La serata di Luglio è calda, afosa. E l’Italia suda, inchiodata davanti al televisore. Siamo ai tempi supplementari e in campo c’è la Juventus: Buffon, Cannavaro, Thuram, Zambrotta, Vieira, Camoranesi, Del Piero, Trezeguet. Ebbene sì, a essere precisi ne mancano un paio per completare il quadro: Nedved e Ibrahimovic, in fondo due tipi qualunque, la cui nazionalità non permette loro di essere in campo, perché qui si gioca Italia-Francia, la finale del Mondiale 2006.
Quella Juventus ha appena vinto lo scudetto, stradominando il campionato 2005/2006 – come l’anno prima del resto. L’unica squadra ad averle tenuto testa è il Milan, reduce dalla finale di Champions nella stagione precedente. L’Inter finisce parecchio sotto – come l’anno prima del resto – a meno quindici.
Luciano Moggi è scaltro, autoritario, antipatico come la sua Juventus, e conosce il calcio come nessuno. Non c’è dubbio. E il Direttore ha costruito negli anni la Juventus che molti indicano come la più forte della storia, un’armata vincente che tritura gli avversari. Ma Moggi lo conosciamo bene: è anche cinico calcolatore, previdente, e forse ha ben chiaro che non basta costruire una squadra di campioni per garantire gloria e vittorie ai tifosi. Luciano sa perfettamente che è assolutamente necessario preparare, edificare ed alimentare un sistema favorevole alla propria squadra facendo leva sulla sua influenza a tutti i livelli del mondo del calcio, un sistema in cui le designazioni arbitrali possano essere sapientemente pilotate, e arbitri compiacenti possano aiutare la squadra sia direttamente, come ad esempio concedendo rigori a favore o chiudendo un occhio nelle segnalazioni di fuorigioco, sia indirettamente, ad esempio comminando ammonizioni artatamente a giocatori diffidati di squadre che devono affrontare la Juventus nella partita successiva, indebolendone così la loro pericolosità.
Per mettere in piedi un tale apparato di favori, è necessario poter contare su un complesso e articolato ecosistema di relazioni a tutti i livelli. Ma le relazioni si alimentano comunicando, anche telefonicamente.
E dunque grazie all’opera di valenti esperti di squadre investigative che mettono sotto osservazione numerose utenze telefoniche, ecco che viene svelata – come si sospettava da tempo – l’esistenza di una vera e propria “cupola” che fa capo al boss “Lucky” Luciano, padrone indiscusso del calcio italiano.
Questo fu a grandi linee ciò che dalla totalità di stampa e media ci fu raccontato nella primavera di quel 2006, mentre veniva montato “Calciopoli”, il più grande scandalo sportivo di tutti i tempi. Anzi, con la massima solerzia, i giornali si precipitarono a pubblicare le intercettazioni addirittura prima che la fase istruttoria fosse conclusa. Ma, si sa, siamo in Italia e ci si diverte un mondo all’idea che i processi si consumino prima nelle piazze che nei tribunali.
Orbene, la Juventus rubava, e quindi vinceva. Del resto, lo dicevano tutti da sempre: era il sentimento popolare. In fondo, un teorema molto semplice da capire. Semplice specialmente per chi, come ad esempio l’Inter, non riusciva più a giustificare ai propri tifosi i continui fallimenti sportivi di molti anni, nonostante le tanto faraoniche quanto improbabili campagne acquisti. Non rimaneva allora che attendere l’esito della giustizia sportiva: le carte parlavano chiaro, erano addirittura da Serie C – come ammetteva persino l’avvocato Zaccone chiamato a difendere (difendere?) la Juventus – e allora ci voleva una punizione esemplare. La sentenza fu infatti fulminea e l’esito inesorabile. A ben vedere, avendo magari a disposizione qualche giorno in più di quella calda estate per analizzare più attentamente le migliaia di pagine dell’accusa redatte sulla base delle scrupolose indagini ed intercettazioni coordinate dall’allora maggiore dei carabinieri Auricchio (oggi colonnello), qualche incongruenza pareva saltare subito all’occhio e finanche lo stesso collegio sportivo giudicante aveva dovuto fare pesante ricorso alla creatività giuridica, introducendo di fatto una nuova norma che assurgesse la somma di più peccati veniali (perché quelli erano alla fine i riscontri dell’accusa) ad un peccato mortale. Altrimenti non c’era verso di potere castigare la Juventus: alterazione della classifica senza la parvenza di alterazione di alcuna singola partita. Ad ogni modo, il grande manovratore, il professionista dell’illecito sportivo “Lucky” Luciano, era finalmente indicato come il boss della “cupola” che aveva sapientemente architettato, e la Juve vinceva perché “ruvvava”. Finalmente vi era una spiegazione per ogni tifoso delle squadre avversarie, una giustificazione al perdurare delle numerose sconfitte sportive patite. Giustizia era fatta. D’ora in poi il calcio sarebbe stato più onesto, ma soprattutto dominato da una squadra di onesti.
