Mancano poche ore all’inizio dei campionati mondiali di calcio 2010 in Sudafrica, quando alle ore 16 italiane i padroni di casa scenderanno in campo per contendere i primi punti al Messico, inserito nel loro girone insieme a Francia ed Uruguay.
C’è chi è in fremente attesa dell’evento: i malati del pallone, quelli per i quali la moglie deve accettare di buon grado che il lunedì sera la televisione sia loro perché c’è Massese-Carrarese, e alla ingenua domanda “ma che ti frega?”, si sentono rispondere concitatamente “ma come, è un derby!”; gli amanti del folklore, per i quali la kermesse mondiale è comunque e sempre un avvenimento da non perdere; tutti coloro nei quali il senso di appartenenza nazionalistico resta sempre nascosto, salvo riaffiorare prepotentemente ad ogni competizione sportiva internazionale; e via di seguito altre categorie, più o meno eterogenee, dagli scommettitori ai giornalisti, che finalmente avranno di che rendere pingue il numero delle pagine (inutili) dei loro quotidiani.
Chi più chi meno, i tifosi delle squadre di club italiane seguiranno tutti con passione la nazionale italiana. Tutti o quasi. Non è difficile infatti immaginare, memori del passato e dei ricorsi storici negli animi del belpaese, come minimo tre categorie di tifosi che saranno, per usare un eufemismo, almeno almeno tiepidi verso gli azzurri (salvo trasformarsi in ultras e cassandre del giorno dopo in caso di vittoria, che naturalmente sosterranno di avere predetto fin dal primo giorno).
La prima di queste categorie sono gli antijuventini, per i quali è già stato difficile accettare Marcello Lippi come ct, uomo da sempre accostato alla Juventus per il suo passato, e che da quattro anni si dividono un po’ vigliaccamente tra coloro che riconoscono la vittoria figlia solo ed esclusivamente del fattore “C” e quelli che nascondono dietro un sorrisetto a mo’ di paresi il fastidio di quella vittoria ottenuta con un allenatore di sangue bianconero e mezza Juventus in campo (che però in campionato vinceva solo grazie alle “grigliate” di Moggi, si capisce!). Fra l’altro, Lippi anche quest’anno ha scelto di portare ai mondiali uno zoccolo duro della squadra bianconera, nonostante la stagione disastrosa di molti di questi (Chiellini e Marchisio a parte, francamente Iaquinta, Camoranesi e Cannavaro sono stati quasi sempre sotto tono oppure infortunati, così come del resto Buffon, sulla carta comunque ancora la migliore alternativa tra i pali).
Poi ci saranno gli juventini rancorosi, per i quali con l’anno 2006 si è chiusa per sempre (almeno fino a cancellazione degli esiti dell’inquisizione sportiva di quella estate) la stagione della passione verso il calcio giocato (passione che però, essendo nel DNA, può solo essere temporaneamente sedata, e verosimilmente con l’inizio del mondiale tornerà più o meno vividamente in superficie). Infine, ci sono gli interisti, categoria a sé, qualcuno dei quali certamente spererà di concludere la stagione trionfale per la loro squadra con la conquista del mondiale per nazioni, ma la maggioranza dei quali si ritroverà probabilmente combattuta nel tifo, dibattuta fra la devozione verso i propri beniamini, sparsi in giro per il mondo, e l’Italia che, calcisticamente parlando, per la seconda squadra di Milano da tempo altro non rappresenta che il territorio in cui è ubicato il proprio stadio.
C’è infine un ultimo aspetto da tenere in considerazione rispetto alle aspettative delle persone verso l’evento calcistico, ovvero i sentimenti nutriti nei confronti del paese ospitante. Drogata di gossip, trasmissioni sportive urlanti e reality show molto oltre il limite del buon gusto e buoni solo a non risvegliare (per carità!) l’attività cerebrale del telespettatore, una rilevante percentuale di italiani conosce la storia del paese ospitante in maniera un tantino distorta, per usare un eufemismo.
Con le mie orecchie ho sentito di tutto: quelli che “non mi va giù che abbiano scelto un paese che sorride di facciata, ma è terribilmente razzista”; quelli che “wow il paese del mito di Soweto”, quelli che “E’ dall’altra parte del mondo, non seguirò nulla perché io di notte dormo”.
E pazienza se queste affermazioni e tante simili hanno lo stesso spessore di profondità con cui sono state condotte le indagini di farsopoli dal team di Auricchio & company.
Chissà se alcune di queste pavide menti avrà modo di scoprire un giorno l’epopea vissuta da questo popolo negli ultimi 200 anni, dalla pesantissima eredità boera e inglese, al neonazismo del dopoguerra domato da Mandela ed i suoi a prezzi pesantissimi di vite umane, e logicamente ancora ben radicato nella società, visto il precario equilibrio raggiunto dalla pace tra Mandela e De Klerk nemmeno vent’anni indietro. E chissà se qualcun altro avrà modo di documentarsi, al di là degli slogans del 1968, su cosa abbia rappresentato davvero Soweto, di quali eroismi e di quanto amore sia capace un uomo (e tante donne, per quanto riguarda Soweto e la storia dell’indipendenza del Sud Africa!), al prezzo di quanta altrettanta incredibile violenza e crudeltà.
Consiglierei a queste persone la lettura del romanzo “Un arcobaleno nella notte”, documentata e delicata ricostruzione degli ultimi due secoli di questo paese dello scrittore e storico Dominique Lapierre. Così, tanto per alternare una volta ogni tanto la lettura di quel quotidiano poco pulito, rosa, ed altre amenità che con detto quotidiano condividono la stessa profondità e ricchezza di contenuti delle affermazioni poco sopra richiamate.
Immagino invece che almeno per il fischio d’inizio sarà un po’ più chiara la differenza tra paralleli e meridiani, e quali tra essi sia responsabile nella determinazione del fuso orario. E poi dicono che il calcio non fa cultura, ma come si permettono…
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