La destituzione del dittatore egiziano ha riaperto il dibattito sulla dottrina Bush, sulla freedom agenda, sull'idea che soltanto il cambiamento dei regimi dispotici mediorientali, sostenuti per oltre sessant'anni da Stati Uniti e Occidente, avrebbe potuto aprire quelle società, liberare quei popoli e fornire un'alternativa alla cultura dell'odio islamista che ha portato 19 ragazzi arabi a dirottare quattro aerei, a farli schiantare sulle Torri Gemelle e sul Pentagono e a uccidere quasi tremila persone. L'approccio di Obama non è da ideologo, ma ora che ha scoperto come la politica più aderente agli interessi nazionali americani sia quella contro lo status quo dispotico, sarà difficile tornare indietro. Al Cairo, a Tunisi, a Teheran e a Dallas festeggiano.
Obama non ha avuto il coraggio di dire a Mubarak di abbattere quel Muro, come fece Ronald Reagan con Mikhail Gorbaciov realizzando le speranze dei dissidenti sovietici e perseguendo l'interesse americano dell'epoca. Si è limitato a ringraziare l'esercito e la piazza egiziana per aver fatto cadere quel Muro. Più semplice, ma non meno rivoluzionario.
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