Capitolo Lanese. Anche lui, nonostante entri assai raramente nelle discussioni intercettate, finisce nel calderone, con tutti gli altri. In particolare, si torna sulla vicenda accaduta nello spogliatoio di Reggio Calabria, in seguito ad un incontro caratterizzato da uno degli arbitraggi più scandalosi della storia. La vicenda è nota: Moggi e Giraudo, al termine della partita, si presentarono di fronte alla terna, andando certamente sopra le righe e venendo però risparmiati a causa dell’intervento dell’osservatore Ingargiola concordato con Lanese. Avrebbero meritato una squalifica? Non c’è dubbio. Il fatto che l’arbitraggio fosse stato indecente non giustifica il loro comportamento. Quante altre volte sarà successo un fatto simile ad altri dirigenti? Difficile dirlo. Ma se anche fossero stati squalificati per tre mesi, cosa sarebbe cambiato? Moggi non batteva le punizioni e Giraudo non tirava i rigori. Probabilmente, qualsiasi juventino avrebbe fatto volentieri cambio tra la loro squalifica e quella di Ibrahimovic, avvenuta pochi mesi dopo, a seguito di una prova tv scaturita dalla immagini fornite da Mediaset (a proposito di mass-media amici!).
Introdotto da Lanese, entra in gioco anche Romeo Paparesta (pag.92), padre dell’arbitro che Moggi riteneva “ostile alla Juve”. Egli riceve un telefono dotato di scheda svizzera. E qui occorre fare qualche precisazione. Spesso sono state tirate fuori queste schede svizzere (o straniere in genere). Ed è sempre stato dato per certo, da parte dell’accusa, che venissero utilizzate perché non erano intercettabili. La difesa di Moggi, al contrario, sostiene che tali schede erano utilizzate per evitare che le squadre avversarie (una in particolare, che aveva tra gli azionisti dirigenti della Telecom) violassero la propria privacy. Due fatti sono certi. Primo. Anche per le schede straniere, come per le italiane, era possibile effettuare le intercettazioni. Chi ha condotto le indagini, alla domanda sul motivo per cui tali intercettazioni non siano state fatte, ha risposto: “non abbiamo avuto tempo”. Secondo. Tenuto conto di quanto è saltato fuori durante le indagini su Tavaroli ed i dossier che preparava, siamo sicuri che Moggi non avesse qualche buon motivo per diffidare dai telefoni “italiani”?
Una volta terminata la sezione dedicata a Lanese, si passa alle frodi sportive. A pag.98 si sgombra immediatamente il campo dagli equivoci: assumono “rilievo per l’integrazione della fattispecie criminosa anche condotte che non riescono a conseguire il risultato vietato dalla legge e, dunque, atti idonei e diretti a ledere il corretto svolgimento delle competizioni sportive indipendentemente dal fatto che detta lesione si verifichi”.
Componiamo il processo deduttivo. Non importa dimostrare che gli arbitri avessero le mitiche schede svizzere: possiamo immaginare che le avessero, senza averne le prove. Non importa che ci siano o meno telefonate tra designatori e dirigenti juventini in cui si parla di arbitri: essendoci schede svizzere in circolazione, possiamo immaginare che esistano. Non importa che ci siano o meno telefonate tra dirigenti juventini ed arbitri: essendoci schede svizzere in circolazione, possiamo immaginare che esistano. Non importa che ci siano o meno telefonate tra designatori ed arbitri, in cui i primi impongono ai secondi di favorire la Juve: essendoci schede svizzere in circolazione, possiamo immaginare che esistano. Non importa che le partite siano state o meno oggettivamente alterate, perché basta anche solo il tentativo di alterarle per avere un reato. Infine, non importa neppure che in tutta questa storia, che comportava l’alterazione degli equilibri di un settore nel quale per i soli diritti televisivi attualmente si spostano “570 milioni di euro a campionato” (pag.3), gli arbitri partecipassero ad un’associazione a delinquere per ricevere complimenti e pacche sulle spalle! L’abbiamo sempre sostenuto: questa evidentemente era un’associazione di mentecatti.
Prima di immergersi nelle varie partite, De Gregorio pensa bene di offrirci anche un’ulteriore analisi degna di Young: “Per quanto riguarda l’elemento psicologico del reato la giurisprudenza ha chiarito che deve verificarsi il dolo specifico, poiché l’alterazione del risultato non è un evento naturalistico che deve necessariamente verificarsi nella realtà, coerentemente con la natura di reato di pericolo, ma un semplice scopo che dev’essere senz’altro presente nella mente dell’agente” (pag.99) . Insomma, la realtà non ci interessa: basta essere convinti virtualmente che Moggi e Giraudo fossero due mascalzoni e ciò è sufficiente per condannarli. E del resto De Gregorio l’aveva già anticipato: sia Carraro che Lotito dicevano che la Juve rubava… e allora di che prove abbiamo bisogno?
