..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 28 maggio 2013

LA SCELTA DI NON ANDARE IN EUROPA A RIBALTARE LE SCRIVANIE

Oggi è il giorno del diploma, quello che l'Unione Europea ci consegnerà per aver mantenuto il rapporto Debito/PIL sotto la soglia del 3%. Ma la chiusura della procedura d’infrazione non può e non deve essere vista positivamente, ma state pure tranquilli che c'è chi festeggerà; immagino già i titoli dei quotidiani e le espressioni tronfie dei protagonisti.
Il problema di rimanere agganciati a questa Europa non è uno, ma molteplici, tutti accomunati dalle politiche che si sono adottate nelle sedi della Ue.
Ci ritroviamo in un Unione Europea che di fatto non è mai esistita, perché quando vengono adottate ventisette politiche fiscali diverse di tutto si può parlare tranne che di unione. Ci accomuna la sola moneta, nata anzitempo e pure male. Non s'è compresa (per incompetenza o per malafede) la logica delle logiche: prima si creano politiche fiscali, poi burocratiche e quando tutti gli stati membri si trovano nelle stesse condizioni si adotta la moneta unica. In Italia, 150 anni fa, si fece prima il Paese e poi la Lira.
Se si volesse seriamente dare un senso all'Europa le procedure sarebbero diverse, i punti su cui muoversi altri. La Bce dovrebbe immettere direttamente moneta, senza l'uso criminale del trattato di Lisbona; il deficit (Maastricht) dovrebbe essere alzato ad una percentuale (7/8%) che permetta di pianificare il futuro con investimenti mirati, e senza cappi al collo.
Invece la direzione presa è diametralmente opposta, con tanto di conto da pagare: disoccupazione e recessione.
Abbiamo violentato la Costituzione per volere della Ue, inserendo quel pareggio di bilancio che c'ha castrato il presente con la matematica certezza di una recessione futura; le parole di ieri l'altro di Letta stanno li a testimoniarlo.
Si continuano a fare discorsi e proclami sul come e quando salvare l'Europa, mentre il fine ultimo è dare una grossa mano agli Stati Uniti, alla Cina e alla Germania.
I primi andrebbero a chiedere miseria se l'euro diventasse meno forte, i secondi seguirebbero i primi visto il credito che hanno nei loro confronti. Tutto questo grazie alla bolla del 2008, laddove si perse per sempre l'occasione di curare la tossicità del sistema finanziario.
La Germania invece ha un debito che supera di gran lunga quello di tutti gli altri stati membri. Non è un caso che sono gli unici in Europa a non aver confermato la rettifica del fiscal compact, spostando la discussione al dopo elezioni, quelle che oggi tutti aspettano.
Questo volere stare fermi ad aspettare, questo accordo non scritto di non far mutare nulla si specchia nei governi (supini) del vecchio continente, da sud a nord, da est a ovest.
In casa nostra il neo governo Letta (Berlusconi) è li a testimoniarlo, confermando una volta di più la scelta di non andare in Europa a ribaltare le scrivanie.