Sono un cittadino italiano, residente, ho un lavoro dignitoso, una famiglia, o meglio convivo, ho anche un figlio e mi è rimasta la mia mamma, mio padre non c’è più, la mattina del 14 agosto ci ha salutato.
La mia vita è fatta di piccole cose, la passione per la musica, suono la chitarra, anche se quel verbo è un po’ troppo per un autodidatta come me, l’interesse, fin da quando ho cominciato a ragionare, sempre che questo sia realmente accaduto, per la politica, la finanza e l’economia, anche se non sono del “ramo”, gli amici, le serate in discoteca, i concerti di Vasco Rossi (a 12 anni ne rimasi folgorato e ancora oggi porto con me, onorato, le bruciature), le ragazze, anche se adesso sono innamorato e mi limito a dare un’occhiata, i film che raccontano i pezzi della storia italiana.
Mi è sempre piaciuto leggere, anzi, dirò di più, prima ascoltare, poi leggere e alla fine dire anche la mia. Spesso mi è capitato di leggere un saggio, che sia politico, ambientale o economico cambia poco, e poi dire "ma che cazzo sta scrivendo questo!".
Si lo so, a volte sono polemico, ma se il vento che sento andare verso nord-est me lo vogliono imporre come un vento che va verso nord-ovest mi incazzo. Ma allo stesso tempo, credo, di saperlo valutare, interpretare, ascoltare, insomma me ne voglio fare un’idea.
E poi c’è il calcio, anche se sarebbe più corretto dire “c’era”.
Non sono mai stato un fenomeno, altrimenti non sarei qui a scrivere, o forse in ogni modo si, beh ma questo ha poca rilevanza, ma i miei gol li ho sempre fatti, si giocavo di punta, ora non gioco più, la mattina devo lavorare e viste le condizioni del mio ginocchio è meglio sedersi ad una tastiera.
Ricordo benissimo l’inizio della new-economy borsistica, i titoli tecnologici, sull’onda che si cavalcava in America con il Nasdaq, eccoli sbarcare anche a piazza affari: Prima industria, I.Net, Poligrafica San Faustino, era il 2003.
Erano anni che viaggiavo con il classico portafoglio virtuale, ma in quel periodo decisi di investire una piccola sommetta, della serie “tanto da togliermi lo sfizio”.
Fu proprio Poligrafica San Faustino il mio primo cavallo. E fu un cavallo di razza, un purosangue.
In pochissime sedute di Borsa toccò percentuali di aumento, con conseguenti sospensioni, da capogiro, ricordo che l’acquistai grazie ad una persona a me cara e amico di vecchia data di mio padre, con il quale oggi continua un rapporto fatto di dialoghi sulla vita economica e non solo.
Viaggiava intorno ai 20 euro al momento della sottoscrizione, e quando fu il momento mi consigliarono immediatamente di vendere, il guadagno era stato fatto. 75 euro!!! Arrivò anche sopra 80, ma per me bastava così.
I primi ricordi d’economia e finanza, risalgono al Banco Ambrosiano, o meglio, quello l’appresi in seguito, ma ricordo i mondiali di Spagna, quelli vittoriosi, era il 1982, e in quell’anno ci fu il giallo della morte di Calvi. Mi fa strano avere letto quest’estate la sentenza della Corte d’assise di Roma in merito a quella vicenda, e non tanto per l’epilogo, quanto per la distanza di anni, ero un bambino, avevo 11 anni, e oggi mi ritrovo a leggere di un fatto che probabilmente allora nemmeno capivo ma che mi aveva colpito.
Poi arrivarono gli anni dei nuovi predoni, Telecom ancora oggi continua ad accompagnarmi.
Colaninno lo vedevo come uno che c’è l’aveva fatta, sappiamo tutti come, ma ci era riuscito.
Era il 2000 e credo che proprio da li cominciò tutto.
Le scalate, i fondi nascosti nei fondi di chissà quale fondo di chissà quale paese lontano, poi li scopriranno tutti, o quasi.
La politica era notevolmente cambiata, non interessava nemmeno più la poltrona, oggetto del desiderio resistito per anni nel Parlamento italiano.
Tutti indaffarati a diventare sempre più potenti, sempre più in cima alle liste di una certa onorabilità da mostrare ad ogni convetion, ad ogni serata di gala, ad ogni salotto in cui presiedere con tanto di Signora al seguito, magari di televisione, il che non guastava.
La “Lira” era morta, e fu in qualche modo lo spartiacque degli scandali finanziari, Fiorani con la Popolare di Lodi, Gnutti e la combriccola dei bresciani e i grandi Crac di Cirio e Parmalat, sembrava che tutto fosse scritto, e la lettura attenta di quel periodo poi non troppo lontano, ci afferma che l’inchiostro fu usato dagli stessi identici personaggi che facevano parte del libro.
