Come la Grecia, peggio della Grecia: la crisi economica sta travagliando la Romania che ha visto ieri scendere in sciopero i ferrovieri –che hanno minacciato di paralizzare il paese- dopo che insegnanti e agricoltori avevano manifestato e scioperato in massa nei giorni scorsi. La protesta è rivolta contro il governo di Emil Boc che ha dovuto obbedire ai diktat del Fondo Monetario Internazionale varando un piano di drastici tagli per i dipendenti statali a cui lo stipendio verrà decurato del 25% per un anno e ben 140.000 licenziamenti di statali (a fronte di una massa abnorme di 1.400.000 dipendenti della pubblica amministrazione, su 22.000.000 di abitanti, più di uno su dieci in età lavorativa). Solo a fronte di questa cura da cavallo il Fmi si è detto disposto di versare una tranche di 900 milioni di euro di prestito sui 20 miliardi stanziati assieme alla Banca Europea. Risultato certo di questi sussulti: incremento dei frutti migratori rumeni verso il nostro paese.
La “sindrome greca” è peggiorata dal fatto che la Romania non fa parte della zona Euro e che la sua moneta, il nuovo Leu si deve difendere da sola sui mercati internazionali. L’ondata di scioperi è destinata a crescere nei prossimi giorni, dato che il leader della confederazione sindacale Cartel, Bogdan Hossu, sostiene che l’insieme dei provvedimenti economici del governo comporterà la perdita del lavoro per circa il 35% dei dipendenti a basso reddito. Ma la incisività delle crisi non lascia margini di trattativa tra governo sindacati, nel 2009 infatti il Pil rumeno ha segnato un sonoro meno 7.2%, là dove le misure imposte dal Fmi si limiterebbero a contenere il rapporto tra deficit e Pil al 6.8% per il 2010; una curva produttiva discendente particolarmente grave in un paese che ancora negli ultimi anni si sviluppava con un ritmo “asiatico” anche con progressioni dell’8% annuo.
In questo contesto si apre il problema dei riflessi che questa crisi avrà per le 2.500 imprese italiane che operano in Romania (nel distretto di Timisoara risiedono stabilmente 10.000 italiani), che già hanno visto l’interscambio commerciale Romania-Italia crollare dai 5.1 miliardi del primo semestre 2008 ai 2.9 miliardi del primo semestre 2009. Sicuramente, le imprese italiane vedranno ridursi drasticamente l’assorbimento di beni di consumo di massa da parte del mercato rumeno, ma non è detto che complessivamente debbano subire dei riflessi drammatici. La stragrande maggioranza delle imprese italiane, soprattutto quelle del Nord Est, si è infatti de localizzata in Romania a partire dagli anni ’90 per produrre a costi del lavoro contenuti, prodotti da importare poi in Italia o con cui aggredire i mercati internazionali. Questa è stata la strategia di Geox, Benetton, Pirelli, Max Mara, Zoppas, Iveco, Miroglio e quindi il fatto che ora si concretizzi di fatto una ulteriore compressione del costo del lavoro può essere un vantaggio, anche se è evidente che l’assorbimento dei loro prodotti sui mercati internazionali ha subito una forte flessione dopo la crisi dei sub primes. Altre aziende, come l’Enel (che controlla la produzione del 30% dell’energia elettrica rumena), Ansaldo e Finmeccanica non dovrebbero neanche essere interessate a questo fenomeno, vista la tipologia dei loro prodotti, sottratti alla curva discendente del mercato dei beni di consumo. E’ indubbio però che la drammaticità della crisi rumena e l’impennata certa della disoccupazione alimenterà ulteriormente il fenomeno migratorio verso un’Italia che però ha un mercato del lavoro già saturo.
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