Questa è la storia che sapevamo, che ci avevano raccontato negli ultimi quattro anni.
Fino a ieri. Ebbene sì, perché ieri Martedì 23 Marzo 2010, durante l’udienza del processo di Napoli, lo stesso tenente colonnello Auricchio, rispondendo alle domande rivoltegli dagli avvocati difensori, ha permesso di fare luce su alcuni fatti molto interessanti, dai quali si evince in modo inequivocabile che il terribile Luciano Moggi, qualora avesse mai voluto architettare una “cupola”, di certo l’avrebbe costruita piuttosto male. Anzi, al rovescio. Un sistema non a favore, bensì a sfavore della Juventus.
Ma andiamo con ordine. Già da qualche settimana eravamo stati illuminati dal tenente colonnello sulla scrupolosa e raffinata metodologia da lui applicata alle proprie indagini, fondata essenzialmente sugli esami delle intercettazioni telefoniche e conseguenti riscontri basati sul copia e incolla di articoli della Gazzetta dello Sport e del Corriere dello Sport (sì, avete letto bene), notoriamente imparziali nei loro commenti (imparziali per chi? Il primo esce a Milano, l’altro a Roma). Il tutto a provare l’esistenza del complesso sistema di relazioni a sostegno della cosiddetta “cupola” governata da Moggi per pilotare il campionato ad esclusivo vantaggio della Juventus.
Tuttavia, proprio dal dibattimento del 23 marzo si apprende ad esempio che il tenente colonnello non fosse a conoscenza del fatto che, durante il campionato indagato, la Juventus avesse ottenuto una media punti per partita pari a 1,89 quando veniva arbitrata da terne arbitrali presunte affiliate alla “cupola” – arbitri e assistenti indagati nel processo in quanto ritenuti facenti parte del sistema Moggi –, mentre la media punti saliva a ben 2,63 quando la Juventus veniva arbitrata da terne ritenute neutre, cioè da arbitri e assistenti non ritenuti facenti parte del sistema Moggi. Il tenente inoltre non avrebbe fatto attenzione al fatto che la Juventus era all’ultimo posto nella graduatoria delle espulsioni “favorevoli”, ossia inflitte da arbitri presunti amici verso squadre avversarie, e pressoché nella media nella graduatoria delle ammonizioni “favorevoli”, e comunque dietro l’Inter, giusto per nominare una squadra avversaria.
Altro dato rilevante e inequivocabile dimostra che con arbitri presunti amici la Juventus riuscì a conseguire 36 punti, in linea con la media per un posto in Coppa Uefa, mentre con arbitri neutri i punti conseguiti furono 50. E nelle ultime nove partite, quelle decisive per il testa a testa finale con il Milan, il presunto boss “Lucky” Luciano sarebbe riuscito a posizionare solamente tre arbitri presunti amici a dirigere le partite della sua Juventus, con esito disastroso: 4 punti su 9 disponibili.
Se tutto ciò deve dimostrare l’esistenza di una cupola, la cupola che viene fuori è indubbiamente “sui generis”. Evidentemente Moggi non si era applicato proprio bene nell’architettarla, anzi, alla luce di quei miseri risultati, gli era venuta proprio male.
