La Caporetto che si è consumata in Lombardia in piena emergenza pandemica ha fatto il paio con quanto accaduto la notte del 24 ottobre 1917. E se politicamente e militarmente gli errori di allora portarono il nome di Paolo Boselli e del generale Luigi Cadorna, oggi la disastrosa conduzione sanitaria accomuna le responsabilità di un'intera regione e di tutti gli esponenti che ne hanno capitanato il timone.
In totale confusione l'intero entourage del Pirellone non ha saputo far fronte all'emergenza, anzi, sbagliando tatticamente ogni decisione ha ulteriormente alimentato una condizione che diversamente avrebbe potuto contare ben altri numeri.
Il più clamoroso, dettato da negligenze, irresponsabilità e conoscenza zero di una legge datata 23 dicembre 1978, è indubbiamente imputabile alla mancata chiusura di due porzioni di territorio come Alzano e Nembro, i due comuni della bergamasca dai quali è letteralmente esploso un contagio capace i tradursi in migliaia di morti.
Portare indietro le lancette del tempo un obbligo per comprendere la disfatta lombarda.
Il 31 gennaio, sotto l'incedere delle dichiarazioni provenienti dall'Organizzazione mondiale della Sanità il Governo decide di instaurare l'emergenza nazionale, una misura della durata di sei mesi per poter mettere in sicurezza l'intero territorio.
Neanche un mese più tardi, il 23 febbraio, dopo un Consiglio dei Ministri fiume viene istituita la zona rossa in dieci comuni del Lodigiano e a Vo’ Euganeo: la vita di 50mila persone, all'improvviso, rimane sospesa. Per strada non c'è nessuno: le poste sono chiuse, le scuole sono chiuse. I lavoratori non escono di casa, perché fabbriche e aziende hanno i cancelli sbarrati.
Inizia così l'escalation di un'epidemia che nel breve porterà il Paese ad assumere misure draconiane.
Il 16 marzo il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini chiude Medicina, diventata zona rossa per le informazioni e le indicazioni raccolte dai tecnici che non hanno permesso altra scelta: "Uno degli atti più sofferti che io abbia assunto da presidente della Regione"; a stretto giro, il 17 marzo, è la volta del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca: blindati i comuni di Ariano Irpino (provincia di Avellino) e Sala Consilina, Caggiano, Polla e Atena Lucana (provincia di Salerno); il 19 marzo, dopo l’ordinanza regionale, tocca a Fondi, dichiarata zona rossa a causa dell’alta percentuale di contagiati rispetto al numero di abitanti; il 23 marzo due Comuni siciliani, Agira, nell’Ennese, e Salemi, in provincia di Trapani, diventano zona rossa su decisione del presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci dopo aver sentito i rispettivi sindaci.
Tutte misure adottate facendo leva sulla legge 833/1978 che consente alle Regioni di chiudere porzioni di territorio in zone rosse per motivi sanitari.
Allora sorge spontaneo chiedersi perché la Regione Lombardia non ha attuato quella legge per impedire il dilagare dell'epidemia nei comuni di Alzano e Nembro.
Sorge spontaneo chiedersi perché la Regione Lombardia, come fatto da Zingaretti, Bonaccini, De Luca e Musumeci, non ha preso in considerazione e attuato il decreto del 23 febbraio, quello che testualmente incaricava le Regioni tutte di segnalare (o disporre in proprio) le eventuali zone rosse nei rispettivi territori.
Un gregge pusillanime ha messo in evidenza incapacità decisionali e assenza di autonomia, che sulla carta moschicida di una legge che tutti dovevano conoscere quanto applicare ha fatto rimanere appiccicate le vite di centinaia di inermi cittadini.
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