..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

giovedì 26 novembre 2009

LA GUERRA AL TERRORE DI OBAMA

Il delicato viaggio in Asia di Barack Obama e il primo passo in avanti sulla riforma sanitaria al Senato di Washington hanno oscurato la notizia del licenziamento in tronco, mascherato con una cortese lettera di dimissioni, di uno dei più importanti e decisivi consiglieri della Casa Bianca.
Greg Craig era il White House Counsel, il consigliere giuridico del presidente, la persona che plasma gli aspetti legali di ogni atto e politica presidenziale. Rispettato per integrità morale e capacità giuridiche, due anni fa Craig è stato uno dei primi nomi di peso di Washington a schierarsi con Obama, creando un mini terremoto nel Partito democratico perché è stato sempre considerato un clintoniano di ferro, tanto da aver difeso il quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti ai tempi dell’impeachment al Senato seguito allo scandalo sessuale con la stagista Monica Lewinsky.
Obama l’ha sostituito alla Casa Bianca con Bob Bauer, il suo avvocato personale nonché legale del Partito democratico sulle questioni dei finanziamenti elettorali. A Washington dicono che Bauer non ha le competenze necessarie a ricoprire il ruolo e non è passato inosservato il fatto che Bauer sia sposato con Anita Dunn, la stratega della comunicazione della Casa Bianca, appena dimessasi dall’incarico forse proprio per far posto al marito, più che per la sua dichiarazione di guerra alla tv conservatrice Fox News (guerra comunque persa: Fox è in crescita di ascolti, ha risposto alla Dunn ripescando un video in cui la consigliera del presidente sosteneva che il presidente Mao fosse uno dei suoi “filosofi politici preferiti” e la settimana scorsa Obama ha concesso al canale di Murdoch una lunga intervista).
L’importanza dell’avvicendamento di Craig non è una semplice questione di poltrone o di intrecci politici e personali. L’uscita di scena dell’avvocato della Casa Bianca segnala un cambiamento di strategia politica da parte del presidente sulla guerra al terrorismo in un momento in cui la sua popolarità è scesa al 48 per cento e sembra aver perso la maggioranza degli elettori indipendenti che un anno fa lo avevano eletto alla Casa Bianca.
Greg Craig avrebbe preferito un posto di politica estera o di sicurezza nazionale nell’Amministrazione Obama, ma è stato convinto dal presidente ad accettare il ruolo di consigliere legale della Casa Bianca perché da lì avrebbe potuto definire le nuove regole della guerra al terrorismo che Obama aveva promesso in campagna elettorale. Così è stato. Al secondo giorno di presidenza, grazie al lavoro di Craig e del suo team di giovani cervelli presi nelle migliori università americane, Obama è stato in grado di annunciare la chiusura di Guantanamo, di cancellare il programma di interrogatori avanzati elaborato dalla Cia e di promettere una revisione completa dell’architettura giuridica della guerra al terrorismo lanciata da George W. Bush e Dick Cheney.
Ad aprile sono cominciati i primi problemi per la Casa Bianca, anche grazie al deciso intervento di Cheney nel dibattito sulle politiche di sicurezza nazionale adottate dal presidente. Craig aveva facilmente convinto Obama a togliere il segreto di stato ai memo, i pareri legali, del dipartimento di Giustizia di Bush che autorizzavano le tecniche di interrogatorio “avanzate” sui terroristi catturati in Afghanistan e in giro per il mondo. La decisione è stata molto combattuta dentro l’Amministrazione, aprendo una crisi con gli apparati di intelligence, ma alla fine è stata presa non solo perché in linea con le promesse elettorali di Obama ma anche perché gli strateghi della Casa Bianca pensavano che la pubblicazione di questi documenti avrebbe accontentato l’ala sinistra del mondo liberal e chiuso una volta per tutte le polemiche con la precedente amministrazione.
E’ successo il contrario. La pubblicazione di quei pareri legali ha scatenato le associazioni dei diritti civili a chiedere in tribunale la desecretazione di altri documenti, di fotografie, di memorandum e di quant’altro potesse imbarazzare Bush e soci. Il primo risultato è stato che Cheney e l’ala dura del mondo conservatore hanno riconquistato voce, convinti che le scelte buoniste di Obama avrebbero imbrigliato le attività antiterrorismo della Cia e messo in pericolo la sicurezza dell’America e dei suoi alleati. La situazione è diventata incontrollabile e rischiava di impantanare l’Amministrazione in una polemica infinita sul passato, mettendo a rischio le capacità dell’apparato di sicurezza nazionale di difendere il paese e quelle di Obama di realizzare il suo programma di governo.
