..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 4 dicembre 2009

IL FERMO E LO SCIANCATO

Quando ci si trova ad affrontare problematiche riguardanti la famiglia, i genitori ed i figli, il terreno su cui tocca muoversi assomiglia di gran lunga ad un vero e proprio campo minato; basta un passo sbagliato, una decisione frettolosa, la voglia di rivalsa o vendetta, per ampliare una voragine che rischia di diventare un ostacolo insormontabile per il resto della propria esistenza.
Nell'ultimo periodo storico, e dopo le trasformazioni che hanno investito la nostra cultura, le leggi riguardanti l'aspetto famigliare hanno fatto, a ragione o torto, notevoli cambiamenti.
Basti pensare a come, un semplice avverbio abbia consentito di evidenziare un concetto molto importante. La recente legge n.54/2006, che ha introdotto l'affido condiviso, ha innovato la portata dell'articolo 155 del codice civile iniziando con un avverbio (anche) il primo comma di tale articolo. Deve innanzi tutto rilevarsi, che l'uso di un avverbio non è usuale nella tecnica del legislatore in quanto, di regola, un articolo di legge o un suo comma, inizia con un articolo, determinativo o indeterminativo, con un soggetto o con un verbo. Il dato testuale e la collocazione dell'avverbio "anche" all'inizio del primo comma dell'articolo 155, intitolato "Provvedimenti riguardo ai figli", potrebbero già costituire elementi sintomatici per evidenziare l'importanza che il legislatore ha dato a tale avverbio ed il suo innalzamento a pietra angolare della riforma, un concetto semplice ma fin'ora sconosciuto o, per lo meno, inapplicato nella più gran parte dei casi di separazione, che quest'ultima sia matrimoniale o di fatto: il diritto di ciascun coniuge di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con i propri figli ed il correlativo diritto di ciascun figlio di mantenere tale rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi i genitori.
La portata rivoluzionaria di tale articolo è data dalla lettura dell'avverbio "anche" letto unitamente al soggetto di tale primo comma che, a differenza del passato, diventa il "figlio minore" il quale viene correlato alla separazione personale non più dei coniugi ma bensì dei "genitori". In soldoni: il figlio diventa il sole attorno al quale ruota tutto il sistema solare della famiglia e cioè i due genitori.
Importante, a questo punto, analizzare alcuni aspetti. Alla lettura testuale dell'articolo 155-bis si evince quanto segue: "La potestà è esercitata da entrambi i genitori, cui competono anche la cura e l'educazione dei figli. Le decisioni di maggiore importanza sono sempre assunte congiuntamente".
Una vera e propria rivoluzione sotto tutti gli aspetti, se si pensa che nel codice civile del 1942 veniva affermata l'indissolubilità del matrimonio, con la conseguenza di poter pronunciare la separazione solo in caso di colpa di uno dei coniugi, e con conseguente affidamento del minore al coniuge "senza colpa".
E poi ancora la legge n. 898 del 1970 (divorzio), in cui cade il principo dell'indissolubilità del matrimonio e si delinea un nuovo assetto circa l'affidamento della prole, in quanto il profilo da privilegiare diventa quello della tutela dell'interesse morale e materiale dei figli. Una materia che ha trovato la sua evoluzione con la legge n. 151 del 1975, in cui la separazione non è più configurata in termini di colpa, ma secondo i parametri di intollerabilità della convivenza non influendo sull'affidamento della prole, quest'ultima disposta secondo l'articolo 6 della legge 898/70 e l'articolo 155 del codice civile, disposizioni che configurano l'aspetto affidatario di tipo monogenitoriale, per cui il minore resta affidato al solo genitore considerato più idoneo, dotandolo di potestà esclusiva circa l'educazione, la cura e l'istruzione.
In quest'ultimo trentennio  si sono verificati profondi mutamenti sociali, frutto del definitivo trasformarsi dell'Italia da Paese prevalentemente agricolo ad industriale, mutamenti che hanno scavato, in termini di materia legislativa, profonde modifiche per i continui terremoti sociali i quali, aiutati dalla velocità estrema dei mezzi di comunicazione, si sono sovrapposti gli uni agli altri.
