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giovedì 1 maggio 2008

NON SI PUO' DIMENTICARE


Calciopoli, Giancarlo Padovan: noi, il terreno di confronto dei bianconeri
17:04 del 29 aprile
Anche questa settimana è nostro ospite Giancarlo Padovan. Gli abbiamo chiesto una riflessione sull'esplosione dello scandalo di calciopoli, esattamente due anni fa, e sulla retrocessione in B della Juventus.
Nei miei cinque anni e tre mesi a Torino, sono stato l’unico dei tredici direttori di Tuttosport a raccontare la stagione della Juventus in serie B e tutto ciò che l’ha determinata. E’ e resterà un primato assoluto che nessuno – ne sono certo – potrà neppure tentare di strapparmi.
Primo, perché credo che la Juventus mai più retrocederà in serie B (o, come accadde, venga nuovamente retrocessa a tavolino). Secondo, perché quando successe, fui commiserato e molti profetizzarono, se non la chiusura, almeno un drastico ridimensionamento del giornale.
In quei giorni di primavera del 2006, eravamo proprio alla fine di aprile, mi sentii gravato da un’enorme responsabilità, ben maggiore di quella che normalmente pesa su un direttore di giornale, uomo che – per definizione - è sempre solo al comando e sempre con la morte in tasca (parlo della morte professionale, naturalmente).
Si trattava di affrontare la più grave congiuntura del mondo del calcio italiano, colpito da uno scandalo madornale (anche se non il più grave della sua storia per chi ricordi il 1980, che produsse una quindicina di arresti, appena fuori dagli spogliatoi, tra giocatori e dirigenti, oltre a Milan e Lazio declassati in serie B e i rossoneri per la prima volta), non solo a ridosso di un appuntamento planetario come la Coppa del Mondo in Germania, ma anche e soprattutto fiaccato nella sua credibilità: la maggiore imputata, infatti, era la Juventus.
Cioé la società più titolata d’Italia, la squadra che nell’ultimo decennio più aveva vinto e maggiormente si era imposta come modello di organizzazione e gestione. Inoltre – ed era questo a farmi rabbrividire – quella che può contare sul maggior numero di tifosi in Italia. Prima della rabbia per la fondatezza delle accuse e per il trattamento mediatico che si stava allestendo – un clima forcaiolo senza garanzie e con un grado di giudizio sportivo arbitrariamente abolito dal Commissario straordinario Guido Rossi – mi immaginai lo sconcerto, la delusione, l’amarezza e l’autentico dolore del pubblico juventino. Temevo che su quelli finisse ripiegato.
Abbozzammo l’idea di una reazione pubblica, di un atto che restituisse dignità ai successi sul campo, che risvegliasse il senso di appartenenza.
Fu come provocare un terremoto. Gli scudetti che sembravano essere visti dagli juventini con snobismo per la semplice ragione di averne vinti tanti, furono difesi a spada tratta, contestata apertamente la patetica linea difensiva dell’avvocato e della società, sollecitato il ricorso al Tar.
Mai nel popolo bianconero si era aperta una mobilitazione tanto vasta e tanto profonda, mai si era percepita una solidarietà tanto estesa. Mai, per esempio, avremmo pensato di veder i tifosi della Juve marciare per le vie di Torino alla fine di luglio, dopo essersi ritrovati in oltre ventimila provenienti da tutta Italia.
Tuttosport seppe diventare il terreno di confronto privilegiato, un giornale che si distinse per diversità rispetto all’appiattito panorama della stampa italiana, colpevolista a prescindere e spesso incapace di attenersi esclusivamente ai fatti. Fummo i primi a scrivere che in quello scandalo c’entrava anche il Milan (e in che misura lo si vide) e che la Fiorentina, stando agli atti, era la più pesantemente coinvolta. Purtroppo sia la ricerca della verità (dimenticati e sottovalutati i colloqui tra un dirigente dell’Inter e Paolo Bergamo a proposito dell’assegnazione di un arbitro internazionale, come le molte pressioni denunciate dallo stesso Bergamo dall’intero del mondo calcistico), sia l’equità delle pene non furono minimamente rispettate. L’unica a pagare, coerentemente con l’impianto accusatorio allestito e nonostante la mancanza totale di almeno una contestazione di illecito, fu la Juve: due scudetti in meno; estromissione dalle Coppe; retrocessione in serie B; penalizzazione. Nessuno prima di allora era stato punito così duramente. Ammesso che quella sentenza fosse legittima, perché altri se la cavarono senza retrocedere? Perché il Milan conservò il diritto, giustamente contestato dall’Uefa, di partecipare alla Champions League, poi addirittura vinta sul campo? Perché gli scandali precedenti e successivi, dai passaporti truccati alle palesi irregolarità amministrative, non conoscono lo stesso rigore?
Aspetto. Ma se da tempo conosco le risposte: pretestuose, ipocrite, farisaiche, disoneste.
Giancarlo Padovan
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Io, insieme ad altri, faccio parte di quello schieramento che difese (e difende, sia chiaro) gli scudetti, contestò la linea di difesa e sollecitò il ricorso al Tar.
Perchè l'ipocrisia, la pretestuosità, e la disonestà che fece capo a quella maledetta estate del 2006 riecheggia ancora oggi (e probabilmente per sempre), senza essere cambiata, anzi, aumentando, notizia dopo notizia, della propria forza.
Noi non dimenticheremo mai chi fu colpevolista a prescindere, mai. Sappiamo nomi e cognomi, conosciamo i loghi delle testate giornalistiche e sopratutto abbiamo bene impressi titoli e parole.
Noi non dimenticheremo mai chi non difese la Juventus, avendo quel cognome che, facendola diventare dinnanzi al mondo intero un esempio da seguire e ammirare, la bistrattò come il peggiore dei mali.
Noi non dimenticheremo mai chi creò, dopo anni di insoddisfazioni professionali per un'assoluta incapacità gestionale, un clima forcaiolo nei confronti di una squadra e di una società che aveva inanellato la bellezza di 76 giornate consecutive in testa al campionato di calcio italiano, vincendo e dominando due tornei consecutivi.
Noi non dimenticheremo mai chi non diede le garanzie giuridiche per l'espletamento di un processo che avesse almeno i canoni del nome che porta, abolendo gradi di giudizio e disassegnando uno scudetto che nulla aveva a che fare con i processi in corso.
Noi non dimenticheremo mai i passaporti falsi, le irregolarità amministrative e tutti i colloqui avuti da altri dirigenti così come ebbero colloqui coloro che furono definiti il "cancro" del calcio italiano.
Noi non dimenticheremo mai, e questo è bene che nessuno lo dimentichi.

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