Camminando per la strada, entrando in un bar, la gente era incazzata.
I piccoli risparmi di una vita erano diventati fumo, cenere, ma nemmeno, si erano volatilizzati.
Una volta ricordo all’interno di un supermercato, il dialogo tra due signore di una certa età, diciamo anziane, nel reparto scatolame.
Nel dialetto della mia terra, i termini e i contenuti usati furono in parte questi:
"Lo vedi lì, come si chiama…..Tanzi…..ma si quello della Parmalat…..hai visto che cosa hanno combinato….mio marito non sa più che pesci prendere".
Alla vista di un semplice prodotto con marchi Parmalat, la gente vedeva Tanzi e le porcherie che si erano combinate.
Senza poter fare nulla.
Si erano impossessati dei risparmi degli italiani, erano diventati miliardari, la loro megalomania li aveva portati a scalare tutto quello che c’era a disposizione.
Dal lunedì al sabato, in quel periodo non si parlava di altro.
Chi aveva perso tutto con Telecom, chi con Cirio, chi con qualunque cosa avesse avuto a che fare con Banche e Borsa.
Ma poi. Poi accadeva una magia. Un miracolo.
Arrivava la domenica.
Si la domenica, il giorno del riposo, il giorno delle tagliatelle a pranzo, il giorno della Chiesa per chi ci crede, il giorno della gita fuori porta per portare i bambini al mare o in montagna. Il giorno per ritrovarsi tutti dalla zia a fare a botte con i cugini.
Ma soprattutto il calcio.
La partita, l’attesa, il big-match.
Quante domeniche mi sono alzato alle 6 di mattina, e lì non serviva nemmeno la sveglia, per prendere un treno, la macchina, l’autobus e partire. Destinazione Torino! Ogni 15 giorni naturalmente, altrimenti Milano, Firenze, Bologna, Genova, insomma una bella fetta d’Italia.
Quanti ricordi indelebili, quanta gente abbracciata e mai vista in vita mia, quante coreografie create, e poi sciarpe, cappellini, magliette, guanti, un susseguirsi di emozioni fino ad arrivare alle fatidiche ore 15:00.
Lo spettacolo stava per cominciare. Scendeva in campo la Juventus.
Anche il calcio era cambiato, chi nato tra la metà degli anni sessanta e la metà dei settanta, non ricorda il vecchio Comunale pieno zeppo di gente che arrivava da Ragusa, Brindisi, Caltanisetta, dalla Sardegna, dalle Puglie, dalla Calabria.
Chi non ricorda i titoli sui giornali sul record d’incasso per la gara di coppa o lo scontro al vertice in campionato.
Quel calcio si reggeva sugli abbonamenti, sul tutto esaurito, qualche società privilegiata sulla disponibilità economica della proprietà, ma tutto era lì e non di più.
Il calcio cambiato era quello dei diritti tv, degli sponsor faraonici, dei diritti d’immagine dei calciatori, delle sinergie con altri finanziatori.
Ma si giocava sempre di domenica, e la domenica era per tutti magica.
Poi, un giorno, un giorno come un altro, uno di quei giorni in cui si parlava di scalate, tesori nascosti e via dicendo arriva una notizia.
Proprio sulla Juventus, siamo nel maggio del 2006.
Non era domenica.
E di conseguenza non fu per niente magico.
Che succede, cosa sta succedendo si cominciano a domandare in molti, ma non tutti.
Oggi siamo alla fine del 2007, mese di novembre, acqua dentro ad un fiume n’è passata molta, di pagine lette e d’articoli scritti anche, ma c’è qualcosa che non va.
Hanno scalato banche, società, hanno rubato i risparmi di una vita ad anziani, coppie appena sposate, qualche giovane fortunato.
Hanno cambiato il corso della vita di milioni di persone, hanno culturalmente spostato i valori che i nostri genitori ci avevano inculcato, ci hanno voluto anche convincere, con un’informazione pilotata, che avevano ragione loro.
Hanno fatto passare delle persone normali, ma capaci, come gli artefici di un teatrino degli orrori.
Non gli era bastato scalare, non gli era bastato intercettare, non gli era bastato infamare, non gli era bastato uccidere, non gli erano bastati i giorni che vanno dal lunedì al sabato.
Hanno anche voluto prendersi la magia di noi comuni mortali, quelle tagliatelle all’ora di pranzo, quell’attesa del primo pomeriggio, quella giornata passata dalla zia a prendersi a botte con i cugini. La giornata che per noi voleva dire evadere, divertirsi, gioire, piangere, incazzarsi, sfottere l’amico perché la nostra squadra del fantacalcio lo aveva battuto, quei novanta minuti vissuti in un bar, allo stadio, su di un divano con gli amici di sempre a dirsi: "lo vedi che Trezeguet dopo venti minuti non ha ancora toccato palla!" e poi, così per magia, perché quel giorno era magico, dopo nemmeno due minuti vederlo insaccare il gol del vantaggio, perché a lui, quando capita la palla buona, non sbaglia. E allora via, azzuffati in un unico abbraccio a spese del divano.