A poco a poco Obama ha deciso di cambiare posizione, di ribaltare le promesse di trasparenza fatte in campagna elettorale e di non seguire più i consigli di Craig. Nel giro di poche settimane, il presidente ha messo il segreto di stato sui documenti del passato, difendendo la decisione in tutti i tribunali del paese. La Casa Bianca, inoltre, ha lasciato intendere che Guantanamo non sarebbe stato chiuso entro l’anno, ha puntato sul potenziamento del carcere nella base militare afghana di Bagram per la detenzione dei terroristi catturati in battaglia, ha confermato il rinnovo delle extraordinary rendition (cattura clandestina e trasferimento in paesi terzi di sospettati di terrorismo), ha spiegato che avrebbe continuato a usare le corti militari di Bush per processare i terroristi di Guantanamo e che almeno una settantina dei detenuti non avrebbe ricevuto alcun processo e sarebbe rimasto rinchiuso a tempo indefinito.
“Il presidente – ha scritto Time venerdì scorso – si è allontanato dalle promesse che aveva fatto in campagna elettorale e si è avvicinato a posizioni più moderate, alcune delle quali preferite da George W. Bush”. Allo stesso modo, continua Time, Obama ha affidato la responsabilità di ridefinire l’architettura giuridica della guerra al terrorismo a Rahm Emanuel, il suo chief of staff, e a John Brennan, il vice consigliere antiterrorismo che negli anni di Bush è stato il numero due del direttore della Cia George Tenet.
La scelta di Emanuel e Brennan, e il conseguente ridimensionamento di Craig, hanno convinto il White House Counsel a dimettersi, dopo mesi di smentite ai giornalisti che avevano anticipato la crisi nel rapporto tra Obama e il suo consigliere giuridico. L’approccio di Emanuel è più politicizzato, il suo obiettivo è trovare una mediazione tra le richieste dell’ala sinistra del partito, delusa da alcune decisioni della Casa Bianca molto simili a quelle di Bush, e l’esigenza del comandante in capo di mantenere sicuro il paese e non perdere il consenso di moderati e indipendenti.
La mediazione però non sempre garantisce risultati accettabili. La prima decisione del nuovo corso, infatti, è stata di annunciare un prossimo processo nei confronti di Khalid Sheikh Mohammed (KSM), l’architetto degli attacchi dell’11 settembre, e di altri nove terroristi di al Qaida oggi detenuti a Guantanamo. Il ministro della Giustizia, Eric Holder, ha spiegato che KSM e altri quattro prigionieri implicati nella strage dell’11 settembre tra qualche mese saranno processati nella Corte federale di New York, con le regole e le garanzie previste per tutti i cittadini americani. Altri cinque detenuti, invece, non avranno diritto alle stesse garanzie, ma saranno giudicati nelle corti militari di Guantanamo istituite dall’Amministrazione Bush e approvate dal Congresso con il voto contrario dell’allora senatore Obama. Altri 75 detenuti, dicono fonti dell’Amministrazione, non riceveranno alcun tipo di processo e resteranno in carcere a tempo indeterminato, per ora a Guantanamo e, una volta chiuso il carcere sull’isola di Cuba, probabilmente in una prigione dell’Illinois.
Obama quindi porta davanti a una Corte penale i terroristi più terribili, ma soprattutto quelli per cui reputa sia più facile dimostrare la colpevolezza di fronte a una giura popolare, esaudendo una promessa di campagna elettorale e accontentando l’ala sinistra del movimento che lo ha eletto. Ma, allo stesso tempo, conferma l’impostazione giuridica dell’Amministrazione Bush, non solo utilizzando quelle corti militari speciali che aveva contrastato da senatore e sospeso all’inizio della sua presidenza, ma anche confermando la negazione di ogni tipo di diritto giuridico e processuale a un gruppo consistente di “nemici combattenti”.
Ufficialmente Obama non c’entra nulla con questa decisione di processare KSM e gli altri quattro a New York, almeno così ha detto al Senato e altrove Holder, ma nessuno ci crede veramente e semmai questa insistenza a escludere Obama dalla scelta sembra uno stratagemma per proteggere il presidente e far ricadere la colpa, qualora le cose dovessero andare male, soltanto sull’attorney general.
