..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 22 giugno 2010

COSA SALVIAMO?

Si ritorna a parlare di “fair play finanziario”, la politica dei conti “puliti”, quella che non dovrebbe permettere ai “furbetti” del bilancio di trarre vantaggio da operazioni poco limpide, come quella di avvalersi delle "scatole cinesi", per esempio.

Ne parla anche Ernesto Paolillo, amministratore delegato e direttore generale dell'Inter, nonché presidente della commissione congiunta tra Uefa e Eca come «di una normativa necessaria e non più derogabile..» ma con dei ma. L’Italia non ha la stessa fiscalità della Spagna e sarebbe penalizzata nei confronti delle forti squadre spagnole; in Italia non ci sono impianti di proprietà, ad oggi l’unico stadio è quello della Juventus; in Italia non si riesce nemmeno a gestire la vendita dei gadget a causa della loro contraffazione. Un grosso problema, basta vedere come fuori dagli stadi le bancarelle possono vendere indisturbate, magliette e sciarpe non ufficiali; sarebbe necessaria anche qui una legge ma conoscendo i tempi biblici italiani…
In Italia non manca sola programmazione, non credo di sbagliare se scrivo anche la volontà.
«Non siamo in grado di fare sistema», ci fa sapere Paolillo, ma in realtà non si vuole fare sistema perché questo comporterebbe limitare i privilegi di qualcuno. Non a tutti piace sottostare alle stesse regole, non a tutti è permesso dribblarle, non a tutti vengono concesse deroghe.
La legge avrà un lungo periodo di gestazione che non garantirà nel frattempo quella parità che in uno sport dovrebbe esserne la base. Non solo. In Italia, ed alla luce del sole, le eccezioni vengono ammesse. Un conflitto di interessi che, al di la delle apparenze, ha un peso specifico che si traduce nella classica applicazione dei “due pesi e due misure”.
Il fair play ha una sua validità ma perché attendere anni e permettere a chi non sta in regola di godere ancora di ogni sorta di privilegio? Perché non adottare da subito provvedimenti che diano equilibrio alla sproporzione esistente ed evidente? Perché non riconoscere validità alle norme vigenti chiedendone, in attesa della nuova legga, la loro reale applicazione? Perché non adottare sanzioni per chi le viola senza vedere il colore di appartenenza o il ruolo che riveste all’interno del sistema? (ricordiamoci chi è lo sponsor del campionato di serie A, un conflitto di interessi messo in rilievo anche dalla stampa estera).
Eppure esisteva una grande realtà che aveva miscelato competenza tecnica ed economica; un mix di qualità che le ha permesso di collezionare vittorie e di mantenere i bilanci a posto senza tralasciare quelle operazioni che le avrebbero permesso, con lungimiranza, una programmazione atta a garantirle un posto tra le grandi d’Europa.
C’era, perché poi qualcuno ha deciso che era troppo avanti rispetto a chi correva dietro alle falsificazioni di documenti, titoli di cartone e “contraffazione” dello sport, perché nemmeno occhi e orecchi indiscreti, sono riusciti a copiare quella competenza della Juventus e quella di A. Giraudo. Oggi ne stanno prendendo atto tutti collezionando insuccessi e figuracce.
Alla fine dei conti, se andiamo a ben vedere, c’è qualcosa che funziona ancora nel calcio italiano?

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