..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

venerdì 30 aprile 2010

SUPPOSIZIONI DI PRIMO GRADO / 3

A più riprese, De Gregorio nomina anche Carraro. Personaggio che, a conti fatti, si dimostra un autentico fuoriclasse dell’equilibrismo politico: era capo della Figc quando a dominare c’era la cupola. Un capo un po’ sprovveduto, se per tanti anni ha concesso che tale associazione spadroneggiasse. È ancora capo adesso, che la cupola non c’è più. Insomma, sotto di lui c’è stato il maremoto, ma la sua barca è riuscita a restare a galla senza subire danni.
A pag.47 viene riportata una telefonata di Carraro a Bergamo, durante la quale il primo riprende il designatore a proposito di un errore di Racalbuto: “quando un arbitro dà un rigore al limite dell’area vuol dire che gli scappa che la Juve debba vincere…”. Considerando che un arbitro generalmente deve prendere decisioni in pochi decimi di secondo e che, essendo umano, può anche sbagliare, come interpretare questa telefonata? Si potrebbe pensare che Carraro, capo della Figc, spingesse affinché eventuali dubbi fossero sempre risolti a svantaggio dei bianconeri. E invece De Gregorio la commenta così: “il presidente manifestò, sia pure in modo indiretto ed ironico, di considerare ben possibile che l’arbitro avesse voluto favorire la Juventus, dovendosene trarre motivo di conforto, sul piano dell’apprezzamento logico dei fatti, per le tesi dell’Accusa”. In altri termini: se Carraro dice che la Juve ruba, sarà pur vero! È sorprendente che nessuno abbia da ridire sul fatto che ad ogni presunto errore favorevole alla Juve facesse eco una telefonata di Carraro ai designatori. Al contrario, un capo della Figc evidentemente schierato contro una squadra in lotta per lo Scudetto è preso a sostegno delle accuse nei confronti della stessa.