La scelta di portare i responsabili dell’11 settembre a pochi passi da Ground Zero è a dir poco controversa. Ai repubblicani ha fornito altre munizioni per criticare Obama e urlare al paese che il nuovo presidente vuole combattere la guerra al terrorismo con la procedura penale, invece che con quella militare. I commentatori di destra ricordano che il processo newyorchese ai responsabili del primo attentato alle torri gemelle del 1993 non ha fermato al Qaida, malgrado la condanna dei responsabili, anzi ha addirittura aiutato Bin Laden visto che il governo americano è stato costretto dai giudici a depositare documenti, liste di nomi e prove della pianificazione islamista per colpire New York. Inoltre, sostengono i contrari al processo federale, buona parte delle prove raccolte contro i prigionieri di al Qaida non è utilizzabile in un tribunale, perché raccolte in un teatro di guerra e non in un’operazione di polizia giudiziaria, oppure perché ottenute attraverso tecniche di interrogatorio che la stessa Amministrazione Obama ha definito “tortura”.
I conservatori si chiedono se d’ora in poi i militari che catturano un terrorista in Afghanistan o in Pakistan dovranno leggergli i diritti, a cominciare da quello di rimanere in silenzio e di avere un avvocato, come aveva chiesto lo stesso KSM quando è stato catturato in Pakistan. La Cia, invece, lo ha messo a Bagram e lui ha cominciato a parlare e a dare un quadro dell’organizzazione di al Qaida soltanto dopo essere stato sottoposto al waterboarding, all’annegamento simulato.
Già adesso, ha confermato Holder al Senato, squadre di avvocati governativi sono impegnate a gestire le continue richieste della Cia e dei militari sul campo che non sanno che cosa fare con i prigionieri, ma la risposta dell’Amministrazione non è sempre coerente. A volte, ha ribadito Holder, leggiamo al catturato i “Miranda rights”, altre volte no. E’ proprio questa la preoccupazione principale dei conservatori e dei sostenitori della guerra al terrorismo di Bush, quella che gli obamiani abbiano abbandonato l’idea stessa che quella contro il terrorismo sia una guerra. “Siamo in guerra”, ha ripetuto più volte Holder al Senato, provando a contenere le critiche dei senatori repubblicani.
Gli opinionisti di sinistra, a loro volta, ricordano che anche Bush negli anni scorsi, senza che nessuno avesse avuto niente da dire, ha processato in corti penali federali alcuni terroristi, a cominciare dal famigerato ventesimo dirottatore dell’11 settembre, Zacarias Moussaoui, catturato (in America, non in guerra) un mese prima dell’attacco. In realtà, allora, a protestare erano stati i democratici come il senatore di New York Charles Schumer, oggi gran sostenitore dei processi a Manhattan, ma tre o quattro anni fa contrarissimo al processo federale a Moussaoui proprio perché non voleva che fosse considerato un precedente legale per poi processare a New York i responsabili dell’11 settembre.
L’Amministrazione prova a smontare le accuse di chi sostiene che sta per mettere New York di nuovo in pericolo portando i terroristi in città e attenua le critiche sui costi dell’operazione, ma soprattutto sottolinea l’importanza dell’esempio che gli Stati Uniti daranno al mondo, non solo musulmano, giudicando in una corte ordinaria gli autori del principale attacco terroristico della storia americana.
La motivazione morale però regge solo a metà, non solo perché altri detenuti saranno giudicati nelle corti militari o neppure processati, ma perché al Senato Holder ha spiegato che se i cinque terroristi dovessero essere assolti per qualche motivo procedurale, come è capitato a O.J. Simpson, non verranno affatto rilasciati, ma tornererebbero a Guantanamo. Obama e Holder, inoltre, hanno già garantito al pubblico americano che i cinque terroristi saranno certamente condannati alla pena di morte. “E’ un processo farsa”, ha commentato Cheney, invocando i processi staliniani.
L’Amministrazione Obama spera che KSM e gli altri chiederanno di essere condannati e giustiziati, come hanno già fatto negli anni scorsi nelle corti militari da buoni aspiranti martiri, ma due giorni fa i loro avvocati hanno spiegato che a New York si dichiareranno “non colpevoli”, pur senza negare che cosa hanno fatto. Il loro obiettivo è spiegare al mondo perché l’America si meritava l’attacco.

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