Hanno voluto scalare anche la nostra magica giornata.
Hanno “scalato” la domenica.
Mi è sempre piaciuto leggere, anzi, dirò di più, prima ascoltare, poi leggere e alla fine dire anche la mia. Spesso mi è capitato di leggere un saggio, che sia politico, ambientale o economico cambia poco, e poi dire "ma che cazzo sta scrivendo questo!".
Si lo so, a volte sono polemico, ma se il vento che sento andare verso nord-est me lo vogliono imporre come un vento che va verso nord-ovest mi incazzo. Ma allo stesso tempo, credo, di saperlo valutare, interpretare, ascoltare, insomma me ne voglio fare un’idea.
E poi c’è il calcio, anche se sarebbe più corretto dire “c’era”.
Non sono mai stato un fenomeno, altrimenti non sarei qui a scrivere, o forse in ogni modo si, beh ma questo ha poca rilevanza, ma i miei gol li ho sempre fatti, si giocavo di punta, ora non gioco più, la mattina devo lavorare e viste le condizioni del mio ginocchio è meglio sedersi ad una tastiera.
Ricordo benissimo l’inizio della new-economy borsistica, i titoli tecnologici, sull’onda che si cavalcava in America con il Nasdaq, eccoli sbarcare anche a piazza affari: Prima industria, I.Net, Poligrafica San Faustino, era il 2003.
Erano anni che viaggiavo con il classico portafoglio virtuale, ma in quel periodo decisi di investire una piccola sommetta, della serie “tanto da togliermi lo sfizio”.
Fu proprio Poligrafica San Faustino il mio primo cavallo. E fu un cavallo di razza, un purosangue.
In pochissime sedute di Borsa toccò percentuali di aumento, con conseguenti sospensioni, da capogiro, ricordo che l’acquistai grazie ad una persona a me cara e amico di vecchia data di mio padre, con il quale oggi continua un rapporto fatto di dialoghi sulla vita economica e non solo.
Viaggiava intorno ai 20 euro al momento della sottoscrizione, e quando fu il momento mi consigliarono immediatamente di vendere, il guadagno era stato fatto. 75 euro!!! Arrivò anche sopra 80, ma per me bastava così.
I primi ricordi d’economia e finanza, risalgono al Banco Ambrosiano, o meglio, quello l’appresi in seguito, ma ricordo i mondiali di Spagna, quelli vittoriosi, era il 1982, e in quell’anno ci fu il giallo della morte di Calvi. Mi fa strano avere letto quest’estate la sentenza della Corte d’assise di Roma in merito a quella vicenda, e non tanto per l’epilogo, quanto per la distanza di anni, ero un bambino, avevo 11 anni, e oggi mi ritrovo a leggere di un fatto che probabilmente allora nemmeno capivo ma che mi aveva colpito.
Poi arrivarono gli anni dei nuovi predoni, Telecom ancora oggi continua ad accompagnarmi.
Colaninno lo vedevo come uno che c’è l’aveva fatta, sappiamo tutti come, ma ci era riuscito.
Era il 2000 e credo che proprio da li cominciò tutto.
Le scalate, i fondi nascosti nei fondi di chissà quale fondo di chissà quale paese lontano, poi li scopriranno tutti, o quasi.
La politica era notevolmente cambiata, non interessava nemmeno più la poltrona, oggetto del desiderio resistito per anni nel Parlamento italiano.
Tutti indaffarati a diventare sempre più potenti, sempre più in cima alle liste di una certa onorabilità da mostrare ad ogni convetion, ad ogni serata di gala, ad ogni salotto in cui presiedere con tanto di Signora al seguito, magari di televisione, il che non guastava.
La “Lira” era morta, e fu in qualche modo lo spartiacque degli scandali finanziari, Fiorani con la Popolare di Lodi, Gnutti e la combriccola dei bresciani e i grandi Crac di Cirio e Parmalat, sembrava che tutto fosse scritto, e la lettura attenta di quel periodo poi non troppo lontano, ci afferma che l’inchiostro fu usato dagli stessi identici personaggi che facevano parte del libro.
Camminando per la strada, entrando in un bar, la gente era incazzata.
I piccoli risparmi di una vita erano diventati fumo, cenere, ma nemmeno, si erano volatilizzati.
Una volta ricordo all’interno di un supermercato, il dialogo tra due signore di una certa età, diciamo anziane, nel reparto scatolame.
Nel dialetto della mia terra, i termini e i contenuti usati furono in parte questi:
"Lo vedi lì, come si chiama…..Tanzi…..ma si quello della Parmalat…..hai visto che cosa hanno combinato….mio marito non sa più che pesci prendere".
Alla vista di un semplice prodotto con marchi Parmalat, la gente vedeva Tanzi e le porcherie che si erano combinate.
Senza poter fare nulla.
Si erano impossessati dei risparmi degli italiani, erano diventati miliardari, la loro megalomania li aveva portati a scalare tutto quello che c’era a disposizione.
Dal lunedì al sabato, in quel periodo non si parlava di altro.
Chi aveva perso tutto con Telecom, chi con Cirio, chi con qualunque cosa avesse avuto a che fare con Banche e Borsa.
Ma poi. Poi accadeva una magia. Un miracolo.
Arrivava la domenica.
Si la domenica, il giorno del riposo, il giorno delle tagliatelle a pranzo, il giorno della Chiesa per chi ci crede, il giorno della gita fuori porta per portare i bambini al mare o in montagna. Il giorno per ritrovarsi tutti dalla zia a fare a botte con i cugini.
Ma soprattutto il calcio.
La partita, l’attesa, il big-match.
Quante domeniche mi sono alzato alle 6 di mattina, e lì non serviva nemmeno la sveglia, per prendere un treno, la macchina, l’autobus e partire. Destinazione Torino! Ogni 15 giorni naturalmente, altrimenti Milano, Firenze, Bologna, Genova, insomma una bella fetta d’Italia.
Quanti ricordi indelebili, quanta gente abbracciata e mai vista in vita mia, quante coreografie create, e poi sciarpe, cappellini, magliette, guanti, un susseguirsi di emozioni fino ad arrivare alle fatidiche ore 15:00.
Lo spettacolo stava per cominciare. Scendeva in campo la Juventus.
Anche il calcio era cambiato, chi nato tra la metà degli anni sessanta e la metà dei settanta, non ricorda il vecchio Comunale pieno zeppo di gente che arrivava da Ragusa, Brindisi, Caltanisetta, dalla Sardegna, dalle Puglie, dalla Calabria.
Chi non ricorda i titoli sui giornali sul record d’incasso per la gara di coppa o lo scontro al vertice in campionato.
Quel calcio si reggeva sugli abbonamenti, sul tutto esaurito, qualche società privilegiata sulla disponibilità economica della proprietà, ma tutto era lì e non di più.
Il calcio cambiato era quello dei diritti tv, degli sponsor faraonici, dei diritti d’immagine dei calciatori, delle sinergie con altri finanziatori.
Ma si giocava sempre di domenica, e la domenica era per tutti magica.
Poi, un giorno, un giorno come un altro, uno di quei giorni in cui si parlava di scalate, tesori nascosti e via dicendo arriva una notizia.
Proprio sulla Juventus, siamo nel maggio del 2006.
Non era domenica.
E di conseguenza non fu per niente magico.
Che succede, cosa sta succedendo si cominciano a domandare in molti, ma non tutti.
Oggi siamo alla fine del 2007, mese di novembre, acqua dentro ad un fiume n’è passata molta, di pagine lette e d’articoli scritti anche, ma c’è qualcosa che non va.
Hanno scalato banche, società, hanno rubato i risparmi di una vita ad anziani, coppie appena sposate, qualche giovane fortunato.
Hanno cambiato il corso della vita di milioni di persone, hanno culturalmente spostato i valori che i nostri genitori ci avevano inculcato, ci hanno voluto anche convincere, con un’informazione pilotata, che avevano ragione loro.
Hanno fatto passare delle persone normali, ma capaci, come gli artefici di un teatrino degli orrori.
Non gli era bastato scalare, non gli era bastato intercettare, non gli era bastato infamare, non gli era bastato uccidere, non gli erano bastati i giorni che vanno dal lunedì al sabato.
Hanno anche voluto prendersi la magia di noi comuni mortali, quelle tagliatelle all’ora di pranzo, quell’attesa del primo pomeriggio, quella giornata passata dalla zia a prendersi a botte con i cugini. La giornata che per noi voleva dire evadere, divertirsi, gioire, piangere, incazzarsi, sfottere l’amico perché la nostra squadra del fantacalcio lo aveva battuto, quei novanta minuti vissuti in un bar, allo stadio, su di un divano con gli amici di sempre a dirsi: "lo vedi che Trezeguet dopo venti minuti non ha ancora toccato palla!" e poi, così per magia, perché quel giorno era magico, dopo nemmeno due minuti vederlo insaccare il gol del vantaggio, perché a lui, quando capita la palla buona, non sbaglia. E allora via, azzuffati in un unico abbraccio a spese del divano.
Hanno voluto scalare anche la nostra magica giornata.
Hanno “scalato” la domenica.
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