“Siamo un milione ed ora il governo deve trattare”. Lo slogan sindacale che ha contrassegnato lo sciopero della scuola svoltosi ieri in tutte le città italiane fotografa alla perfezione l’assurdità ed i limiti della posizione assunta dalle forze dell’opposizione sulla vicenda dei tagli al settore scolastico. L’assurdità è rappresentata dal fatto che portare in piazza un milione di persone all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento del decreto che si vorrebbe modificare è una contraddizione in termini. Se si voleva sul serio cambiare il provvedimento lo sciopero della scuola si sarebbe dovuto tenere prima dell’approvazione del decreto. Averlo fatto dopo significa solo che l’obbiettivo perseguito non era la riduzione dei tagli alla scuola elementare ed all’università ma cercare comunque un pretesto per far scendere in piazza alcune migliaia di studenti ed utilizzare la contestazione per vivificare una opposizione asfittica. Il limite, invece, è costituito dallo sbandierare il milione di manifestanti in nome del principio del “numero è potenza” senza, però, rendersi conto che quel milione non rappresenta una grande forza ma una ben identificata debolezza. Ai ragazzi che vogliono vivere il loro piccolo ’68 ed ai professori che pensano di difendere i loro posti di lavoro retribuiti con stipendi da fame, si contrappone una maggioranza di cittadini che, pur essendo silenziosa, è perfettamente consapevole che la scuola italiana non funziona e va revisionata dalle fondamenta. Quale potrà essere il seguito politico dello sciopero della scuola sulla base di tanta assurdità e così precisi limiti? Sbaglia di grosso chi crede che la manifestazione del Circo Massimo prima ed i cortei ed i comizi del 30 ottobre successivamente, abbiano aperto un nuovo “autunno caldo” destinato a bruciare le speranze del centro destra di governare il paese senza eccessivi traumi.
La battaglia contro il decreto Gelmini si è di fatto conclusa. Come ha lasciato intendere lo stesso segretario del Partito Democratico Walter Veltroni quando ha preannunciato l’intenzione di promuovere sul provvedimento un referendum che non si potrà tenere prima di due anni. E non potrà in alcun modo rappresentare una miccia destinata ad accendere un incendio più vasto perché la maggioranza degli italiani è riuscita a rendersi conto, proprio grazie al riflettore acceso della manifestazioni anti-Gelmini, della gravità del bubbone-scuola nel nostro paese. I dirigenti dei partiti d’opposizione, quindi, non hanno di che rallegrarsi. La boccata d’ossigeno che hanno respirato al Circo Massimo e nelle piazze degli studenti è stata controproducente. Ha ringalluzzito un numero sempre più ristretto di militanti. Ma ha reso drammaticamente chiaro alla maggioranza degli italiani che dall’opposizione non può in alcun caso attendersi un qualche contributo alla soluzione dei problemi che assillano il paese. La scelta di Veltroni di rincorrere Antonio Di Pietro lungo la strada della radicalizzazione dello scontro con il governo mette una definitiva pietra tombale sopra la possibilità di una strategia riformista del Partito Democratico. Il risultato non potrà non essere che sempre più cittadini si rivolgeranno a Silvio Berlusconi affinché il suo governo riesca, con o senza contributo dell’opposizione, a far uscire la società nazionale dalla crisi. Per il Cavaliere si tratta di un grazioso regalo della sinistra irresponsabile. Ma anche di un impegno a non deludere. Per questo, per quanto riguarda la scuola, è auspicabile che dopo i tagli arrivi al più presto il momento di una grande e profonda riforma del settore.
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