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Due, dunque, sono le ragioni essenziali per cui questo libro dovrebbe essere adottato come antologia nei licei e nelle università: perché ricorda una stagione lontana in cui per esser giornalista –aspirazione di massa dei giovani d’oggi, ahimé- dovevi scriver bene, molto bene, e perché intere ere geologiche sembrano trascorse dall’Italia descritta in alcuni di questi brani. Gianni Flamini, per dirne una, scopre sull’Avvenire che proprio davanti ad Albarella, mega villaggio turistico per miliardari, in pieno ’68 –solo 40 anni fa- centinaia di poveracci menano la vita di Pietro Nordi –detto il Muffa, per il fracicume delle sue ossa e della sua pelle a furia di vivere in palude- e son fiocinini: pescano di frodo anguille e cefali nelle paludi di Comacchio. E son arrestati e processati e vanno in galera e non son pochi, son tanti: 350 capifamiglia della zona che hanno accumulato ben 1200 processi. E poi Cesare Zappulli che se ne va a Manoppello, perché sui 262 minatori morti il 14 agosto 1956 a Marcinelle, una ventina venivano da quel paese in cui, semplicemente –questa è la notizia – “nessuna ragazza vuol più sposare un contadino”. Quindi, o in miniera, a rischiare, o nulla.
C’è anche altro, in questo libro. I saggi di Eugenio Scalfari sul miracolo italiano, due divertentissimi brani, il primo di Vittorio Zincone, che ci spiega nel 1946 che “Son poveri i deputati” e il secondo di Indro Montanelli che nel 1963 ci spiega che il “Panorama umano del Parlamento” è ormai tutt’altro, e che gli “onorevoli” se la passano benone. Poi c’è Iannuzzi sul “Piano Solo” del 1964 e lo scandalo Sifar; Lerner e Marcenaro che rompono l’omertà nella sinistra rivoluzionaria e danno voce su Lotta Continua al figlio di Andrea Casalegno, agonizzante per un vigliacco attentato delle Brigate Rosse; poi Pinelli…. Insomma, tutta la principale cronaca d’Italia sino al 1989, l’anno della svolta, che chiude la rassegna. E sempre più, via via che la televisione si afferma e si impone, il lettore cessa di stupirsi davanti alla riga del giornale, la parola, lo stile, l’affabulazione scendono di tono, di livello, si appiattiscono. La parola, insomma, insomma, cessa di esser regina. E lascia il posto al suono.
di Carlo Panella
da L'Occidentale
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