Con un’enfasi senza precedenti nella storia del giornalismo, il Washington Post ha sconvolto la foliazione cartacea, ha ridisegnato la home page, ha creato un formidabile database ricco di grafici, illustrazioni e filmati per offrire ai lettori un’inchiesta multimediale sullo stato dell’intelligence americana nove anni dopo gli attacchi islamisti dell’11 settembre. La prima puntata è uscita ieri. Oggi e domani il resto.
Un progetto giornalistico monumentale, cominciato due anni fa, che ha coinvolto venti tra giornalisti, designer, creativi, cartografi e ricercatori coordinati dal premio Pulitzer Dana Priest e dall’esperto militare e militante di Greenpeace William Arkin, in collaborazione con la Pbs, la televisione pubblica americana. Il titolo della serie, già candidata al Pulitzer del prossimo anno, è "Top Secret America". Le rivelazioni non sono così sconvolgenti come ci si poteva aspettare alla vigilia, visti l’attesa, la preoccupazione e il nervosismo dell’Amministrazione Obama. La serie del Post documenta sprechi miliardari, duplicazioni burocratiche e sovrapposizioni tra agenzie federali e contractor privati tali da far pensare che l’inefficienza del gigantesco apparato di sicurezza americano non abbia reso il paese più sicuro rispetto a nove anni fa, quando Osama bin Laden colpì New York e Washington dirottando quattro aerei. L’America, svela l’inchiesta di Priest e Arkin, ha costruito negli anni un sistema segreto così ampio, complesso e difficile da gestire che nessuno, nemmeno i suoi interpreti, è in grado di sapere se è capace di soddisfare l’obiettivo per cui è stato costruito: assicurare la sicurezza dei cittadini.
L’Amministrazione Obama è al corrente da tempo dell’inchiesta, così come la comunità di intelligence. A entrambi il Washington Post ha fatto visionare gli articoli in anticipo per evitare di mettere a rischio la sicurezza nazionale con la pubblicazione senza scrupoli. Il Post ha spulciato e messo online centinaia di migliaia di documenti ufficiali, ottenuti da 45 organizzazioni federali che si occupano di antiterrorismo, sicurezza nazionale e servizi segreti. Sono 1.271 gli uffici pubblici coinvolti, 1.931 le aziende private disseminate in 10mila luoghi in giro per gli Stati Uniti. Solo a Washington sono 33 gli edifici costruiti o in costruzione legati ad attività top secret. Sono 850mila le persone che hanno autorizzazioni di sicurezza di qualche tipo. Le strutture federali che tracciano il passaggio di soldi da e per i network terroristi sono 51 e sono presenti in 15 città americane. Gli analisti che cercano di interpretare documenti e conversazioni ottenuti da attività spionistiche alleate producono 50mila rapporti ogni anno. Difficile che qualcuno li legga.
«Pensavi di conoscere l’America?» recita lo slogan filmato dell’inchiesta del Post. In realtà esiste un paese segreto, una quarta branca di governo che agisce sotto traccia, spesso in affari con società private, che sfugge a ogni controllo. Gli uomini di Obama hanno fatto sapere che la ridondanza nelle operazioni di raccolta delle informazioni non è un fatto negativo, spesso è positivo, addirittura vitale. Si chiama "competitive intelligence", fornisce a chi elabora le strategie antiterrorismo informazioni più complete, diverse, migliori. La Casa Bianca prova a difendersi ricordando che l’apparato antiterrorismo è stato creato da Bush, non da Obama. Glenn Greenwald, il più radicale e antibushiano degli analisti di sicurezza nazionale, non la pensa così: l’America vive in uno stato di polizia certamente creato da Bush, ma legittimato e perfezionato da Obama.
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