird sarebbe stato fuori luogo a Los Angeles.
I Lakers giocavano veloci, in contropiede, a tutto gas. I Celtics badavano al sodo, puntavano sul fisico e la difesa. I Lakers giocavano un basket nero. I Celtics un “white basketball” che nei sobborghi razzisti di Boston piaceva molto. Le due squadre riflettevano la spaccatura razziale americana. I campioni dei Lakers erano neri, anche se allenati da un bianco. I leader dei Celtics erano bianchi, ma allenati da un nero. La rivalità tra le due squadre andava oltre il colore della pelle dei singoli giocatori, era centrata su una filosofia di vita nera contrapposta a una bianca. Nel film “Fa’ la cosa giusta” di Spike Lee c’è una scena di tensione razziale tra un ragazzo nero e uno bianco che indossa la maglia dei Celtics. I due litigano su Magic e Bird. Nel 2004, in diretta televisiva, Lee ha detto che Bird è stato il giocatore più sopravvalutato di tutti i tempi, grazie agli osanna della stampa bianca.
Col tempo l’atteggiamento tra i due giganti è cambiato, Magic e Bird sono diventati amici, paradossalmente durante le riprese di una pubblicità Converse che aveva pensato di sfruttare la loro leggendaria rivalità. Ce n’è voluto di tempo prima che lo facessero sapere in giro.
Quando Magic ha contratto il virus Hiv, Bird è stato uno dei primi a saperlo e a disperarsi per l’amico. Ma il primo dei due a ritirarsi è stato Bird, nel 1992, per i problemi alla schiena che lo hanno tormentato per tutta la carriera. Magic è tornato a giocare, smettendo definitivamente nel 1996.
Ora Magic e Bird hanno raccontato l’avvincente storia della loro inimicizia diventata amicizia in un libro a quattro mani dal titolo “When the game was ours”, quando il gioco era cosa loro, appena uscito in America. I loro numeri sono impressionanti. In 905 partite Nba, Magic ha fatto 17707 punti, ha preso 6559 rimbalzi e servito 10141 assist, con un media di 19,5 punti, 7,2 rimbalzi e 11,2 assist a partita. Ha vinto cinque campionati con i Lakers e tre titoli come miglior giocatore Nba. Bird ha giocato 897 partite, segnando 21791 punti, prendendo 9874 rimbalzi e smarcando 5695 volte i suoi compagni per un canestro, con una media a partita di 24,3 punti, 10 rimbalzi e 6,3 assist. Con i Celtics ha vinto 3 campionati Nba e tre titoli da miglior giocatore. Nel 1992, a Barcellona, Magic e Bird hanno fatto parte del leggendario Dream Team con cui hanno vinto un’Olimpiade. Assieme.

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