..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

lunedì 29 novembre 2010

MA DI COSA STIAMO PARLANDO?

M'ha strappato una risata, anche se ci sarebbe da piangere, Maurizio Beretta, presidente della Lega calcio, quando, a parere suo, ha detto che "Nel complesso è un bel campionato, con ottimi riscontri per ascolti Tv e presenza negli stadi...". Passino le prime due constatazioni, soprattutto la seconda, ma dire che negli stadi italiani si registrano degli ottimi riscontri è quanto meno surreale. I "buchi" che si notano sugli spalti in ogni partita (comprese quelle di Champions League, per non parlare dell'Europa League) è sotto gli occhi di tutti.
Ma il vero problema, sempre secondo il numero uno della Lega intervenuto a Radio Anch'io, sono gli impianti sportivi, gli stadi. "Purtroppo non è una novità, abbiamo il parco stadi più obsoleto d'Europa e non è più accettabile.". E, prendendo a riferimento il rinvio di Bologna-Chievo, aggiunge: "Il telone c'era, anche se nel 2010 sarebbero necessari campi riscaldati e stadi con architetture diverse. È un salto di qualità che va fatto. Speculazioni edilizie? Questi argomenti vengono utilizzati da chi è nemico del calcio, da chi non vuole gli stadi nuovi. Non ci sono villini o speculazione, l'idea è chiara. Negli altri paesi gli stadi sono stati finanziati con molto denaro pubblico, noi invece pensiamo che in questo momento sarebbe più giusto non togliere un euro ai cittadini, ma le risorse da qualche parte devono arrivare e una potrebbe essere legata ad altre iniziative che possano dare sviluppo e occupazione ma le chiavi dell'approvazione dei progetti sarebbero tutte nelle mani delle amministrazioni comunali, questo consentirebbe di avere impianti nuovi, sicuri con nuove tecnologie e senza gravare sulla finanza pubblica.".
Qui la risata si è fatta amara, e la domanda è sorta spontanea: ma lo sa quel che dice?
Prendiamo ad esempio un Paese, l'Inghilterra, e una società calcistica, l'Arsenal, e vediamo da dove giungono i proventi per costruire una "casa" in cui fare football, e non solo.

