
Ma per la giustizia italiana il gioco è ancora più impegnativo e grandioso: intorno al suo letto di morte – meglio, al suo catafalco –, i contendenti sono molto più numerosi e agguerriti, perché la posta in gioco è davvero grossa: l'assetto futuro della nostra democrazia, della nostra vita civile ed economica, dipende proprio da questa battaglia. Che era partita con obiettivi chiari ed enunciazioni inequivoche, per imbastardirsi giorno dopo giorno in pateracchi condivisi fino a diventare, c'è da temere a sentire certe ipotesi, un pasticcio che non servirebbe a risolvere l'essenziale: una giustizia molto più rapida ed efficace, meno politica e arbitraria, meno barocca, con un'accusa e un giudice che non siano della stessa famiglia.
Il guaio è che se la si mette sul piano della politica politicante la battaglia è perduta in partenza: perché ci sono nell'uno e nell'altro schieramento manovratori di lungo corso che non impallidirono nemmeno di fronte alle indimenticabili "convergenze parallele", anzi ci guazzarono: figurarsi di fronte a imperscrutabili patti di inclusione, di condivisione, di consenso delle parti interessate, di società civile e responsabile che dice la sua. Roba di tutti i giorni, da 50 anni e più. Una bazza, una pacchia che consente a tutti di riaprire discussioni su obbrobri che si davano per conclusi, su confusioni di ruolo che si dichiaravano inammissibili, su associazioni e gruppetti di interesse politico e di potere che avrebbero dovuto esser tenute fuori dalla porta.La forza di questa maggioranza sta proprio nello stile diverso, meno assembleare e compromissorio, nei suoi messaggi chiari e nell'attività concreta che ne dovrebbe conseguire. Adottare i metodi evanescenti, i rituali e i criteri della politica italiana di sempre, sarà una forte tentazione, un vezzo o una debolezza alla quale è difficile sottrarsi; ma può anche essere la ragione di un insuccesso e di un'occasione storica perduta.
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