Quando ci si domanda come mai "altri" riempiono le serate dedicate alla pizza e al cinema, le risposte arrivano copiose. Osservo: quando si acquista un giocatore capace di trenta gol nel campionato olandese, e lo sì inventa laterale di destra, in un tridente capace di segnare quattro gol fuori casa, in un quarto di finale di Champion League, vuol dire essere meritevoli di parteciparvi. Aggiungo: se quella partita, poi, termina in un leggendario 4-4, grazie a chi è consapevole di essere vice campione d'Europa, si capisce il perché, anche quest’anno, tre squadre inglesi si giocheranno la semifinale della coppa dalle grandi orecchie.
Faccio un passo indietro (purtroppo). In settimana mi è capitato di assistere allo spot del big match tra Juventus e Inter: paesaggio medioevale, l’Olimpico “photoshoppato” in stile fortezza, e due cavalieri pronti alla sfida, con tanto di vessilli colorati e sostenitori al proprio seguito. Scenograficamente perfetto, rispecchiante la sfida centenaria del cosidetto "Derby d'Italia", andato in scena nell’anticipo della trentaduesima giornata, e con l’intento (in buona fede) di presentare l’evento come le crociate medioevali. Peccato che di storico, di questa partita, rimarrà poco e niente.In campo sono scese la prima e la seconda del campionato italiano, con dieci punti di differenza. La pochezza di gioco espressa da entrambe le parti non ha bisogno di commenti, con sporadiche azioni, nate dall’invenzione del singolo, in un classico incontro all’italiana: difesa e contropiede (oggi preferiscono chiamarle ripartenze, fa più tecnico).
Sulle panchine due allenatori agli antipodi, per quel che riguarda la persona: posato, elegante ed educato il tecnico romano; spettacolare, geniale e moderno il mister “speciale”. Salvo ritrovarsi quando si tratta di mettere in campo le squadre: difesa ferrea, lanci a scavalcare il centrocampo e contropiede, affidandosi alle indiscusse qualità dei singoli. Risultato: segna Balotelli in contropiede, da un’azione avviata da Ibrahimovic e proseguita, con l’assist vincente, da Muntari; pareggia Grygera, su calcio d’angolo, con la Juventus in dieci, al secondo minuto di recupero.Cercando di non far fare brutta figura agli autori dello spot televisivo, i giocatori hanno provato a far vedere anche qualcosa di antico, di burbero, come una vera battaglia in campo aperto sotto la pioggia e sopra il fango: dall’irriverenza, fino a quando è rimasto in campo, di Balotelli (qualcuno deve avergli fatto qualcosa per forza), all’ingenuità di Tiago, per finire con le solite battute da “campo” tra Ibrahimovic e Chiellini.
Questa è la vetrina che il nostro calcio ha esposto in mondovisione, opaca, spenta, il ricordo nemmeno sbiadito di un calcio che avevamo reso unico nel panorama internazionale, apoteosi di quella notte d'estate sotto il cielo di Berlino.Martedì scorso, invece, abbiamo avuto la fortuna di assistere ad una partita di calcio (vorrei scriverlo a caratteri cubitali), senza tanti teatrini. Giocatori che hanno dato tutto quello che avevano cercando di segnare più gol agli avversari, nessuna voglia di perdere tempo in discussioni inutili pre, durante e post partita, e sugli spalti un continuo cantare a prescindere dal risultato. Il tutto sorretto da una programmazione oculata e attenta, che a pochi chilometri di distanza dalla gara di Stamford Bridge, prendeva ogni sua forma in una squadra composta da ragazzi, nati l'anno dello storico scudetto del Verona.
Attenzione, qui non si tratta di vedere sempre più verde l’erba del vicino, ma di comprendere che accade tutto questo per meritocrazia, e non per caso. Difficile non cogliere le motivazioni del perchè, oggi, i lidi dello stivale siano meno appetibili di un tempo. Una “santa inquisizione” cancellò il futuro della Juventus e del calcio italiano. Oggi noi guardiamo i teatrini, mentre altri diventano leggenda.
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