Le elucubrazioni continuano a pag.50, dove si analizza una conversazione tra Giraudo e Mazzini, durante la quale il primo si lamenta delle designazioni effettuate da Bergamo per una partita del Milan. De Gregorio conclude: “se questi si lamentò di una scelta del designatore con persona di rango elevato nel settore, come il vice presidente Figc, definendolo nel contempo amico e sottolineando l’eccezionalità di quella opzione negativa, deve ritenersi che, di regola, le specifiche scelte di assegnazione dei direttori di gara erano gradite alla Juve ed ai suoi dirigenti”. A parte il fatto che qui si parlava di guardalinee e non di direttori di gara (come erroneamente riportato alla fine della deduzione), al giudice non è venuto in mente che magari Giraudo semplicemente non fosse portato a piagnucolare, come altri, per qualsiasi scelta? Se uno si lamenta di tanto in tanto, chi può affermare con certezza che quando non lo fa le cose siano andate come voleva lui? Già, ma qui di certezze pare non essercene bisogno.
Nelle pagine successive, si analizzano le intercettazioni di Lotito, che si lamentava dell’arbitraggio durante una partita con la Juve. Ovviamente, anche in questo caso, il giudice desume “il dato – evidentemente notorio nell’ambiente – che alcuni arbitri parteggiavano per la Juventus”. Fosse andato a raccogliere anche le dichiarazioni di qualche esponente degli ultrà laziali, avrebbe trovato altri elementi a sostegno dell’accusa.
Si prosegue poi con interpretazioni di telefonate, in cui attenendosi a poche frasi spesso poco comprensibili il magistrato delinea i ruoli dell’organizzazione. Bravo lui ad intuire l’organigramma completo sulla base di frasi come “so perfettamente la fatica che fa Paolo, è l’unico che ci è rimasto vicino”, oppure “la fiducia non gliel’ho mai tolta, te lo dimostrerò” (pag.54). Cosa dire? Impossibile ribattere, perché qui siamo entrati completamente in una realtà virtuale. Si parla di un “programma comune” e di volontà della Juve di vincere il campionato, “anche con mezzi illeciti” , ma da dove salti fuori tutto questo è veramente arduo capirlo.
È difficile determinare quale sia l’apoteosi di questo documento, ma a pag.55 una frase è da incorniciare: “Vale la pena di sottolineare il dato di fatto che arbitro dell’incontro con il Milan fu proprio Collina, cioè colui che, in mancanza del più gradito Trefoloni, la Juve avrebbe preferito”. Questa è davvero clamorosa: Collina era uno degli arbitri preferiti dalla cupola? Ma fino all’altro ieri, non era l’integerrimo per eccellenza? A questo punto, meraviglia che non sia stata inserita tra le motivazioni della condanna anche la squalifica di Ibrahimovic, che probabilmente era stata effettuata per permettere a Capello di schierare Del Piero, poi risultato decisivo. È inutile: avrebbero potuto anche designare come arbitro il Re Salomone in persona, ma l’alacre De Gregorio sarebbe riuscito ugualmente a ravvisare un complotto.
Il campionato, successivamente alla partita vinta ai danni del Milan (ma del resto, con l’amico Collina poteva andare diversamente?), perde d’interesse, almeno riguardo il destino della Juve proiettata verso lo Scudetto, e allora ci si concentra su tutto il resto. In particolare, il futuro di Bergamo. A tal proposito, vale la pena di ricordare come lo stesso designatore commentò la sconfitta dei rossoneri con Galliani: “Non mi sono ancora ripreso dall’altra domenica. E questo purtroppo è stato un trauma che in famiglia ha lasciato il segno…”. Ovviamente, questa intercettazione non trova spazio nel documento redatto da De Gregorio, anche perché se non ci avesse pensato la difesa di Moggi durante il processo di Napoli, non sarebbe mai saltata fuori, ma spiega bene quali fossero i toni dei designatori con i dirigenti delle squadre della massima serie: estremamente amichevoli. E la chiacchierata con Galliani, come quelle con tanti altri dirigenti di Serie A, spiega una sola cosa: per sopravvivere, i designatori, come tanti altri all’interno del mondo calcistico, dovevano (devono?) mantenere buoni rapporti con le squadre. Dov’è la novità? Va, a questo proposito, sottolineato un fatto, che De Gregorio sembra avere dimenticato: nel 2004, era consentito ai dirigenti intrattenere rapporti con i designatori. Non solo: era la federazione stessa a promuovere la collaborazione tra le società e vertici arbitrali, per stemperare un clima molto teso nato con le regole precedenti. Che poi ci siano stati dialoghi antipatici (per dirla alla Moratti) è innegabile. Ma c’è da chiedersi se, subendo un’intercettazione telefonica per alcuni mesi, qualsiasi persona non rischierebbe di essere trasformata nel capo della Ndrangheta. Occorrono fatti, oltre che supposizioni. E di fatti, finora, non c’è nemmeno l’ombra.
A pag. 59 si analizzano le vicende legate alla Fiorentina. Viene inizialmente raccontato il duello tra Abete e Carraro, vinto da quest’ultimo, contrariamente alle speranze dei Della Valle, e si prosegue con le telefonate di Della Valle e Mencucci a Mazzini, in cui si lamentano presunti torti arbitrali. Discorsi che si sentono da quando è nato il calcio, ma che in questo caso costituiscono un indizio per una condanna penale. Scorrono pagine di ricostruzioni relative al legame politico-sportivo, che non ci dicono nulla di nuovo rispetto a quanto letto in questi anni sulla Gazzetta. Una frase di Mazzini, diretta a Giraudo, in questo contesto è molto interessante: “devo dire che perderli come pagatori in serie A mi dispiace”. Ricorda molto un’altra frase di un superiore di Mazzini, che si lamentava che il ricco proprietario di una squadra non riuscisse mai a vincere lo scudetto: ora quella preoccupazione non dovrebbe più esserci.
Assistiamo a discorsi di Mazzini, che spiega come la Fiorentina sia in una botte di ferro, visto che il “sistema” ora è dalla sua parte. C’è una lunga esposizione (pagg. 65/66) in cui Mazzini illustra come gli arbitri aiuteranno i viola, grazie al suo appoggio. Su tutte queste parole De Gregorio costruisce l’ennesimo castello d’accuse: “Mazzini, ricoprendo la sua importante carica, era perfettamente consapevole dell’esistenza di un tale sistema, fatto di alleanze ed equilibri tutti fuori delle regole e spesso contro di esse, (…) si evidenzia altresì che il vice presidente della FIGC considerava scontato che gli arbitri fossero fortemente condizionati da chi deteneva la posizione prevalente” (pag. 67). Tutto molto bello ed interessante. Non fosse che la Fiorentina perde anche la partita successiva: 1-2, in casa contro il Milan.
Poi avviene un incontro tra Bergamo e Della Valle. Cosa c’entrano Moggi e Giraudo in tutta questa storia? Semplice: “è utile evidenziare la sua (di Bergamo, ndr) piena disponibilità alle sollecitazioni congiuntamente provenienti da Mazzini, in maniera diretta e da Moggi e Giraudo in modo indiretto ma certamente risaputo dall’uomo di Livorno” (pag.68). Già, certamente. Come al solito.
Si va avanti per pagine e pagine in cui la Fiorentina alterna risultati buoni ad altri negativi (pareggio con l’Atalanta) e le telefonate che seguono le partite vanno di pari passo, con i soliti Mazzini e Moggi che esprimono la loro preferenza per la Fiorentina. Ma se per Mazzini la questione è poco etica (sarebbe comunque interessante analizzare il tenore di tutte le telefonate che il dirigente federale faceva ai vari personaggi del calcio), Moggi potrà ben essere libero di tifare per chi vuole! Certo, da juventino non è piacevole sapere che il proprio DG sperava nella salvezza dei viola (anche se, conoscendo Moggi, tra ciò che diceva e ciò che pensava il più delle volte c’era una bella differenza! ), ma non si vede dove stia il problema per tutti gli altri. Per la cronaca, un episodio la dice lunga sul potere della cupola: “il 22 maggio, nella partita Lazio-Fiorentina terminata in parità 1-1, si verificò un errore clamoroso dell’arbitro Rosetti ai danni della Fiorentina; invero, il direttore di gara non vide che un giocatore della Lazio si sostituì al portiere ormai battuto, respingendo sulla linea di porta il pallone con un braccio” (pag.74).
L’epilogo di quella vicenda la conosciamo tutti. La partita Lecce-Parma, arbitrata da De Santis (l’amicone della Juve, a fasi alterne…), terminò 3-3. L’arbitro non sembrò influire sul risultato a nessuno. Nemmeno a Zeman, che se la prese con i suoi giocatori per avere “smesso di giocare” ben prima del termine dell’incontro. Eppure per De Gregorio fu proprio De Santis, a causa del comando della cupola, a guidare l’incontro al pareggio. E non un banale 0-0, ma un 3-3. Magia degna di Houdini!

Nessun commento: