In queste settimane di crisi finanziaria molti italiani sono stati catapultati, tramite i media, all’interno di un settore prevalentemente sconosciuto: le “borse”.
Gli stessi risparmiatori che hanno investito nell’azionariato hanno visto dimezzare se non quasi esaurire il proprio capitale, trovandosi in una dimensione a metà tra la paura e l’incredulità.
Fra trasmissioni tematiche, titoloni sui più importanti quotidiani nazionali e aperture shock dei telegiornali, la popolazione è stata investita da terminologie tecniche di settore: subprime, derivati, etc. etc.; il governo, tra decreti e misure di emergenza, ha cercato di tranquillizzarci, dichiarando tramite il presidente del Consiglio e il Ministro dell’economia che il nostro Paese, nonostante tutto, rimane meno esposto di altri e che, visto il collasso generale che ha dovuto subire l’economia, dalle ceneri dei miliardi di euro di capitalizzazione bruciati ci sarà la forza e la voglia per riscrivere regole certe e dare nuovo slancio all’economia reale, quella fatta di aziende sane, uomini e prodotti.
Chi più chi meno in queste ultime tre settimane, volente o nolente, ha seguito gli indici borsistici dell’intero pianeta, dalle chiusure mattutine della borsa asiatica all’apertura degli indici del vecchio continente, fino alla chiusura di Wall Street, cartina tornasole dell’economia mondiale.
Dopo la “settimana nera” che ha coinvolto l’intero sistema, lunedì i rialzi hanno fatto pensare ad una ripresa, seppur lenta.
Ma sono bastate poco più di quarantotto ore per far azzerare il rimbalzo.
E’ notizia di questi giorni che con un’iniezione di petroldollari (1 miliardo) sono state acquisite azioni del gruppo Unicredit.
Central Bank of Lybia, Lybian Investment Authority e Lybian Foreign Bank, investitori presenti da trent'anni in Italia e già soci con una piccola quota pari allo 0,87% del gruppo di Alessandro Profumo, hanno spostato il capitale al 4,23% dichiarando, in una nota a mercati chiusi, “Siamo azionisti di lungo termine e nella banca vediamo solide opportunità industriali”.
A Piazza Cordusio, da parte dei vertici di Unicredit, c’è stata soddisfazione visto il significativo investimento e, soprattutto, per la fiducia dimostrata nei confronti del gruppo e del management sulla redditività e le strategie di sviluppo a lungo termine.
I fondi libici con questa operazione sono diventati il secondo azionista di Unicredit, dietro la Fondazione Cariverona, e con il 4,23% sarebbero vicini al tetto del 5% per il voto in assemblea stabilito dallo statuto.
Da qui a pensare ad un Opa da parte del colonnello Gheddafi si naviga nei mari della fantaborsa, d'altronde il “blocco” al 4,23% sembra dare l’idea di un investimento istituzionale intenzionato a rispettare le clausole statutarie, ma da parte degli azionisti di minoranza questo investimento ha dato più garanzie (concrete) rispetto a tutte le parole spese sulla tranquillità.
Intanto nei prossimi giorni sarà varata la norma per contrastare le opa ostili (alla faccia della globalizzazione), l’annuncio è stato dato dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi da Bruxelles a margine del Consiglio europeo, mentre Giulio Tremonti ha aggiunto: “Non è necessario un decreto ad hoc, basta inserire un emendamento in fase di conversione di uno dei due decreti varati lunedì”.
La preoccupazione del Premier è stata rivolta ai giornalisti nei confronti dei Paesi produttori di petrolio, i quali, visto il momento di crisi delle società italiane quotate in borsa e del conseguente prezzo delle azioni considerato troppo basso, potrebbero di fatto esercitare delle "scalate".
E ora alcune domande sorgono spontanee: dove starebbe scritta la regola secondo cui produrre un’offerta pubblica d’acquisto in un mercato globale sarebbe ostile?
E la cosiddetta economia reale su quali basi andrebbe condotta?
Lasciando aziende in mani incapaci? Con il rischio di altri fallimenti? Con la possibilità, visto che poi è sempre il contribuente a pagare, di aumentare ulteriormente il debito pubblico?
La logica di una società quotata in borsa comprende la possibilità di essere scalata, d'altronde il risparmiatore finanzia l’azienda con il prospetto che le proprie azioni possano prendere valore, illogico immettere liquidità in una società vedendo stagnare i propri risparmi senza margini di miglioramento, anzi, con il rischio che un cattivo management faccia crollare il proprio investimento.
Gli stessi risparmiatori che hanno investito nell’azionariato hanno visto dimezzare se non quasi esaurire il proprio capitale, trovandosi in una dimensione a metà tra la paura e l’incredulità.
Fra trasmissioni tematiche, titoloni sui più importanti quotidiani nazionali e aperture shock dei telegiornali, la popolazione è stata investita da terminologie tecniche di settore: subprime, derivati, etc. etc.; il governo, tra decreti e misure di emergenza, ha cercato di tranquillizzarci, dichiarando tramite il presidente del Consiglio e il Ministro dell’economia che il nostro Paese, nonostante tutto, rimane meno esposto di altri e che, visto il collasso generale che ha dovuto subire l’economia, dalle ceneri dei miliardi di euro di capitalizzazione bruciati ci sarà la forza e la voglia per riscrivere regole certe e dare nuovo slancio all’economia reale, quella fatta di aziende sane, uomini e prodotti.
