Il Governo inglese ha detto basta. I deputati hanno stabilito che entro (e non oltre) il 29 febbraio 2012 si dovrà comporre una nuova licenza per i club professionistici inglesi, che dia diritto o meno alla partecipazione nei vari campionati d'appartenenza. In pillole: se la Federazione non realizzerà autonomamente quello che il Governo chiede, sarà lo stesso Governo a legiferare un regolamento-legge. In pratica basta debiti, perché un business deve creare utili altrimenti deve semplicemente essere chiuso. E di debiti, in quest'ultimo periodo, ne sono stati creati anche troppi: 3,5 miliardi di sterline. I punti messi in evidenza dal Governo non lasciano adito a dubbi:
a) introiti spesi per il pagamento dei salari; b) disoccupazione. Nel primo caso i dati sono drammatici. Il 68% degli incassi viene speso per i soli stipendi calciatori, e il totale dei soli club di Premier League raggiunge i due miliardi di sterline annue. Una gestione che nella sola stagione passata ha generato una perdita di circa 600 milioni di pound. Per carità, come sottolineato dal Governo un debito non è sempre sinonimo di mala gestione, ma solo nei casi in cui il debito viene creato per la costruzione di uno stadio o per un progetto che ha comunque un business plan che prevede un utile a breve-medio termine. Negativo, per non dire veicolo di fallimento, invece il debito che viene creato per il pagamento degli stipendi ai singoli atleti, una conseguenza che inevitabilmente tocca l'intero indotto del pianeta calcio. Gli esempi, fallimentari, non sono certo un mistero. Il Leeds United nella stagione 2000/01, giunse alle semifinali della Champions League. Dopo l'importante stagione europea, Peter Ridsdale, presidente del club, decise di chiedere numerosi prestiti da utilizzare nella campagna acquisti, con la prospettiva di recuperare i liquidi con i diritti Tv ed i premi per la qualificazione in Champions League. Nonostante l'importante stagione europea del Leeds, in campionato la squadra non riuscì a raggiungere la zona che permetteva l'accesso alla massima competizione continentale. Il mancato raggiungimento della qualificazione, mandò a monte i piani del presidente ed il club non riuscì ad ottenere abbastanza denaro per poter colmare i debiti. Il Portsmouth l'esempio più recente. Acquistato dallo sceicco multimiliardario Sulaiman Al-Fahim il 26 maggio 2009, la società ha vissuto poco dopo crescenti difficoltà economiche, che hanno spinto Al-Fahim a cederne il controllo ad Ali Al-Faraj. Il 3 febbraio 2009 fu la volta dell'affarista di Hong Kong Balram Chainrai, come conseguenza di un credito insoluto nei confronti della società, che assunse il controllo del 90% del pacchetto azionario, diventando così il quarto proprietario nel corso dell'anno solare 2009. Nel frattempo i problemi economici del Portsmouth raggiunserò livelli ingestibili e il 23 febbraio 2010 fu reso noto l'imminente ingresso del club in amministrazione controllata per evitare la bancarotta e il conseguente fallimento, notizia confermata il 26 febbraio dello stesso anno. Il controllo delle operazioni economiche passò interamente nelle mani di Andrew Androniku della UHY Hacker Young, un'agenzia specializzata in insolvenze, che si dovette occupare di ridurre al massimo i costi pianificando nel contempo la vendita dei beni del club per ripianare i debiti. Il 10 aprile il Portsmouth retrocesse matematicamente in seconda divisione. Ecco dove i debiti creati per il pagamento dei soli salari calciatori non producono alcun utile, anzi, aumenta il debito e mette in pericolo gli stipendi delle migliaia di persone che vivono in funzione del sistema calcio. Il Governo ha avvertito il pericolo e si è subito messo in moto, non solo per evitare ai club di ritrovarsi nelle condizione dei sopraccitati, ma soprattutto per scongiurare il fallimento dell'intera Premier League. Gli esempio odierni sono sotto gli occhi di tutti, a partire da quel Manchester City capitanato da chi la cosa interessa meno di niente, visto che per loro, il City, non è né più né meno che un giocattolo con cui passare qualche ora. La domanda posta è quindi più che legittima: meglio soddisfare le esigenze economiche di Nasri e Tevez, oppure salvare il posto di lavoro di migliaia di persone residenti? Il dubbio non sussiste, specie nel giorno in cui i dati dicono che l'8% del Paese non ha un lavoro. La situazione attuale, purtroppo, non è delle più rosee. Società come Bolton e Wigan hanno dovuto già tagliare posti di lavoro, diminuendo nello specifico i punti ristoro. Molti club di terza e quarta divisione (League One e League Two) sono in ritardo con il pagamento degli stipendi, e secondo gli osservatori economici inglesi questa situazione potrebbe nel breve periodo riguardare anche molti club di Championship (la seconda divisione) e di Premier, a partire da società come Chelsea e appunto Manchester City. In Inghilterra, alle parole, stanno facendo seguire i fatti, vedremo se anche l'Uefa manterrà i proclami di Platini e soci.
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