Se ritorna l’ottimismo non scordiamo i tempi bui
di Carlo Lottieri
E’ possibile che l’insieme dei piani di salvataggio predisposti da G7 e Governi europei possa dare qualche risultato nel breve termine. Ad inizio settimana le borse sembrano reagire positivamente ed è anche comprensibile che – in un arco temporale piuttosto limitato – la garanzia che le banche verranno salvate e che nuova liquidità stia per entrare in circolo dia un po’ di rassicurazione ai mercati. Per giunta, la serie impressionante di ribassi della settimana scorsa può indurre molti a credere, sulle orme di quanto ha detto perfino il premier italiano, che oggi i titoli in circolazione siano sottostimati. C’è però un elemento che dovrebbe indurre a non essere troppo ottimisti. Se si considera che il dissesto della finanza globale dipende in primo luogo dall’espansione monetaria americana, si ha però difficoltà a ritenere che il taglio di 50 punti del tasso di interesse aiuterà ad uscire dal baratro. In particolare, se il problema maggiore di queste ore sta nella crisi di fiducia tra banche, che hanno smesso di prestarsi soldi, ciò di cui oggi ci sarebbe bisogno è un processo di “pulizia” che aiuti il mercato a liberarsi dai titoli gonfiati. L’immissione di liquidità, invece, sembra fatta per salvare il presente a scapito di un ritorno ad un’economia complessivamente più sana. La crisi ha certo tanti padri: senza Freddie & Fannie e senza regolamentazione delle agenzie di rating (la Sec ne riconosce solo tre, a discapito della concorrenza), ad esempio, le cose sarebbero andate un po’ meglio.
E’ possibile che l’insieme dei piani di salvataggio predisposti da G7 e Governi europei possa dare qualche risultato nel breve termine. Ad inizio settimana le borse sembrano reagire positivamente ed è anche comprensibile che – in un arco temporale piuttosto limitato – la garanzia che le banche verranno salvate e che nuova liquidità stia per entrare in circolo dia un po’ di rassicurazione ai mercati. Per giunta, la serie impressionante di ribassi della settimana scorsa può indurre molti a credere, sulle orme di quanto ha detto perfino il premier italiano, che oggi i titoli in circolazione siano sottostimati. C’è però un elemento che dovrebbe indurre a non essere troppo ottimisti. Se si considera che il dissesto della finanza globale dipende in primo luogo dall’espansione monetaria americana, si ha però difficoltà a ritenere che il taglio di 50 punti del tasso di interesse aiuterà ad uscire dal baratro. In particolare, se il problema maggiore di queste ore sta nella crisi di fiducia tra banche, che hanno smesso di prestarsi soldi, ciò di cui oggi ci sarebbe bisogno è un processo di “pulizia” che aiuti il mercato a liberarsi dai titoli gonfiati. L’immissione di liquidità, invece, sembra fatta per salvare il presente a scapito di un ritorno ad un’economia complessivamente più sana. La crisi ha certo tanti padri: senza Freddie & Fannie e senza regolamentazione delle agenzie di rating (la Sec ne riconosce solo tre, a discapito della concorrenza), ad esempio, le cose sarebbero andate un po’ meglio.
Ma il fattore cruciale resta la quantità abnorme di dollari finita un po’ ovunque. Perché allora abbassare i tassi e aggiungere danno a danno? Le ragioni di tali scelte nuovamente espansive sono facilmente comprensibili, dato che i politici vivono nel “breve periodo” e hanno bisogno, costi quel che costi, di dare risposte immediate al pubblico. Se questo comporta aumentare ulteriormente la quantità di moneta, nazionalizzare le banche (come in Gran Bretagna) e predisporsi ad usare i soldi di tutti per salvare i disastri di alcuni (la garanzia offerta all’interno sistema creditizio), per il ceto politico non è un problema. Anzi. E’ significativo che nelle scorse ore il premio Nobel sia stato attribuito a un campione dell’interventismo statale quale Paul Krugman, poiché una crisi causata primariamente dal keynesismo di Alan Greenspan oggi trova al proprio capezzale medici altrettanto keynesiani. E si sa che, nella prospettiva dell’economista inglese, conta solo il “breve termine”, poiché a lungo termine siamo tutti morti. In un momento come questo, però, è probabile che molti operatori e investitori tornino a ragionare sulle prospettive di lunga durata. L’ubriacatura dei derivati e delle cartolarizzazioni ha retto finché tutti hanno accettato la finzione, ma ora è diverso. La crisi di fiducia tra banche attesta che quando si presta ora si vuole vedere anche un po’ di “realtà”, e non ci si accontenta più del “virtuale”. Perciò è anche possibile che il rialzo delle borse di queste ore sia davvero di brevissima durata. Sono in molti a comprendere che le ricette di Dominique Strauss-Kahn e di Henry Paulson, così come le nazionalizzazioni operate da Gordon Brown, non offrono una prospettiva realistica all’economia globale. E questo è destinato ad avere ripercussioni rilevanti sulle aspettative a venire.
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