I segnali che preannunciano l’imminenza di una nuovo aggressione di Hezbollah libanese contro Israele sono sempre più inquietanti e inequivocabili. Il ministro della difesa americano Robert Gates ha infatti dichiarato pubblicamente che la Siria e l’Iran stanno consegnando missili sempre più sofisticati agli Hezbollah in Libano: “Siamo arrivati al punto dove gli Hezbollah sono in possesso di un arsenale di razzi e missili più poderoso di molti governi del mondo”. Questa autorevolissima accusa di sabotare l’accordo di tregua che chiuse la guerra del 2006, lanciata contro Hezbollah, il governo libanese, la Siria e l’Iran, non proviene -si badi- da un oltranzista, ma dal ministro a cui Barack Obama ha consegnato il controllo del Pentagono. Dunque, la più alta autorità politico militare del pianeta, avalla totalmente –anzi le incrementa- le denunce di Israele circa la totale violazione dei presupposti e del senso della missione Unifil in Libano e conferma la recente denuncia fa di Simon Peres, che si è detto certo che la Siria abbia consegnato a Hezbollah pericolosissimi missili Scud.
Un quadro talmente grave, che Obama ha inviato ieri in Libano il suo Consigliere per la sicurezza nazionale John Brennan, che è anche responsabile per l’antiterrorismo, per verificare in loco la consistenza del fenomeno (soprattutto per cercare di comprendere se Hezbollah abbia o meno ricevuto gli Scud). A fronte di queste conferme, le smentite del presidente libanese Michel Suleiman, del premier Saad Hariri, della Siria e di Hezbollah, diventano ancora più minacciose e pericolose. Esse non si limitano infatti a negare l’esistenza di questo traffico di missili, ma vanno oltre e qualificano queste denunce quali “provocazioni di Israele che vuole così motivare i suoi progetti di guerra”. E’ il classico scenario messo in campo da parte araba dal 1956 in poi: escalation militare, propaganda contro le “minacce” di Israele e infine guerra (con relativa sconfitta araba, peraltro). Purtroppo siamo già molto avanti su questo percorso bellico tanto che ieri il ministro degli esteri egiziano Abul Gheit ha avvertito gli Usa del rischio di una possibile escalation fra Israele e Libano, che potrebbe sfociare in un’altra guerra. Contemporaneamente il presidente egiziano Hosni Mubarak e il premier libanese Saad Hariri hanno discusso a Sharm el Sheikh di quelle che definiscono le “minacce” di Israele, e Hariri ha dichiarato di aver ricevuto da Mubarak l’assicurazione che l’Egitto ha avviato contatti per garantire la sicurezza di Libano e Siria. Si sta dunque sempre più confermando la nostra –facile- profezia che vedeva incancrenirsi la situazione tra Libano e Israele non tanto e non solo a causa del quadro geopolitico locale, ma anche e soprattutto perché questo è interesse precipuo di Teheran. A fonte di nuove sanzioni Onu (sia pure blande, come saranno) e della crisi politica interna (anche se l’Onda Verde fatica allo spasimo a reggere il peso di una repressione feroce), Khamenei e Ahmadinejad possono infiammare tramite la Siria ed Hezbollah tutto il quadro mediorientale, presentandosi quali alfieri del Jihad contro Israele e rafforzando così la propria posizione sia sul piano interno che esterno.
Si prospetta quindi un’estate rovente nel paese dei cedri e bene farebbe il governo italiano a mettere in agenda una immediata verifica sull’evoluzione della crisi, per evitare che i nostri 2.500 militari della missione Unifil si trovino all’improvviso a dover fronteggiare –letteralmente presi tra due fuochi- una probabile nuova guerra.
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