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mercoledì 5 novembre 2008

THE WINNER IS: JHON MCCAIN


John McCain ha vinto
Buttate via i sondaggi, chiudete i giornali, spegnete la televisione, disconnetetevi da Internet. Barack Obama era solo una montatura. Il vincitore è John McCain! E, nonostante tutte le previsioni negative sulla sua sconfitta inevitabile, c’era da attendersi che diventasse lui il 44esimo Presidente degli Stati Uniti, perché c’è una differenza abissale tra l’America dipinta dai media e l’America reale.
Con John McCain, eroe autentico del Vietnam, vince l’America che vuole abbassare le tasse e vincere la guerra contro il terrorismo. L’America che non si fida di un candidato democratico dal passato sconosciuto, che è cresciuto all’estero, in uno Stato islamico, che ha saltato il servizio militare (e si propone come comandante in capo delle forze armate) e che promette di alzare le tasse ai ricchi, alimentando l’invidia sociale. Vince l’America che non ha il sorriso o la lacrima a comando, di un candidato Obama che studia ogni cosa che dice e che fa, anche nella tragedia: persino la morte di sua nonna, al momento “giusto”, alla vigilia della sua grande prova elettorale, sembra il copione di un perfetto film hollywoodiano.
Vince l’America che non cede alla campagna di denigrazione di tutti i media del Paese contro la vicepresidente Sarah Palin, indagata per un abuso d’ufficio che non c’era e prosciolta solo il giorno prima delle elezioni, quando ormai il danno alla sua immagine era stato fatto.
Votando per John McCain gli americani hanno fatto capire a chiare lettere che non credono agli uccelli del malaugurio del “declinismo”: credono ancora che gli Usa siano la prima potenza del mondo e che si comportino di conseguenza. Ed è questo il principale compito che il nuovo presidente repubblicano si troverà ad affrontare: formare una “Lega delle Democrazie” che agisca al fianco, ma al di fuori, delle Nazioni Unite. Che non cerchi il consenso di Stati autoritari come la Cina e la Russia prima di prendere iniziative per il mantenimento dell’ordine internazionale. La Lega delle Democrazie, così come è stata concepita da McCain, disporrà di un suo potere decisionale per emettere sanzioni contro i regimi canaglia, promuovere piani di aiuto internazionale e incoraggiare i movimenti democratici dove questi sono repressi.
Votando per John McCain gli americani hanno anche fatto capire a chiare lettere di non credere nello Stato e nella redistribuzione per uscire dalla crisi finanziaria.
McCain ha promesso, in campagna elettorale, di rendere permanenti i tagli fiscali di Bush (per tutti, non solo per chi ha un reddito annuo inferiore ai 250.000 dollari) e di ridurre la spesa pubblica.
La Heritage Foundation gli dà ragione: in un paper pubblicato poco prima delle elezioni, ha calcolato che, grazie al piano fiscale del presidente repubblicano, la classe media (quella che avrebbe dovuto essere privilegiata dai Democratici) pagherà meno tasse, meno di quelle che avrebbe dovuto pagare sotto Obama. Sempre grazie al piano fiscale di McCain, la Heritage ha calcolato un aumento medio annuo del Pil di 283,7 milioni di dollari (contro i 101,7 che potevano essere generati dal piano di Obama) e un incremento medio annuo di 2,13 milioni di nuovi posti di lavoro (contro i 920mila potevano essere creati grazie al piano di Obama).
Con McCain, insomma, prevale l’America che preferisce la crescita alla redistribuzione. Perché, come aveva sottolineato bene la scrittrice e filosofa russa Ayn Rand, approdata in America per fuggire dall’Unione Sovietica: “Se mi chiedete di nominare la più orgogliosa distinzione degli americani, sceglierei - perché contiene tutte le altre - il fatto che sono stati loro a creare la frase ‘fare soldi’.
Nessun altro popolo e nessun’altra nazione aveva mai usato prima quelle parole; gli uomini avevano sempre pensato alla ricchezza come ad una quantità statica - da ereditare, chiedere, rubare, dividere o ottenere come favore. Gli americani sono stati i primi a capire che la ricchezza deve essere creata”.

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