Chi più chi meno in queste ultime tre settimane, volente o nolente, ha seguito gli indici borsistici dell’intero pianeta, dalle chiusure mattutine della borsa asiatica all’apertura degli indici del vecchio continente, fino alla chiusura di Wall Street, cartina tornasole dell’economia mondiale.
Dopo la “settimana nera” che ha coinvolto l’intero sistema, lunedì i rialzi hanno fatto pensare ad una ripresa, seppur lenta.
Ma sono bastate poco più di quarantotto ore per far azzerare il rimbalzo.
E’ notizia di questi giorni che con un’iniezione di petroldollari (1 miliardo) sono state acquisite azioni del gruppo Unicredit.
Central Bank of Lybia, Lybian Investment Authority e Lybian Foreign Bank, investitori presenti da trent'anni in Italia e già soci con una piccola quota pari allo 0,87% del gruppo di Alessandro Profumo, hanno spostato il capitale al 4,23% dichiarando, in una nota a mercati chiusi, “Siamo azionisti di lungo termine e nella banca vediamo solide opportunità industriali”.
A Piazza Cordusio, da parte dei vertici di Unicredit, c’è stata soddisfazione visto il significativo investimento e, soprattutto, per la fiducia dimostrata nei confronti del gruppo e del management sulla redditività e le strategie di sviluppo a lungo termine.
I fondi libici con questa operazione sono diventati il secondo azionista di Unicredit, dietro la Fondazione Cariverona, e con il 4,23% sarebbero vicini al tetto del 5% per il voto in assemblea stabilito dallo statuto.
Da qui a pensare ad un Opa da parte del colonnello Gheddafi si naviga nei mari della fantaborsa, d'altronde il “blocco” al 4,23% sembra dare l’idea di un investimento istituzionale intenzionato a rispettare le clausole statutarie, ma da parte degli azionisti di minoranza questo investimento ha dato più garanzie (concrete) rispetto a tutte le parole spese sulla tranquillità.
Intanto nei prossimi giorni sarà varata la norma per contrastare le opa ostili (alla faccia della globalizzazione), l’annuncio è stato dato dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi da Bruxelles a margine del Consiglio europeo, mentre Giulio Tremonti ha aggiunto: “Non è necessario un decreto ad hoc, basta inserire un emendamento in fase di conversione di uno dei due decreti varati lunedì”.
La preoccupazione del Premier è stata rivolta ai giornalisti nei confronti dei Paesi produttori di petrolio, i quali, visto il momento di crisi delle società italiane quotate in borsa e del conseguente prezzo delle azioni considerato troppo basso, potrebbero di fatto esercitare delle "scalate".
E ora alcune domande sorgono spontanee: dove starebbe scritta la regola secondo cui produrre un’offerta pubblica d’acquisto in un mercato globale sarebbe ostile?
E la cosiddetta economia reale su quali basi andrebbe condotta?
Lasciando aziende in mani incapaci? Con il rischio di altri fallimenti? Con la possibilità, visto che poi è sempre il contribuente a pagare, di aumentare ulteriormente il debito pubblico?
La logica di una società quotata in borsa comprende la possibilità di essere scalata, d'altronde il risparmiatore finanzia l’azienda con il prospetto che le proprie azioni possano prendere valore, illogico immettere liquidità in una società vedendo stagnare i propri risparmi senza margini di miglioramento, anzi, con il rischio che un cattivo management faccia crollare il proprio investimento.
Ma nonostante in Italia le società scalabili sono davvero poche, si cercano strumenti per rendere più difficili le offerte pubbliche di acquisto. Per esempio, rimuovendo la passivity rule, (il presidente di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, si è espresso per una rivisione della stessa) la norma che impedisce al management della società bersaglio di intraprendere azioni per ostacolare il successo dell'Opa. Ma una limitazione simile non tutela i piccoli azionisti. A trarne beneficio sono in genere i gruppi manageriali oppure gli azionisti di controllo.
Il "pericolo" attuale è attribuito ai fondi sovrani, sia per questioni speculative che per poteri geopolitici, e anche ammettendo che per la seconda ragione sia così, si facciano interventi adatti per regolamentare questi eventuali accessi, discutendo vantaggi e svantaggi, sempre nell'interesse e nell'economia dell'azienda stessa, del Paese e soprattutto dei piccoli azionisti.
Continuare a far rimanere ingessato il controllo societario di un'azienda in un mercato che sta inevitabilmente cambiando è probabilmente più pericoloso che l'ingresso di investitori stranieri, e rendere difficoltose le offerte pubbliche d'acquisto appare quantomeno una misura priva di senso.
Per dare slancio all’economia reale c’è bisogno di programmi, di strategie, di investimenti a lungo termine, che diano la possibilità ad una qualunque azienda di crescere, di portare economia al proprio Paese, creando prodotti, posti di lavoro, dando ai piccoli azionisti-risparmiatori la tranquillità di un buon investimento per il futuro, facendo crescere il valore delle azioni.
Per dare slancio all’economia reale c’è bisogno di programmi, di strategie, di investimenti a lungo termine, che diano la possibilità ad una qualunque azienda di crescere, di portare economia al proprio Paese, creando prodotti, posti di lavoro, dando ai piccoli azionisti-risparmiatori la tranquillità di un buon investimento per il futuro, facendo crescere il valore delle azioni.
Se poi questo, in un mercato globalizzato, sarà fatto da un italiano, da un libico o da chicchessia poco importa, e non si faccia demagogia con il discorso della speculazione, quella, purtroppo, il risparmiatore ha dovuto subirla nel proprio portafoglio, e quasi sempre dall’interno del proprio Paese.
di Cirdan
Nessun commento:
Posta un commento