Il club di Londra si accorse che il calcio stava inevitabilmente cambiando, e la conseguenza fu quella di seguirne le orme. Antony Spencer, socio della Anthony Green & Spencer, specializzata nella vendita dei terreni, spronò il club a cambiare gli obbiettivi che si stavano creando per trovare una nuova "casa".
Applicando una fedele riproduzione in scala di Wembley alla cartina di Londra, nel settore N5, la possibilità di Ashburton Grove saltò immediatamente agli occhi. Un triangolo di terra delimitato dalla strada per la ferrovia di Glasgow, da Hornsey Road e da Queensland Road, che ospitava una discarica comunale e varie piccole imprese commerciali: l'area aveva le dimensioni giuste per costruirvi uno stadio, ma ottenere i permessi di edificazione sarebbe stato perlomeno difficile. Ma Spencer sapeva che l'Islington Council avrebbe fatto di tutto per trattenere l'Arsenal nel quartiere e il fatto che gli amministratori locali fossero propietari dell'80% dell'area spianò la strada del progetto.
Dopo aver deciso per Ashburton Grove, venne approvato un piano di lavoro che prevedeva l'inaugurazione nel giro di quattro anni, ovvero nell'agosto del 2004. Un termine decisamente ottimistico, vista la mole di lavoro necessaria per installare uno stadio da 60.000 posti in un quartiere della cerchia interna di Londra, oltretutto con una discarica da trasferire altrove. Nel dicembre del 2001, l'Islington Council diede il via libera al progetto. Ripensandoci, Peter Hill-Wood (The Chief) ricorda la realizzazione del sogno come un successo sorprendente. "La gente era molto critica nei confronti del progetto, del Council e di tutto il resto. Islington ci ha dato una grossa mano, visto che c'erano delle persone che riuscivano a capire le prospettive di riqualificazione della zona e i grandi benefici che ciò avrebbe portato. Abbiamo agito per il bene dell'Arsenal, ma queste cose vanno fatte tenendo conto anche degli interessi del contesto, altrimenti non si otterranno mai i permessi necessari.". Alla fine, la dirigenza aveva abbracciato il progetto di riqualificazione elaborato da Spencer. L'accordo prevedeva che l'area fosse rivitalizzata attraverso la costruzione di 2.500 nuove unità abitative, di un centro per lo smaltimento dei rifiuti che sostituisse quello che sorgeva dove sarebbe stato costruito il campo da gioco, così come ponti e vie d'accesso per favorire l'afflusso dei tifosi nei giorni delle partite. L'Arsenal doveva acquistare il terreno ad un prezzo per nulla economico e spostare più di 50 attività commerciali, che dovevano fare posto al progresso. Come osservò l'esperto di stadi Simon Inglis: "Per quanto l'Arsenal fosse una grande squadra di calcio, vent'anni fa pensare che avrebbe assunto un ruolo da protagonista nella riqualificazione di Islington sarebbe sembrato assurdo. Eppure, oggi il club è diventato il più grande costruttore privato edile della zona. E' un cambiamento di prospettiva veramente eccezionale.". Il costo di costruzione dello stadio, così come concordato con il vincitore dell'appalto Sir Robert McAlpine, fu di 225 milioni di pounds, che sarebbero saliti a 430 considerando l'ammontare delle spese
Come poteva fare un'azienda con un volume d'affari di 91 milioni di pounds e che perdeva più di 22 milioni (tasse escluse), a racimolare i milioni per la costruzione di quello che oggi è diventato l'Emirates Stadium?
Risposta: con tre uomini; Danny Fiszman, Ken Friar e Keith Edelman. Tre uomini capaci che si misero a lavorare come bestie, assommando lunghe giornate a notti insonni, per convincere le banche a condividere il rischio d'impresa.
La società fu capace di procurarsi dei fondi per conto proprio: nel 2000, una nuova offerta di azioni portò all'ingresso in società del network Granada (ora chiamato ITV), con una quota del 9,99% del club e con il 50% di Arsenal Broadband, una joint venture ideata per sfruttare i diritti per i new-media. In cambio l'Arsenal ricevette 77 milioni di sterline in due tranche: 47 milioni alla firma del contratto e altri 30 quando il progetto fu approvato. Nel 2004 venne firmato con la Nike un contratto di sponsorizzazione tecnica del valore di 55 milioni in 7 anni, ma il fattore decisivo (nonostante la somma elargita fosse sotto mercato) fu che venne pagata in anticipo. Sempre nello stesso anno, la società annunciò orgogliosamente di aver ricevuto un finanziamento di 260 milioni di sterline da un consorzio di banche scozzesi, irlandesi, portoghesi, tedesche e belghe: la natura multinazionale del gruppo rispecchiava la filosofia cosmopolita del club. "Il rischio d'impresa è sulle spalle della società d'affari - commentò Hill-Wood - così se le cose andassero male finiremmo con le banche proprietarie del terreno, ma non dell'Arsenal. E comunque le cose non andranno male.".
Ancora nel 2004 arrivò l'offerta di Emirates Airline: 100 milioni di sterline (che poi divennero 90) per i naming rights dello stadio per 15 anni (2,8 milioni all'anno), e per la sponsorizzazione della maglietta per 8 anni (i restanti 48 milioni).
Attraverso un processo di osmosi, i dirigenti dell'Arsenal erano ormai diventati esperti immobiliari, con un'inattesa vocazione descritta da Hill-Wood come "molto più redditizia della gestione di una squadra di calcio". Scherzava, ma non troppo. "C'è un enorme potenziale da sfruttare per l'edilizia residenziale, compreso  ovviamente il vecchio Highbury Square, che sarà trasformato in appartamenti.". 
Altri 125 milioni furono necessari per finanziare il progetto Highbury, che però, al contrario dello stadio, non avrebbe generato profitti fino al 2009, anno per il quale si sarebbero potuti contare più di 100 milioni di utile. Oggi sono state costruite 700 unità abitative (il terreno di gioco è diventato il giardino del condominio) ad un prezzo di 250.000 sterline per appartamento.
La nuova casa dell'Arsenal aveva ottenuto i fondi necessari nell'arco di due anni e mezzo e prese forma. L'incubo dei costi imprevisti che avevano bloccato la costruzione di Wembley venne evitato grazie alla stipula di un contratto a prezzo fisso, col quale Sir Robert McAlpine si era impegnato a farsi carico di ogni eventuale spesa extra, con delle penali proibitive in caso di ritardo. Ovviamente, il prezzo non sarebbe rimasto fisso nel caso che l'Arsenal fosse caduto preda della tipica tentazione dei clienti, inclini a cambiare idea durante l'esecuzione dei lavori. Il fatto che ciò non sia accaduto testimonia la capacità progettuale dei dirigenti, dimostrata fin dai primi passi di questa avventura. Alla fine, lo stadio fu consegnato nel luglio del 2006, con due settimane di anticipo sulla scadenza prevista.
Simon Inglis, esperto di stadi ed autore del fondamentale lavoro "Football Grounds of Britain": "Progettare e realizzare uno stadio così bello in una zona così piccola, con diversi livelli del terreno, linee ferroviarie ed infiniti altri ostacoli da superare, beh, ad essere onesti non riesco ad immaginare una sfida più impegnativa per dei costruttori di stadi dell'era moderna. Herbert Chapman ed i suoi contemporanei imposero i loro standard durante gli anni '30, Adesso, all'inizio del nuovo secolo, l'Arsenal lo ha fatto di nuovo. L'Emirates è veramente un gradino sopra qualsiasi altro stadio della Premiership, come lo era Highbury nel 1936. Quando ci sono stato per la prima volta, ho avuto l'impressione, con tutto il rispetto per il City of Manchester, di trovarmi nel primo vero stadio britannico del ventunesimo secolo: Mi sembrava di essere ai campionati del mondo, in un Paese straniero.".
La conclusione mi sembra scontata: Beretta, ma di cosa stiamo parlando?

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