Non si può non dare ragione a Mauro Mellini quando scrive che «il caso Salerno-Catanzaro è un test dello sfascio di tutta la giustizia italiana, della giustizia dei protagonismi delle “campagne”, dei processi di prima classe con tanto di “nome d’arte”, del C.S.M. che punisce e trasferisce con logiche più da probiviri del partito dei magistrati che da organo di governo e di disciplina di una magistratura che dovrebbe essere al servizio della legge e dei cittadini».
Quello “sfascio di tutta la giustizia italiana” - che indubbiamente ha raggiunto i risvolti grotteschi con gli sviluppi collegati alla vicenda-De Magistris – è tuttavia inquietantemente affiancato da alcune situazioni che potrebbero far pensare, a mio parere, ad un più ampio disegno con obiettivi ben più “a largo raggio”. E questo perché alcuni episodi, alcune situazioni, che si sono verificati in questi giorni, tutto rivestono tranne che le sembianze della semplice concomitanza.
Vediamo citando episodi apparentemente tra loro scollegati.
L’ex presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano del Turco, riferendosi al candidato alla presidenza del centro-sinistra Costantini (IdV), così si è espresso in un’intervista rilasciata ad un quotidiano di quella regione: «Costantini ha usato nei miei confronti frasi che non usava mai quando insisteva per avere incarichi poiche' non fu eletto consigliere... Allora Costantini aveva un'opinione diversa del presidente della Regione».
Nell’inchiesta sulla cosiddetta “appaltopoli napoletana” – della quale il suicidio dell’ex assessore del comune di Napoli Giorgio Nugnes costituisce l’apice più drammatico – ha come “protagonista” quel Mauro Mautone (ex provveditore alle opere pubbliche della Campania) che in alcune intercettazioni sembra piacevolmente intrattenersi con tal Cristiano Di Pietro, consigliere provinciale a Campobasso ma anche figlio del più noto moralizzatore. Quest’ultimo – oltre ad aver saputo, per sua stessa ammissione, non si sa come né tramite chi – notizie sull’inchiesta (“blindata”) in questione, è stato anche in rapporti con Antonio Saladino “protagonista” (anche in questo caso il virgolettato è tutt’altro che casuale) dell’inchiesta Why not? di catanzarese memoria. Niente di rilevante dal punto di vista penale, per carità: però costituisce un’altra concomitanza. Per dirla con Il Giornale, «l’ex pm figura nelle agende e nelle intercettazioni di Saladino, ma il suo nome non è nel fascicolo. Il leader di Idv a maggio disse: "Non so chi sia". Ora gli è improvvisamente tornata la memoria».
Nell’inchiesta sulla cosiddetta “appaltopoli napoletana” – della quale il suicidio dell’ex assessore del comune di Napoli Giorgio Nugnes costituisce l’apice più drammatico – ha come “protagonista” quel Mauro Mautone (ex provveditore alle opere pubbliche della Campania) che in alcune intercettazioni sembra piacevolmente intrattenersi con tal Cristiano Di Pietro, consigliere provinciale a Campobasso ma anche figlio del più noto moralizzatore. Quest’ultimo – oltre ad aver saputo, per sua stessa ammissione, non si sa come né tramite chi – notizie sull’inchiesta (“blindata”) in questione, è stato anche in rapporti con Antonio Saladino “protagonista” (anche in questo caso il virgolettato è tutt’altro che casuale) dell’inchiesta Why not? di catanzarese memoria. Niente di rilevante dal punto di vista penale, per carità: però costituisce un’altra concomitanza. Per dirla con Il Giornale, «l’ex pm figura nelle agende e nelle intercettazioni di Saladino, ma il suo nome non è nel fascicolo. Il leader di Idv a maggio disse: "Non so chi sia". Ora gli è improvvisamente tornata la memoria».
Proseguiamo. Il primo dicembre scorso, sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista rammenta tra l’altro all’ex pm molisano il «vorticoso giro di Mercedes, prestiti, assegni, banconote, appartamenti, incarichi, «benefits» a suo favore di cui il tribunale («carta canta», appunto) ha acclarato l'infondatezza penale. Magari avrebbe anche potuto ricordare che in quella stessa sentenza il giudice volle allegare un giudizio molto severo a proposito del «sistematico ricorso di Di Pietro ai favori» di un imprenditore inquisito per bancarotta, con un accenno non proprio commendevole a fatti che «rivestivano caratteri di dubbia correttezza, se visti secondo la prospettiva della condotta che si richiede a un magistrato».
L’articolo fa il paio con quello uscito la settimana prima sul Giornale, a firma di Filippo Facci, sui “deliri e lefrottole” dell’ex pm di Mani pulite. Sarà pure una concomitanza (l’ennesima), ma a difesa di Di Pietro scende in campo addirittura la “corazzata De Benedetti” che dall’Espresso spara veleno (e cacca) su quelle giunte rosse travolte da inchieste giudiziarie (pezzo forte delle ultime esternazioni dipietresche), e da Repubblica, con l’autorevole firma del vicedirettore Giuseppe D’Avanzo, tramite una difesa d’ufficio basata sulla “esemplare correttezza” che sarebbe alla base del comportamento dell’ex ministro delle Infrastrutture nell’inchiesta napoletana.
Concomitanze, non c’è dubbio (forse). Ma i nomi e cognomi di certi protagonisti del “giustizialismo d’altri tempi” oggi vengono finalmente alla luce trovandosi, a loro volta, coinvolti in situazioni che definire poco piacevoli sarebbe un eufemismo.
La giustizia farà (speriamo) il suo corso e la riforma della stessa, ci auguriamo, altrettanto e magari in tempi più ristretti. Il Pd risolverà al più presto la guerra tra bande al proprio interno e saprà, a quel punto, definire e soprattutto rendere noto il proprio comportamento nei confronti della maggioranza e rispetto proprio alleato di schieramento: quell’Italia dei Valori che finora ha saputo procurare a Veltroni e compagnia, più grattacapi e brutte figure che non soddisfazioni e leale collaborazione.
Su Antonio Di Pietro (e Carlo De Benedetti) continueremo a vigilare: da oggi, con più attenzione.
di Gianluca Perricone
di Gianluca Perricone
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