Grazie a tutti questi ragionamenti, si arriva al punto cruciale, che ci dice come sono state esaminate le partite che costituirebbero la frode sportiva: “il tema probandum, perciò, non è sulle singole valutazioni tecniche ma sulla sua imparzialità e indipendenza di giudizio intese, quindi, come assenza di vincoli con gli uni o gli altri dei partecipi alla competizione, che ne condizionino la complessiva direzione di gara, incidendo sul suo giusto risultato, nel senso più volte riportato”. Quindi, se un arbitro ha la iella di essere considerato “amico” di Moggi, può fare a meno di andare ad arbitrare la Juve: anche se dovesse azzeccare tutte le decisioni, sarebbe comunque colpevole. Viene naturale una domanda: come giudichiamo i Rolex donati dalla Roma agli arbitri? E le attrezzature della Tecnogym gentilmente offerte dall’Inter? Quelli non erano “vincoli”?
A pag.103 comincia l’elenco dei “tre diversi modi di realizzazioni delle frodi”.
“Il primo fu quello delle cosiddette ammonizioni mirate” . Per intenderci, era il sistema grazie al quale la Juve faceva squalificare un paio di giocatori del Bologna, ma permetteva a squadre come Inter e Milan di presentarsi agli scontri diretti senza assenze. A proposito del Bologna, anche De Gregorio cade nello stesso errore della procura di Napoli: “alla domanda di Moggi su chi fossero i diffidati, (Damascelli, ndr) rispose indicando i nomi degli ammoniti del match, cioè i difensori titolari del Bologna, che, quindi, sarebbero stati squalificati per la partita successiva della Juve” (pag.104). Peccato solo che Gamberini non fosse neppure diffidato e che per definire Nastase titolare ci vuole davvero molta fantasia. Poi, visto che il giudice non ha neppure riportato l’intercettazione in questione (chissà perché…), vale la pena di rinfrescarsi la memoria.
Damascelli: Oh comunque De Santis ha fatto il delitto perfetto, eh?
Moggi: Che ha fatto?
D: C’abbiamo i tre gio… i tre difensori del Bologna fuori squalificati tutti e tre
M: Ma perché chi c’avevano loro diffidato?
D: Tutti e tre, ehm, come si chiama: Nastase, Petruzzi e Gamberini
M: Uh
D: Non male, no?
M: Eh, aho meno male, che te devo di’?
D: No, no, meglio…
Da questo colloquio si evince la felicità di Moggi per la notizia: sembrava che avesse appena vinto la Champions League! Senza contare che non sapeva neanche chi fossero i giocatori diffidati del Bologna… e meno male che ogni settimana concordava con Bergamo le ammonizioni preventive!
Tra le squalifiche “comode”, c’è poi quella di Viali (non Vialli… Viali!) della Fiorentina. Evidentemente, questo elenco di carneadi squalificati per favorire la Juve, non deve avere troppo soddisfatto la difesa di Giraudo, tanto che il giudice si sente in dovere di enfatizzare l’importanza delle suddette squalifiche: “in questione non è il valore tecnico individuale del giocatore ma il suo ruolo all’interno della squadra, essendo il calcio uno sport collettivo, la mancanza di un tassello dell’organizzazione, incide negativamente sui meccanismi di funzionamento della squadra nel suo insieme” (pag.106). Per intenderci, se all’Inter toglievi Ronaldo o Gresko, praticamente era la stessa cosa.
“Il secondo metodo di perpetrare le frodi riguarda la formazione delle griglie” (pag.107). La minestra è sempre la stessa ed è inutile tornarci sopra. Si torna a parlare della solita telefonata in cui Moggi indovina gli arbitri della griglia e di altre telefonate in cui Moggi dimostra di conoscere i nomi dei direttori di gara prima che questi siano stati ufficializzati (ma dopo il sorteggio: questo non è stato riportato nel documento redatto da De Gregorio, ma vale la pena di rammentarlo).
“Il terzo metodo di perpetrazione delle frodi consisteva nei sorteggi truccati”. E qui c’è una sorpresa! Il giudice dimostra di non essere troppo aggiornato sui recenti (ma neanche troppo…) sviluppi della vicenda sorteggi e così torna a parlare di fatti già accertati ed archiviati da tempo. Pensavamo che la storia delle palline usurate (o calde/fredde) fosse superata. E invece siamo daccapo! Cosa dire? De Gregorio, in assoluta controtendenza, ha da ridire addirittura sul notaio che evidentemente era solo in teoria “austero” . Da cosa deriva questa conclusione? Dalle dichiarazioni di Martino! E allora vale la pena di ricordare che, al processo di Napoli, il 10/11/2009 Martino (teste dell’accusa) riferiva della possibilità di riconoscere le palline usurate con il tempo, ma è anche vero che affermava la sua univoca responsabilità nell’inserire e sigillare i nomi delle squadre e degli arbitri nelle medesime. Sempre sulla questione “palline”, riferiva che sovente erano i designatori a chiedere la sostituzione di quelle visibilmente segnate con delle nuove, risultava inoltre impossibile leggere i bigliettini avvolti all’interno qualora si fossero accidentalmente aperte. Durante quell’interrogatorio, caratterizzato da un atteggiamento del teste piuttosto contraddittorio, è emerso un fatto “irrituale” (per usare le parole dell’avv. Trofino): a fronte di 6 ore di interrogatorio senza interruzioni, effettuato nella caserma dei carabinieri, risultò un verbale di sole 4 pagine. Perché? Se lo sarà chiesto anche De Gregorio? Chissà…
GLMDJ
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