Parto subito con una domanda: trentuno giorni di sciopero a cosa sarebbero serviti? Siamo stati in agonia per un mese di fronte alla crisi dell'Ippica, non sapendo a quale destino saremo andati incontro, parlando come appassionato e per chi questa "passione" la vive nel quotidiano con sacrifici e soprattutto lavoro. In molti abbiamo atteso dieci giorni prima di dare una valutazione sul dopo sciopero, sulla tanto decantata nuova ippica, sulla qualità delle corse che avrebbero dovuto dare ossigeno nuovo a questo meraviglioso mondo, fatto di cavalli e uomini, e invece siamo subito tornati all'andazzo di prima: "mattinè" di scarsa qualità, numero indefinito di "tris" e il solito numero di campi e corse che nient'altro fanno che affollare un palinsesto che avrebbe invece bisogno di essere snellito e curato. Possiamo anche capire che i tempi tecnici per stabilire un nuovo ordinamento vadano rispettati, ma se si riparte da dove si era lasciato non si capisce che cosa si è stabilito.
Il punto è semplice: chi comanda il baraccone non ha capito il problema. I cavalli corrono grazie alle scommesse, fatte dagli appassionati e da chi è vizioso. Queste due categorie di "giocatori" hanno due comuni denominatori e una sostanziale differenza: a. la passione per le corse dei cavalli; b. gli euro; c. la conoscienza. Nei primi due casi, accomunati per entrambi, rimane immutato il risultato finale ai fini della scommessa, sia per chi frequenta gli ippodromi o segue attraverso i canali televisivi le corse (appassionati), sia per chi alberga all'interno delle sale corse (viziosi). L'adrenalina che si scatena nel momento in cui la macchina apre le ali o mentre una gabbia fa schizzare fuori i cavalli è identica, supportata anche da un ticket che rimane incollato ad una mano durante la corsa o viene accuratamente piegato all'interno di un portafogli, a prescindere dal budget usato per renderlo proprio. Nel terzo caso, fondamentalmente più importante, la conoscienza, o pseudo tale, di questo meraviglioso mondo, fa sì che l'appassionato spenda i propri quattrini per corse che ne valga realmente la pena, in sintesi l'appassionato, a prescindere dal budget che ha a disposizione, vuole assistere a corse di qualità, altrimenti il rischio reale è che quei pochi euro rimangano in tasca, sfavorendo di fatto la sua passione, il cavallo.
Nella settimana appena trascorsa abbiamo assistito al solito doppio turno antimeridiano, con riunioni svolte a Sassari, Ravenna e altri campi minori con le relative 6 corse di qualità scadente; nella sola giornata di sabato abbiamo contato ben 11 tris nazionali; nell'odierna domenica, escludendo il campo di Milano trotto imperniato su tre corse di Gruppo, il Gran Premio Trinacria di Palermo e la buona qualità presentata all'ippodromo romano delle Capannelle, si è rimasti ingessati nel palinsesto pre-sciopero a cui eravamo abituati.
Oggi ho letto un articolo su Libero (quotidiano sempre vicino al mondo dei cavalli) pubblicato nella giornata di sabato 15 novembre a firma di Marco Montanari, e con nessuna meraviglia ho ritrovato le stesse sensazioni che ho provato in questi dieci giorni post-sciopero, sposando in pieno l'amarezza provata nelle parole scritte. Nel pensiero espresso da Montanari emerge un'analisi che dovrebbe far riflettere. Il paragone è portato al mondo del calcio e alle scommesse che su di esso vengono settimanalmente effettuate. Si guarda con invidia al boom delle scommesse calcistiche, non capendo in sostanza nulla. Il calcio ha tre quotidiani nazionali e un gran numero di canali televisivi a disposizione, l'informazione che viene effettuata è di conseguenza altissima, quantomeno viene messa in evidenza la popolarità del fenomeno, e l'esempio è presto fatto: tutti sanno chi allena l'Inter, quasi nessuno sa chi è la prima guida della Scuderia Biasuzzi. E' altresì imparagonabile quello che offre una giornata di Serie A con quello che offre un palinsesto domenicale che sia di trotto o di galoppo, sia sotto l'aspetto del prodotto venduto all'utente sia dal punto di vista mediatico: quasi nauseante per quantità quello calcistico, prossimo allo zero quello ippico. Eppure entrambi sono eventi che danno all'appassionato o al vizioso la possibilità di scommessa. Non si pretende che l'Ippica possa raggiungere l'appel mediatico del calcio, nessuno sport, in Italia, potrà mai competere con il mondo del pallone, ma una politica mirata alla qualità, con un'informazione mediatica più presente consentirebbe un movimento economico di gran lunga superiore a quello attuale. Montanari si spinge con un esempio: se nella domenica appena trascorsa a Tor di Valle si corresse il Derby di trotto, non movimenterebbe meno denaro del derby Roma-Lazio, provocando si lascia andare ad un "scommettiamo?". Di sicuro, oltre al vizioso, i cinque, dieci, venti euro li spenderebbero anche gli appassionati, perchè lo ripeto, i cavalli corrono grazie alle scommesse, e chi comanda avrebbe dovuto capirlo.
di Cirdan
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