L’Onest’uomo definisce "robe da matti" le notizie e le intercettazioni scovate dai legali di Moggi (e nascoste dagli investigatori) nel corso del processo di Napoli. Non sono robe da matti. Le robe da matti sono le cose fatte dalla proprietà e dalla società Juventus nel 2006, quando fece di tutto per non difendersi e per essere condannata.
Non sono stupito. Non sono nemmeno entusiasta. L’ho scritto dal giorno numero 1, di quattro anni fa, che quelle telefonate ai designatori le facevano tutti. Non importa cosa si dicessero, perché la Juve non è stata condannata sportivamente (penalmente Moggi sarà assolto) per le cose che sono state dette durante quelle telefonate non dissimili e forse anche più innocenti di quelle venute fuori allora sugli incontri segreti tra arbitri e dirigenti di altre squadre e quelle nuove di questi giorni. No, la Juve è stata condannata per violazione dell’articolo 1 del codice sportivo, quello sulla lealtà sportiva, secondo cui non è leale intrattenere rapporti con i designatori. Su questo sono d’accordo: non è leale intrattenere rapporti con i designatori. Ma non è un illecito sportivo (partite truccate), perché di per sé i rapporti conviviali non si tramutano necessariamente in favori, rigori, ruberie e quant’altro, specie se tutti si intrattengono con tutti.
Ma la Juve, ripeto, è stata condannata per sei violazioni dell’articolo 1, per violazioni del principio di lealtà sportiva che i giudici scelti uno a uno il giorno prima del processo (e dopo aver cancellato un grado di giudizio) dall’ex consigliere d’amministrazione ed ex avvocato degli indossatori di scudetti altrui hanno comicamente trasformato, in nome del sentimento popolare ("arbitro cornuto") e delle cronache miserande della Pravda rosa che si trova sui banconi dei gelati nei bar dello sport, in un illecito sportivo senza che ci fosse traccia di partite combinate, sorteggi truccati, ammonizioni mirate, passaggio di soldi eccetera.
La cosa più importante che sta accadendo a Napoli non è il numero di telefonate di Moratti e Facchetti (e di altri dirigenti) con gli arbitri, nemmeno il numero di cene e di pernottamenti a casa di un designatore, anche se qualcuno chiamava l’ex terzino "rompicoglioni" per quante volte era solito telefonare. La cosa più importante è che il processo, ignorato dai media nazionali ma trasmesso da radioradicale, sta sbriciolando la tesi della cupola moggiana e ridicolizzando l’inchiesta fondata sulle cronache del giornale di Carlo Verdelli.
Le telefonate trascritte dai legali di Moggi sono assolutamente innocenti, ma provate a leggerle sostituendo il nome "Moratti" con "Moggi" e immaginate che cosa sarebbe successo sui giornali dei poteri forti con tutti quei "io ci tenevo ad incontrarLa", "le devo fare una confidenza", "mi hanno strizzato l’occhio" (i guardalinee), "vediamo di fare dieci risultati partite utili di fila, eh!". Chiacchiere da bar in questo caso, chiacchiere da bar nel caso di Moggi.
Ultima cosa, la Juventus. Proprietà e dirigenti della società che è quotata in Borsa devono difendere per statuto e interesse il patrimonio e gli azionisti. Devono chiedere la riapertura dei processi sportivi, avanzare esposti al procuratore Palazzi (che fa, dorme?), chiedere i danni (come ha fatto ieri quel gigante di Bobo Vieri).
Delle due l’una: o queste telefonate le facevano tutti, non contano niente, non costituiscono illecito sportivo – come credo io e quindi restituite gli scudetti, chiedete scusa e ringraziate il cielo che non chiediamo di annullare tutti i campionati successivi – oppure sono un reato come quello per cui la Juventus è stata condannata e, con lo stesso metro, vanno tolti i cinque scudetti agli indossatori di scudetti altrui. Tertium non datur. Se si scegliesse la seconda strada, quella giustizialista che però ora ai giustizialisti non piace, io sarò in prima fila a difendere gli indossatori di scudetti altrui, vincitori meritoriamente sul campo di quattro dei cinque ultimi campionati, per quanto falsati e sminuiti e resi "aziendali" dall’eliminazione degli avversari.
1 commento:
Roba da matti è scrivere una lettera a Facchetti con tanto di lacrimuccia onesta. Di coccodrillo?
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