..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 15 marzo 2013

CHIUSO PER CRISI

Oggi il gestore del mio tabacchino m'ha confessato che ci vedremo ancora per poco, almeno nella funzione di vendermi il tabacco, perché chiude, non riesce più a far fronte alle problematiche della sua attività. Nei giorni scorsi, e nei mesi passati, di queste discussioni ne ho avute molte, con persone/conoscenti/amici, arresisi di fronte alla crisi, tutti uniti da un unico comune denominatore: chiudo per non indebitarmi ulteriormente; e questo a prescindere dall'attività svolta.
Per questioni personali e che esulano da ciò che faccio, frequento il centro della mia città 2/3 volte alla settimana, e vedo: locali storici chiusi (negli ultimi 24 mesi ho visto con i miei occhi chiudere le serrande di almeno cinquanta negozi che nella mia adolescenza frequentavo/vedevo), locali, tanti, sfitti, negozi di abbigliamento sistematicamente vuoti, nascere nuove attività che tempo zero tirano giù la clér. Nelle varie e disparate vie hanno preso il sopravvento i "Compro Oro", vero termometro del momento storico che si sta vivendo. Il giorno in cui vado a fare la spesa l'ambiente è totalmente cambiato: una volta si faticava a trovare un carrello libero e conquistato questo tra gli scaffali era una giungla, oggi il parcheggio sottostante è deserto, con i carrelli si possono organizzare brevi gare di velocità e tra gli scaffali, infarciti di promozioni (spesso bugiarde), la solitudine regna sovrana. Poi c'è quell'attività che m'ha permesso di diventare adulto, di crescere e integrarmi all'interno del sistema lavoro: la floricoltura. Se venite a farvi un giro in macchina con il sottoscritto avrete modo di farvi guidare attraverso un territorio radicalmente cambiato, scoprirete, attraverso la mia memoria, com'era prima e cosa è diventato oggi. La percentuale delle serre dismesse e che una volta erano adibite alla coltivazione del fiore supera di gran lunga la sola immaginazione, i terreni in pieno campo diventati nell'arco di pochi anni "abitazione" per sterpaglie si contano con la calcolatrice. Di sera/notte non frequento più la movida per motivi legati a ciò che dispongono le mie tasche e ad un'attività famigliare che non può più permettermelo, ma da ciò che mi si riferisce la musica non cambia, anzi. E' di oggi la notizia che, attraverso i dati offerti dalla Confesercenti, nel primo bimestre 2013, solo nel settore della distribuzione commerciale, sono spariti quasi 10.000 negozi, con un vistoso crollo (-50%) delle aperture di nuove attività. Inoltre se il trend restasse invariato, a fine anno registreremmo la scomparsa di 60.000 negozi, con le ovvie conseguenze negative su economia e occupazione nel nostro Paese. Anche i pubblici esercizi vivono un momento disastroso: secondo le proiezioni, nel trimestre chiuderanno più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità.

Da qualunque parte si guardi la crisi ci sta investendo come uno tsunami. In Grecia (seppur l'informazione nazionale ed internazionale taccia) si stanno vivendo momenti di difficoltà enorme: disoccupazione: 26% (giovani oltre il 61%); stipendi (pochi): sotto la media europea, vicinissimi alla media asiatica e africana; assicurazioni: 1 lavoratore su 3 non la detiene; società: 60 ragazzi su 300, con un’età compresa tra 13 e 15 anni, non portano alcuna merenda a scuola, non ce l'hanno. Ieri (14/03) migliaia di persone si sono riversate nelle strade ateniesi marciando pacificamente fin sotto il Parlamento. L’iniziativa, indetta dall’Adedy, uno dei principali sindacati ellenici, ha voluto testimoniare al mondo l’affanno e le deprivazioni del popolo greco, protestando contro le privatizzazioni che contribuiscono cospicuamente alla distruzione del Paese e contro la politica governativa nel settore pubblico che prevede decine di migliaia di licenziamenti. Senza contare che ventotto tra i più grandi ed importanti edifici pubblici sono finiti tra le mani del Taiped, ovvero l'Ente Nazionale per la Valorizzazione delle Proprietà dello Stato, che ha indetto una gara internazionale per la svendita degli stessi, avvalendosi del "consiglio" dei principali istituti bancari del Paese, con conseguente bava alla bocca di numerosi investitori stranieri che stanno già presentando le loro proposte al fine di sottrarre al popolo sedi ministeriali, enti pubblici e persino la centrale di Polizia della capitale.

Tendo a sostenere che l'euro stia viaggiando a due velocità. L'Europa vive due crisi ben distinte, dove la prima è economica con tassi di crescita decisamente bassi che aumentano, ad un prezzo salatissimo, la disoccupazione, mentre l'altra è diretta al rapporto Pil che non cresce/deficit spesa pubblica che aumenta. Ed ecco dove l'austerità fa i maggiori danni (prendendo in considerazione il discorso del Nobel per l'Economia 2001 Joseph Stiglitz): un deficit coperto da maggiori tasse ha inevitabilmente aumentato la crisi. Questo ha sancito definitivamente il propagarsi delle speculazioni finanziarie.
L'eventuale fallimento di uno Stato membro toccherebbe l'euro, e qui entra in gioco il "salvataggio".
Io ti aiuto a pagare i creditori non facendoti fallire, e tu adotti un piano di restrizioni (una finanziaria) per produrre un avanzo di bilancio in modo da abbassare il debito.
Simpaticissima la controparte, tanto simpatica che il Paese "costretto" subirà una crisi maggiore.
Tranne uno, diciamo il nome? E' evidente di come alla Germania interessi rimanere agganciata all'euro (probabilmente l'unico stato membro che lo vuole realmente, oggi, forse, nemmeno l'Olanda vorrebbe rimanerci) in virtù di un protezionismo che le consente un cambio decisamente competitivo.
A questo aggiungo: a) l'incremento della crisi, e di conseguenza della debolezza, di ormai molte realtà europee, consente ai tedeschi di operare a basso costo nei mercati europei; b) quando furono loro a sfondare i parametri (Maastricht) reclamarono (assieme ai francesi) che non vi fossero sanzioni.
Quello che era un disegno di libertà e progresso è diventato a tutti gli effetti un ricatto, dove l'euro vale X per pochi e Y per tanti, e dove molti, oggi troppi, dal gestore del tabacchino in poi, sono costretti a chiudere.