Ma nonostante la 54/2006 abbia di fatto equiparato le due figure, trasformando da monogenitoriale a bigenitoriale gli obbligi dei genitori quale che sia il regime di affidamento stabilito, concordando le iniziative riguardanti la salute, le scelte educative, l'istruzione e ogni altra questione destinata a incidere in maniera significativa e durevole sulla vita dei figli o per la quale i figli stessi intendano utilizzare il contributo di entrambi i genitori, rimane fondamentale, a prescindere da qualunque legge in materia, il rispetto di quanto previsto dalle modalità di affidamento e all'adempimento di tutti gli obblighi da esse derivati. Rispetto verso l'obbligo di astenersi, da parte di entrambi i genitori, da atti e comportamenti di qualsiasi tipo volti ad impedire, ostacolare o limitare i contatti del minore con l'altro genitore.
Ma quando questo "rispetto" viene a mancare? E soprattutto, quanto un'eventuale decisione in merito può incidere sul futuro dei figli e di noi stessi?
Una materia così complessa e delicata, per mia diretta esperienza, trova una difficile collocazione all'inteno di una qualunque legge o di un singolo comma, soprattutto quando la prole viene usata, o si fa usare, come un'arma improria d'offesa nei confronti di uno dei due genitori. Vero che la legge tutela il minore, vero che la legge tutela la parte non rispettata dai dettami giuridici, altresì vero che queste forme di tutela non siano in grado di conoscere fino in fondo l'aspetto morale degli eventuali protagonisti.
Immaginiamo. Un figlio viene congedato ad anno in corso (con votazioni ben al di sopra della media generale) dall'attività scolastica, viene trasferito in altra città con conseguente iscrizione ad altro istituto scolastico. Tutto possibile, tutto "normale" se non fosse che, uno dei due genitori (il padre) viene tenuto allo scuro da tutto questo, violando di fatto leggi e soprattutto i diritti, non solo legislativi, dell'altra parte.
Il primo, ed inevitabile, passo sarebbe quello di avvalersi della legge, di far rispettare quanto fino qui abbiamo detto e di utilizzare, per il bene della prole, le armi a disposizione.
Ma siamo sicuri che tutto questo gioverebbe ad una situazione che, resa complicata già da una separazione, potrebbe incrudelirsi ancora di più?
A questo punto la grandinata di domande diventa copiosa.
Cosa potrebbe lasciare nella mente di un minore l'eventuale denuncia a carico di chi ha violato un obbligo, essendo il denunciato la madre e il querelante il padre?
Quanto tempo fruibile verrebbe a mancare nel rapporto tra genitore e figlio, se fosse dato mandato d'iniziazione della causa?
Quale livello d'inasprimento si potrebbe raggiungere tra le parti, tale da rendere ancor meno gestibile il rapporto tra figlio e padre?
E soprattutto, quali sarebbero i tempi giuridici per stabilire un'eventuale condanna?
I temi della giustizia italiana in questo spazio sono stati affrontati più volte, ed ogni volta ci siano trovati di fronte ad una malagestione dei procedimenti, inopportunamente gettati in pasto all'opinione pubblica e con tempistiche prossime alla composizione di una "Divina Commedia". A cosa servirebbe, in proposito, un'eventuale vittoria a distanza di 5/6 o forse 10 anni?
Quale profitto potrebbe ottenere un minore che al termine del procedimento si ritroverebbe maggiorenne e magari con una vita ed una famiglia propria?
Dunque che fare, arrendersi?
Ho la certezza assoluta che sia indispensabile valutare i pro e i contro, gli interessi del minore e la sua serenità, lasciando da parte orgoglio personale e senso di rivalsa. Certo, una giustizia con tempistiche idonee sarebbe l'ideale per applicare leggi che tutelano, oltre il minore, anche i sopprusi che vengono perpretati ai danni della figura paterna.
Altresì rimango fermamente convinto che solo l'intelligenza dell'essere umano possa sopperire alle lacune giuridiche e all'ignoranza di chi, scientemente, si è resa colpevole di un gesto meschino e ignobile.
E che solo con l'amore, con il tempo, la dedizione, il coraggio e la costanza, un padre possa in futuro guardare negli occhi il proprio figlio consapevole di aver agito, in tutto e per tutto, nei suoi interessi, evitandogli di claudicare  per tutta la vita al fianco dello sciancato di turno.

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