Anziché affondare nelle sabbie mobili di polemiche dissennate, o massacrarsi in scontri propagandistici che servono solo a indebolire tutti, si provi a rispondere a questa domanda: perché oggi ci scrivono (quelli di "tutto il rosa della vita") di sistema che tira a campare producendo un mediocre spettacolo? Lasciate perdere le questioni di coerenza, che neanche sanno di che si tratta. Posto che la crisi del calcio italiano fu determinata dalle inchieste giudiziarie, domandatevi perché abbiamo assistito ad un mucchio di chiacchiere sulla nascita di una nuova era, di un calcio pulito, di un movimento che, fatta fuori una "banda di truffatori", era finalmente uscito, e pronto al rilancio, dallo stato "mafioso" di campionati comprati, aggiustati, taroccati. Le risposte, messe in parallelo con la surreale scelta editoriale di fare una radiografia generale del calcio italiano, dovrebbero suggerire qualche inquietudine.
Ma soprattutto dovrebbero farci capire come mai, in un'estate di quattro anni fa, ci veniva inculcato che il calcio aveva finalmente cambiato mentalità, aveva trovato una sua dimensione, aveva azzerato un sistema fatto di alleanze, e, con organizzazione e cultura, si era nuovamente pronti a competere, da onesti, nell'elite del calcio europeo e mondiale.
Una mentalità che, però, aveva portato a giudicare sporchi i traguardi di chi sapeva lavorare; un'organizzazione che aveva fomentato l'opinione pubblica; una cultura, quella del sospetto a prescindere, perfetta incubatrice di un tifo che sfogava i propri fallimenti nei trionfi altrui.
In "Italia anno zero" ci scrivono (a firma di Andrea Monti), che nello sport come nella vita, le sconfitte servono per ripartire, a patto di riconoscerne, con saggezza, le cause.
Peccato che tutto questo viene scritto, senza riconoscerne la collusione, in un Paese in cui il ponteggio ancora non crolla solo perché chi lo ha sfasciato ci guadagna e non sa che altro fare.
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