..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 10 dicembre 2008

FORSE MERITIAMO QUESTA GIUSTIZIA

Scommetto. Novantanove italiani su cento (stima ottimista) non hanno capito un accidenti dei motivi alla base della rissa fra le Procure di Salerno e di Catanzaro. Nulla tranne una cosa: la credibilità della magistratura è ai minimi storici. E di ciò non si dia la colpa al cosiddetto circo mediatico che avrebbe sistematicamente demolito la reputazione delle toghe con una campagna denigratoria cominciata all’inizio degli anni Novanta. Il declino è stato lento ma inarrestabile, questo sì, ed era fatale si arrivasse a una specie di regolamento di conti. Giudici contro giudici. In mancanza di altri bersagli importanti, essi hanno preso a “spararsi” fra loro. Tragico e grottesco. Non sorprende che le Procure in questione, vista la malaparata, cioè la minaccia pressante di una riforma resa urgente dal precipitare degli avvenimenti, abbiano deciso obtorto collo di fare la pace. La notizia dell’armistizio è fresca ed è stata diffusa giusto ieri. I pm dopo essersi scambiati una certa varietà di colpi tutti bassi, all’improvviso hanno festeggiato la fine delle ostilità: tarallucci e vino. Ma il problema rimane e la necessità di risolverlo pure. La nostra giustizia è lenta da sempre. Lenta è un aggettivo vago. Eppure quando si parla di processi tanto vago non è: indica tempi mediorientali, biblici. Per avere una sentenza definitiva, anche in ambito civile, c’è gente costretta ad attendere decenni e in molti casi se ne va all’altro mondo senza la soddisfazione di un verdetto. Negli anni Ottanta si è tentato di ovviare ai ritmi lumacheschi dei tribunali affidando al professor Pisapia la rettifica della Procedura. Varata quella nuova ci si è accorti che non era affatto garantista bensì favorevole all'accusa. E quando la difesa è penalizzata, il processo è sbilanciato a scapito dell'imputato.
Ma questi sono discorsi complicati e rischiamo di smarrirci nelle nebbie dei tecnicismi. Resta il fatto che l'apparato pessimo era e pessimo è. Da notare che il numero dei magistrati nel nostro Paese non è inferiore a quello di altri dove la Giustizia è rapida o relativamente tale. Perchè? Un'idea ce l'avrei e la esprimo sussurrando perchè non ho prove ma solo indizi: una quantità imprecisata di toghe lavora poco, si adagia sui faldoni e dorme sonni beati. Le pratiche invecchiano, si coprono di polvere e chi le trascura confida in Santa Prescrizione. O in qualche altra santa. Ce n'è sempre una nelle aule severe dei Palazzi di Giustizia.
Non è possibile sorvolare sugli errori misurabili a dozzine. Ricordo che accade di tutto e di più e non basterebbe una biblioteca per raccogliere in tomi le malefatte con effetto esecutivo. Nonostante ciò i signori della Casta togata non pagano mai il fio. Il prezzo massimo per chi sbaglia di brutto è il trasferimento: da Milano a Lodi o viceversa.
Non esiste una categoria di lavoratori sollevata dall'obbligo di risarcire le sue "vittime" eccetto la magistratura. Se il magistrato ne combina una grossa ai danni di qualcuno non scuce un euro; al posto suo sborsa lo Stato. Comoda la vita.
A dire il vero un paio di decenni orsono gli italiani si recarono alle urne per il referendum chiesto dai Radicali sulla responsabilità civile dei giudici. Il referendum passò ma nella sostanza non fu mai applicato. Perchè? Domandatelo all'altra Casta, quella dei politici. Ma non illudetevi: non c'è verso di ricevere lo straccio di una risposta.
L'impunità è una cattiva consigliera. Le toghe si sono convinte - immagino - di essere intoccabili e come tutti gli intoccabili agiscono spesso imprudentemente. Le regole prevedono che i magistrati siano giudicati nel loro operato da colleghi. Nel senso che teoricamente funzionano dei filtri: dal Gip al Tribunale del riesame eccetera. Ma cane non mangia cane, bene che vada abbaia. Al vertice della piramide c'è il Csm, organo di autocontrollo che, come dice la parola stessa, può autoassolvere. Ed è ciò che succede quasi sempre.
Tutt concorre a scatenare nella corporazione un delirio di onnipotenza del quale è figlio il disastro sotto i nostri occhi: una Giustizia simile alla roulette.
Hanno un bel dire i giudici di essere indipendenti: se l'indipendenza non è accompagnata dall'imparzialità diventa licenza di "uccidere". Le ultime vicende sono lì a dimostrarlo. Essi giurano di non essere politicizzati, di applicare la legge senza essere ispirati da interessi di parte. In parecchi casi è così. Ma in altri, via, non siamo scemi, almeno non abbastanza scemi per bere questa barzelletta.
Ammettiamo. Berlusconi ha la fissa della Giustizia da riformare. E qualche volta la sua insistenza maniacale infastidisce. Però osservo. Se qualcuno avesse provveduto prima di lui ad aggiustare le cose non saremmo arrivati all'assurdo che il Cavaliere ha avuto decine di procedimenti, ma non si è mai giunti al dunque. Delle due l'una: o Silvio è perseguitato o i magistrati sono inconcludenti. Tertium non datur (non ci sono altre possibilità eccetto queste due).
Sia come sia, rimane l'evidenza: la Giustizia è una macchina arrugginita e non va. Ci dovrà pur essere un governo che la ripara. La sinistra ha fallito, fatale ci provi la destra. Nossignori. Le toghe protestano. Protestano davanti a qualsiasi meccanico di buona volontà. Pretendodo di seguitare alla solita maniera. Sono conservatrici in una corporazione nella quale non c'è niente da conservare. Le spaventa anche la separazione delle carriere fra inquirenti e giudicanti.
Manca solo che gli avvocati ottengano di essere inglobati nella magistratura. Il cerchio si chiuderebbe. Facciamo tutto in famiglia e guai a chi ci mette il becco. I cittadini sono sudditi e non hanno diritto ad avere un giudice terzo, cioè equidistante fra accusa e difesa.
Editoriale di Vittorio Feltri
da Libero del 10/12/2008

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