..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 5 marzo 2009

IN AFGHANISTAN SI PUO' VINCERE

Non vi è dubbio che la situazione in Afghanistan sta peggiorando, il numero delle vittime civili è aumentato del 40% dal 2007 al 2008.
Data la difficoltà del compito, è assolutamente appropriato trovare il modo migliore di procedere, ma la preoccupazione maggiore regna nelle opinioni degli analisti che, nonostante una notevole esperienza, tendono a divulgare argomentazioni che possono condurre in direzione sbagliata.
Ann Marlow del Wall Street Journal, sostiene che non c'è bisogno di un aumento delle truppe degli Stati Uniti in Afghanistan. Ma che si dovrebbe sostenere l'espansione della polizia nazionale afgana. Questo dovrebbe essere relazionato ad un importante cambiamento nella Costituzione afgana per consentire ai governatori di essere eletti, piuttosto che nominati dal governo centrale.
Max Boot tramite il Washington Post, ha già spiegato per cui sia stupido dare la colpa a tutti i problemi dell'Afghanistan di Karzai sulla presunta corruzione che vigerebbe nella regione. Questo fa parte di un modello, quello che abbiamo visto in Iraq, così come in precedenza in Vietnam: Quando le cose vanno bene in una guerra straniera, ci si prendeno i meriti. Quando le cose vanno male, la colpa è degli alleati locali. Questo approccio non tiene conto della realtà che, se si realizza un lavoro migliore per creare le condizioni di sicurezza, allora i leader locali saranno in grado di esercitare maggiori poteri, come è accaduto l'anno scorso in Iraq.
I paesi come l'Iraq e l'Afghanistan hanno bisogno di una maggiore quantità e qualità di forze per la sicurezza locale. Ma se c'è qualcosa che l'Iraq dovrebbe averci insegnato, è che il tentativo di porre l'onere della lotta contro i terroristi ad inesperte truppe locali - come Marlowe propone ora in Afghanistan - è una formula che porta dritti al fallimento.
Le truppe degli Stati Uniti dovrebbero inizialmente assumere la guida. Solo una volta smussate le peggiori minaccie per la sicurezza del personale locale, potrebbe aprirsi uno spiraglio di luce, finanziando e addestrando le forze di polizia afghane. Allo stato attuale non si può pensare di sconfiggere i talebani nel breve periodo.
Ralph Peters, uno dei più provocanti analisti, per il New York Post scrive: "36000 soldati americani in Afghanistan sono prigionieri di guerra. Ma il loro destino si trova nelle mani del Pakistan, non nelle nostre. Siamo ora sul punto di raddoppiare il nostro impegno e stiamo mettendo le nostre truppe in balia di uno dei più corrotti Stati del mondo, che ha tagliato un accordo con gli estremisti nel far rispettare la legge della Sharia".
Questo è un punto di vista conservativo che talvolta è stato anche ascoltato durante la guerra in Iraq. Il Presidente Bush ha ignorato tale consulenza perché ha capito che una prematura uscita di scena avrebbe potuto provocare la scintilla per una terribile guerra civile, con conseguenze per gli interessi statunitensi in tutta la regione.
La stessa cosa vale per l'Afghanistan, se si lascia assumere ai talebani una parte sostanziale del Paese.
Ralph Peters suggerisce che si potrebbe sempre tornare in Afghanistan, e che sarebbe comunque più conveniente nel "sangue" (quello americano e afgano) cercare di costruire uno Stato di diritto in uno Stato che non è mai esistito. Ma non sarebbe così semplice tornare, come lo è stato per i britannici che hanno costruito diversi avamposti permanenti sulla frontiera nord-ovest. Se non si dovesse fare affidamento sulla potenza aerea (uno strumento di uso limitato contro guerriglieri che si nascondono nelle grotte, e in un territorio in gran parte privo di infrastrutture), si dovrebbero ristabilire la logistica e le linee basi create nel 2001, dove sono stati spesi innumerevoli miliardi di dollari.
La guerra in Afghanistan è ben lungi dall'essere senza speranza. Con un maggiore impegno di risorse e l'introduzione di un ragionevole, unificato, piano strategico (cosa che finora mancava), si può ancora girare la marea contro i talebani. Questa strategia potrebbe essere di gran lunga meno costosa e più realistica, invece che alzare le mani in preda alla disperazione.

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