Noi italiani siamo forti, diciamocelo una volta per tutte.
Apparteniamo ad una delle terre più piccole del pianeta e nonostante questo siamo riusciti, nei secoli, ad essere ammirati e copiati da decine di popoli.
Sul piano sportivo, poi, siamo riusciti a creare leggende e miti, come quasi nessun altro Stato è riuscito a fare.
Miti e leggende che hanno esaltato milioni di fans, hanno aperto brecce in porte chiuse da sempre, hanno dato visibilità e popolarità anche a sport minori, facendoli addirittura entrare, attraverso la televisione, nelle case all'ora di cena.
Alberto Tomba, un bolognese, ha scritto le pagine più epiche dello sci, italiano e mondiale, diventando il più grande slalomista della storia; Valentino Rossi è riuscito a cancellare i miti americani, la leggenda di Giacomo Agostini, portando lo sport del motociclismo a livelli mai visti; Marco Pantani ha saputo riportare il ciclismo ai fasti di un tempo, esaltando, come solo Coppi e Bartali (altri due "tricolore") avevano saputo fare, milioni di appassionati.
Persino un cavallo, Varenne, è riuscito nell'impresa di esportare il marchio Italia nel mondo, dagli Stati Uniti all'Europa, dominando qualunque avversario, in ogni pista, su ogni distanza.
E poi ancora: Valentina Vezzali nella scherma, Jury Chechi nella ginnastica, Adriano Panatta nel tennis.
Se a questo aggiungiamo le grandi imprese degli sport di squadra, il concetto risulta ancora più chiaro.
La nazionale di pallavolo guidata da Velasco incantò il mondo intero, vincendo a ripetizione europei e mondiali; il "settebello" scrisse ad inizio anni '90 le pagine più grandiose della pallanuoto mondiale; e come dimenticare quel 5 febbraio 1990, quando Paolino Cané, Nargiso e Camporese riuscirono nell'impresa di eliminare, in una Cagliari vestita d'azzurro, i mostri sacri della Svezia.
Oggi quel piccolo lembo di terra che si getta nel Mediterraneo sembra aver perso l'orientamento sportivo, tanto nei singoli che negli sport di squadra. Non entro nello specifico, mi basta soffermarmi sulla programmazione e prendere ad esempio lo sport nazionale per eccellenza: il calcio.
Nonostante l'enorme bacino d'utenza ed i milioni di euro che vi ruotano intorno, è evidente il fallimento, sia nei risultati sia nella ricerca, e nell'investimento, di nuovi talenti.
La politica del pallone annuncia che è in guerra. La Lega, per mezzo di un durissimo comunicato, si scontra con la Figc, boicottando il Consiglio Federale e richiedendo un incontro urgente con il governo. La tematica è il voler ridiscutere "alcuni aspetti, ormai obsoleti, della Legge n.91 del 1981 e del De creto Legislativo n.242 del 1999". E in quest’ambito, l’interlocutore unico non è la Federazione ma proprio il Governo. Nello specifico, la Legge 91 è quella che regolamenta gli sport professionistici, mentre il Decreto del 1999 è la base di riferimento per la suddivisione delle rappresentanze all’interno delle varie Federazioni. Ovvero la materia su cui la serie A pretende modifiche sostanziali.
Nel frattempo si cambiano regole (a stagione iniziata), si sonnecchia nelle stanze che dovrebbero garantire equità, ci si astiene dal dimettersi nonostante i fallimenti sportivi siano davanti agli occhi di chi paga regolarmente Loro gli stipendi: gli italiani.
E allora si dovrebbe cercare di ripartire, con delle riforme, con il vero spirito dello sport, magari da quel quinto, interminabile, combattuto ed ultimo set in cui Cané, in una Cagliari vestita d'azzurro, tirò fuori l'essere italiano di fronte ad un mostro sacro come Matz Wilander.
Un uomo che fece vedere al mondo intero l'appartenenza a quella piccola terra capace di essere, anche fosse per un giorno, al centro del mondo.
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