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martedì 29 settembre 2009

L'UOMO NERO DI OBAMA

L’uomo dietro la possibile, ma non ancora certa, svolta afghana di Barack Obama è il suo vicepresidente Joe Biden. Il ruolo di Biden, decano della politica estera del Partito democratico, è la perfetta nemesi del suo predecessore Dick Cheney. Così come Cheney è stato il primo ispiratore della risposta aggressiva di George W. Bush agli attacchi dell’11 settembre, Biden interpreta per Obama la parte dell’advisor che consiglia prudenza e cautela sulle questioni militari. Obama, rispetto a Bush, è entrato alla Casa Bianca con un profilo ben più autonomo dal giudizio del suo vicepresidente, ma le ultime indiscrezioni raccontano di un Biden che sta vincendo contro Hillary Clinton, contro i generali David Petraeus e Stan McChrystal e contro il capo di stato maggiore Mike Mullen, il dibattito sulla ridefinizione della strategia politica e militare in Afghanistan e il passaggio da un’operazione ad ampio raggio contro la guerriglia talebana a una più limitata azione contro al Qaida.
Non è stato sempre così. Quando, alle primarie 2008, Obama e Biden erano avversari, il falco era l’attuale vicepresidente e le critiche a Obama erano rumorose. Nel 2002, Biden sosteneva che “dobbiamo fare qualsiasi cosa serva, perché la storia ci giudicherà malamente se lasceremo evaporare la speranza di un Afghanistan liberato solo perché non saremo riusciti a mantenere la rotta”.
Ora invece è proprio lui, l’anti Cheney, a voler circoscrivere l’impegno in Afghanistan e Obama sembra orientato a seguire il suo suggerimento, anche se oggi il generale McChrystal presenterà al Pentagono la richiesta di nuove truppe per portare a termine la missione più ampia indicata a marzo dallo stesso Obama. E’ possibile anche che il presidente stia semplicemente prendendo tempo e voglia dare l’impressione alla sua base elettorale di aver valutato ogni ipotesi possibile, compresa quella meno bellica, prima di assecondare le richieste dei suoi generali.

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