..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

mercoledì 3 dicembre 2008

AULE SORDE E GRIGE?

Guzzanti scrive il vero, nel suo articolo di oggi su il Giornale . Essere parlamentari "di fila" serve a poco o a nulla rispetto ai problemi importanti ed alle grandi scelte da compiere per il paese. Al massimo si diventa "importanti" al momento di premere quel benedetto pulsante, quando si contano i numeri e le idee sono ormai consegnate alla storia – o alla cronaca. Al resto pensano i solisti, i "primi" o al massimo le "spalle". Del resto la trasmissione diffusa dalla Rai con Radio radicale, che tanto fedelmente ripropone i dibattiti parlamentari, le interrogazioni, le mozioni, e insomma la "vita quotidiana" nelle aule parlamentari serve, se non altro, proprio per consentire al comune cittadino, a quello che non metterà mai a Palazzo Madama o a Montecitorio, di prender coscienza di tutto ciò: dello stracco cerimoniale officiato dal presidente di turno – in sottofondo si sentono i suggerimenti del funzionario che si ritiene conosca le regole – dei discorsi, preparati e riscritti per settimane, pronunciati di fronte all'aula vuota. Del resto sono discorsi che spesso perorano cause e interessi del piccolo mondo al quale il piccolo parlamentare deve l'elezione, o toccano le architetture barocche e le alchimie sapienti di leggi concordate col bilancino in altra sede, che non possono in alcun modo essere modificate, pena il crollo dell'intero edificio… Tempo perso davvero, e non possiamo più fingere di pensare che l'anima delle democrazia sia costituita da questo cerimoniale; non possiamo considerare essenziale e irrinunciabile questo modo di perder tempo dando la parola a tutti ben sapendo che tutto è già deciso e immodificabile, e che il peso o l'irrilevanza di quel che dici sono del tutto ininfluenti rispetto all'ordine di voto assegnato alla scuderia. Vengono alla mente quelle "aule sorde e grigie" di mussoliniana memoria, e non è un bel ricordo.
Non serve essere politologi per rendersi conto dell'inutilità sostanziale di gran parte dei dibattiti attuali in aula, dove il tempo vien perso in "piccolezze", le quali guadagnerebbero interesse e seguito fra la collettività se discusse in un altro e più circoscritto livello amministrativo, territorialmente più vicino alla comunità o al gruppo coinvolto.
Questo senso di inutilità è frustrante sia per il cittadino, che si vede quotidianamente alle prese con problemi evidenti e grandissimi, e sente discutere i propri eletti di emendamenti a emendamenti su leggine secondarissime che magari non vedranno mai la luce. Lo è anche per il parlamentare, che potrebbe essere un genio della politica – di solito non lo è perché anche lui è stato votato con lo stesso criterio con cui egli vota in aula – ma non trova modo e spazio per occuparsi efficacemente dei problemi importanti. Dice bene, ancora, Guzzanti: «Il parlamentare langue perché non serve», almeno in questo sistema bicamerale "perfetto" e centralistico. Una ricetta possibile per ridare spazio alla democrazia ed alla partecipazione potrebbe essere costituita, appunto, proprio da una riforma federale vera: non perché il personale politico locale si prospetti migliore di quello nazionale, ma perché le sue scelte sarebbero quotidianamente sotto il naso di tutti. E se poi non è detto che le scelte maggiormente apprezzate dal cittadino interessato siano le più virtuose e le più giuste, almeno nessuno potrebbe lamentarsi di quel che ha contribuito personalmente a scegliere.
Dice bene fin qui Guzzanti, ma ha torto, a mio avviso, su un punto assai rilevante. Questa in cui viviamo, che come anche lui scrive sarebbe identica a se stessa se avesse vinto Veltroni, non è solo «una repubblica presidenziale […] senza i contrappesi di una democrazia presidenziale» – anche se ovviamente aggiustamenti e adeguamenti delle regole rispetto alla realtà di fatto sono indispensabili. È una repubblica nella quale non una, ma due camere girano a vuoto discutendo delle stesse identiche cose per due volte, e non trovano, se non eccezionalmente, il tempo per occuparsi dei grandi problemi del Paese. E anche questo è il prezzo di un centralismo al quale molti si attaccano come ad un'ancora di salvezza.
di Marco Cavallotti

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