..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 23 aprile 2010

L'IRAN MINACCIA IL GOLFO

Strozzare la giugulare petrolifera del pianeta: la strategia iraniana dopo il 1979 punta con pervicacia a questo obbiettivo come massima deterrenza strategica, in caso di attacco militare, ad esempio contro i sempre i più minacciosi siti nucleari e le sempre più agguerrite basi missilistiche di Ahmadinejad e Khamenei. La geopolitica regala infatti all’Iran questa eccellente possibilità: in caso di attacco militare, Teheran può reagire bloccando lo stretto di Hormuz, che è largo 30 chilometri, ma che può essere navigato solo per due “vie d’acqua” larghe solo 3 chilometri ciascuna in cui possono passare le petroliere col loro pescaggio. Una pacchia dal punto di vista militare, perché per questi due minuscoli canali passa il 40% del greggio esportato in tutto il mondo. Da trenta anni dunque, quella parte dello sforzo bellico iraniano che non è assorbita dai missili a lungo raggio e dal nucleare, viene impiegata dal regime degli ayatollah per rafforzare la flotta con i criteri della guerra da corsa: velocissimi motoscafi (purtroppo forniti anche da una ditta italiana), siluri, missili a corto raggio, elicotteri.
Non è una strategia nuova: negli anni ‘60 lo scià Reza Pahlevi occupò per anni l’Oman per garantirsi il controllo dello stretto di Hormuz ed è ancora viva la memoria degli effetti della chiusura del Canale di Suez dopo la guerra dei 6 giorni del 1967 e fino al 1975 che comportò la decisione di costruire mega petroliere sino a 150.000 tonnellate che trasportassero il petrolio dal Golfo in Occidente, circumnavigando l’Africa. Esattamente come è vivo il ricordo del 1973, quando il ricatto sul petrolio e la sospensione delle sue forniture si rivelò potente come una bomba atomica nei confronti dell’occidente (e di Israele che fu costretta a ritirare le sue truppe arrivate con i carri armati di Ariel Sharon a 80 chilometri dal Cairo). E’ importante comprendere però che l’Iran non punta solo sui suoi Pasdaran per poter chiudere a piacere lo stretto di Hormuz in caso di un attacco militare ai suoi impianti nucleari. Da anni Teheran lavora infatti alla costruzione di una Hezbollah del Golfo che fa leva sulle consistenti minoranze sciite in Kuwait e Arabia Saudita, che vivono proprio a ridosso dei grandi campi petroliferi nord-orientali, e sulla maggioranza sciita in Baharein per costruire un movimento di massa (ovviamente armato) che sia in grado di minare dall’interno gli emirati produttori di petrolio. Subito dopo la rivoluzione del 1979 questo movimento sorse spontaneamente e diede vita a rivolte popolari sciite in Kuwait e Baharein, represse nel sangue, così come repressi e sempre tenuti sotto il tallone sono i più di 2 milioni di sciiti che abitano in Arabia Saudita. La guerra Iraq-Iran e poi la guerra del Golfo del 1991 obbligarono alla sordina queste tensioni, ma rimessosi dal disastro della guerra contro l’Iraq, a partire dal 2000, l’Iran ha ripreso i suoi tentativi di espandere la rivoluzione khomeinista nel Golfo. L' 11 febbraio del 2009 Ali Akbar Nouri, ex presidente del Parlamento iraniano e consulente di Khamenei, ha “messo in chiaro” questa strategia definendo il Bahrein una “ex provincia” dell’Iran che, solo per via della debolezza dello Scià, non era stata inglobata da Teheran quando nel 1971 il territorio divenne indipendente dalla Gran Bretagna. Una chiara minaccia annessionista che ebbe effetti deflagranti non solo nei paesi arabi del Golfo e che resta sempre sottintesa nelle manovre militari dei pasdaran dei prossimi giorni. Dunque, una chiara strategia politico-militare a cui il neo presidente americano risponde con una allarmante confusione strategica, tanto che lo stesso Robert Gates, Segretario alla Difesa di Obama, dichiara che in realtà gli Usa “non hanno un piano B” nel caso fallisca (ed è indubbio che è fallita) la politica del dialogo voluta dal presidente americano.

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