Un altro fatto interessante che si evidenzia durante la testimonianza del teste dell’accusa Auricchio (sì avete capito bene, non è testimone a favore della difesa) riguarda il destino degli arbitri presunti amici. Quando un arbitro commetteva un errore a svantaggio della Juventus, veniva spesso punito con un turno di inattività, e a volte neanche quello, quindi arbitrava regolarmente una gara di campionato la giornata successiva. Quando invece l’errore era a favore della Juventus, ebbene le sanzioni disciplinari erano di norma ben più severe, fino a nove giornate di stop. Non certo una bella vita per quegli arbitri e assistenti che si fossero malauguratamente affiliati alla “cupola”. Per loro si sarebbero prospettate solo minori opportunità di arbitrare, e quindi di avanzare nella carriera, e nemmeno la magra consolazione di un beneficio materiale o pecuniario. Infatti, per dovere di cronaca, i libri contabili della società Juventus sono passati nel frattempo sotto i raggi X dagli investigatori nell’ambito dell’indagine sulla presunta infedeltà patrimoniale a carico di Giraudo, Moggi e Bettega chiusa qualche mese fa, il cui esito processuale è stato la completa assoluzione dell’ex-dirigenza in toto perché “il fatto non sussiste”.
A latere di quanto esposto, si apprende inoltre che nel corso delle indagini non furono mai acquisite alcune telefonate che pur dovevano essere intercorse tra alcuni alti dirigenti dell’Inter – Facchetti e Moratti – e il designatore arbitrale Bergamo, come esplicitamente riferito da quest’ultimo ad altro interlocutore in alcune intercettazioni messe agli atti del processo. Il tenente colonnello, a sua discolpa, afferma che “tutte le telefonate intercettate sono state riportate, e quelle che non sono state riportate sono state compendiate. Facchetti avrà chiamato su altro numero”. Era evidentemente poco interessante per il tenente approfondire questa misteriosa circostanza. Appare tuttavia quanto meno realistica l’ipotesi di indagini eseguite a senso unico, essenzialmente mirate a colpire esclusivamente un soggetto ben preciso. E in effetti ciò lo si poteva già ampiamente dedurre da altre dichiarazioni rese in precedenza al processo, come ad esempio dall’arbitro Coppola, che durante un interrogatorio dei carabinieri in cui voleva riferire di pressioni esercitate direttamente su di lui da parte di dirigenti dell’Inter gli fu risposto dagli stessi carabinieri (forse Auricchio stesso?) che “a noi questo non interessa”.
Si potrebbe continuare virtualmente all’infinito su questa linea, poiché ciò che è emerso finora nell’arco di quasi un anno di dibattimento processuale al tribunale di Napoli non porta altro che ulteriori conferme agli elementi finora sommariamente accennati.
Eh sì, Luciano Moggi doveva certamente avere fatto male i suoi calcoli! La sua presunta “cupola”, da cui si diceva dominasse e controllasse il campionato di calcio in favore della sua Juventus, faceva evidentemente acqua da tutte le parti. Se fosse esistita veramente, avrebbe generato più svantaggi che vantaggi alla sua stessa Juventus. Questo è dimostrato dalle testimonianze rese in tribunale, fatti comprovati, dati reali e oggettivi, e non “sensazioni” soggettive, pari alle chiacchiere da bar.
Luciano Moggi, certamente un campione di competenza tecnica e sportiva, si rivela un vero e proprio disastro come presunto boss di un’associazione a delinquere. La sua, se mai esistita, è una cupola “inversa”. Mentre non si può escludere che di vere “cupole” e associazioni a delinquere in quell’ambito ne esistessero veramente, e forse ne esistano ancora, ben più attrezzate e competenti.
In linea con la propria storia centenaria fatta di successi e con il blasone riconosciuto da sempre in ogni angolo del mondo, la Juventus di quegli anni era stata costruita da Moggi, Giraudo e Bettega per vincere, e vinceva sul campo. Durante l’estate del 2006 si consumava quello che si sta delineando sempre più chiaramente come un assassinio, invece di un’esemplare e giusta punizione.
Chi amava la Juventus, lo capì subito. Tra coloro che non la amavano, i più attenti ne avevano la prova già in quell’afosa serata di Luglio.
Tutti gli altri lo capiranno presto.
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