..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

domenica 9 novembre 2008

ERA IL GRANDE REAL




Erano gli anni del grande Real, quello delle cinque Coppe dei Campioni consecutive vinte tra il 1956 e il 1960, quello delle otto finali in dieci anni tra il 1956 e il 1966, anno quest'ultimo in cui si aggiudicò il sesto trofeo continentale in appena due lustri.
Era il Real di Alfredo Di Stefano che nei suoi undici anni alla corte delle merengues segnò 218 gol in 282 apparizioni, di Ferenc Puskás unico calciatore nella storia della Coppa dei Campioni a segnare quattro reti in una finale, quella vinta dai madridisti per 7-3 contro l'Eintracht Francoforte, di Francisco Gento López l'unico calciatore della storia ad aver vinto sei Coppe dei Campioni: dal 1956 al 1960 e poi da capitano nel 1966, partecipando a questa competizione per 15 volte consecutive sempre giocando nel Real Madrid.
Erano altri tempi, un altro calcio, ma dominava una sola squadra: il Real Madrid.
Ecco perchè il 21 febbraio del 1962 la Juventus di "El Cabezón" entrò nella leggenda.
Nessuno aveva mai violato il Santiago Bernabeu, lo stadio dei padroni della Coppa dei Campioni (in virtù delle cinque vittorie consecutive nel torneo al Real Madrid fu conferito il trofeo originale e fu dato il diritto di vestire la coccarda d'onore dell'UEFA), la televisione, per chi poteva permettersela, era in bianco e nero e una sola, il solo canale Rai, e venne trasmesso il solo secondo tempo con inizio alle 21.
La Juventus si presentò completamente vestita di nero: maglietta, calzoncini e calzettoni.
Al 38' minuto del primo tempo un certo Omar Sivori segnò la rete della vittoria: Charles aveva fatto da sponda di testa, andando a prendere un cross in cielo.
La bella, visto il risultato dell'andata identico a favore degli spagnoli, fu disputata a Parigi con vittoria per 3-1 del Real che anche in quella stagione disputò la finalissima, ma questa è un'altra storia.

La storia che mi piace raccontare è quella che si è consumata a distanza di 46 anni: stesso stadio, stesso avversario, almeno nel nome, e ancora una volta vittoria, questa volta, senza togliere niente a nessuno, meno leggendaria.
Eppure c'è chi scrive "impresa", assegnando a mister Ranieri (quello che si è autodefinito "carente", tanto per usare un eufemismo) ciò che si merita dopo la vittoria in terra di Spagna per 2-0.
Grazie alla mano del mister si legge di una squadra che ha cambiato volto cominciando a girare nel pieno dell'emergenza infortuni: difetti spariti, aggressività, concentrazione.
Si legge, nell'editoriale di Paolo De Paola direttore di Tuttosport, che la denuncia effettuata tra il pareggio esterno con il Bate Borisov e la sconfitta casalinga con il Palermo, partita dalle pagine del quotidiano, abbia dato la scossa per questa inversione di tendenza, dopo aver individuato nello specifico le colpe di Ranieri per l'inizio di stagione stentato: assetto della squadra, preparazione, rapporto con alcuni giocatori, campagna acquisti voluta e sostituzioni sconcertanti.
Ma il dolore più grande per il direttore era vedere una squadra allo sbando, pur in presenza di un organico in grado di com­petere per lo scudetto e per la Champions..

Pur non sminuendo le cinque vittorie consecutive, vorrei inserire alcuni dati per capire meglio:
a. in campionato la Juventus ha battuto in ordine temporale Torino, Bologna e Roma, che occupano rispettivamente la quart'ultima, la penultima e la terz'ultima posizione in classifica;
b. ha sconfitto un Torino che arrivava da tre batoste consecutive, in un derby risolto da una papera del portiere;
c. ha battuto un Bologna, che in otto gare aveva raggranellato la pochezza di 6 punti, con due gol del senatore Pavel Nedved;
d. ha sconfitto una Roma in crisi come non la si vedeva da tempo, giunta a Torino dopo tre battute d'arresto, piegata da due autentiche invenzioni di capitan Del Piero;
e. nel doppio confronto con il Real Madrid, non quello di Di Stefano, Puskas e Gento ma bensì di Drente, Diarra, Marcelo e la coppia Raul-Van Nisterlooy giunta ormai sul viale del tramonto, ha raccolto sei punti con ancora tre autentiche perle di Alessandro Del Piero, una a Torino e doppietta al Bernabeu.

Vittorie, certo, e per chi ha giocato un pò al football sa quanto sia difficile vincere, ma in tutta obbiettività, per chi segue da almeno trent'anni la Juventus, ci si rende perfettamente conto di quanto questo sia, o almeno dovrebbe, normale.

In questo spazio siamo convinti oggi più di ieri di quanto sbagliata sia stata la campagna acquisti delle ultime stagioni, daltronde nei dati sopraesposti si può tranquillamente notare chi ha risolto le sfide con gol e giocate da campioni consumati.
Se si considera che: Tiago lo si è rivisto nelle ultime tre gare, Almiron tra una puntata al Casinò e una passeggiata a Ponte Vecchio non fa più parte della rosa, Andrade ha cominciato una lunga battaglia legale, i vari Knezevic, Mellberg e Poulsen sono e rimarrano per lungo tempo dei misteri irrisolti e gli unici che alla fine continuano a tenere in piedi la baracca sono quei giocatori che hanno fatto parte di quella meravigliosa squadra rimasta in cima alla classifica del campionato per 76 giornate consecutive.
Purtroppo, a differenza del direttore Paolo De Paola, questo dolore non lo si coglie, osservando mestamente che questa squadra non ha un organico tale da poter competere per lo scudetto e la Champions League.
Concludiamo anche noi con un "p.s.": vede Direttore qui non si tratta di rimanere su di una sponda professando saggezza, o come lo chiama lei opportunismo, né parlare male di una squadra che sta comunque facendo il suo dovere, perchè voglio ricordare che stiamo parlando della Juventus e non del Borgorosso, qui si tratta di non farsi del male, cercando di essere il più obbiettivi possibile.
Solo così si ama veramente la Juventus.

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